Sbaglia chi pensa che questo sia un film sul Nord Est. È un film sulle persone, su un’umanità tradita, quella del lavoro che abbiamo così tanto oscurato negli ultimi anni. Nessuno ne parla più. […] Gli operai sono davvero i primi da tutelare, perché sono quelli che hanno sostenuto questo Paese quando cresceva. Non possiamo dimenticare tutto questo o far finta di nulla. […] Credo di essere stato il primo attore a lavorare in un film sullo stesso tornio su cui avevo lavorato nella vita reale, diversi anni prima. 
Antonio Albanese

Luoghi riconoscibili poiché immersi in una dimensione familiare e frequentata: l’appartamento della madre, la bocciofila, il supermercato, il bar. Cento domeniche, nuovo lungometraggio di Antonio Albanese, è la storia di una rottura in mezzo a questa quieta e semplice linearità. Una rottura economica ma soprattutto umana e profondissima. Antonio (Antonio Albanese), ha lavorato per tutta la vita come tornitore in un cantiere navale ed è un uomo onesto e pratico, orgoglioso e benvoluto da tutti che continua a lavorare nonostante il prepensionamento. Quando la figlia Emilia (Liliana Bottone) gli comunica la sua volontà di sposarsi, la notizia lo rende entusiasta: pianifica e vuole contribuire, da buon padre, alle spese per il grande evento.

Un giorno, dopo vari segnali allarmanti, scopre che i suoi risparmi – investiti in azioni su consiglio del nuovo direttore della banca sono andati in fumo a causa di un crack. La notizia si abbatte su tutta la comunità di cui Antonio fa parte: quella piccola banca artigiana, infatti, rappresenta un’istituzione storica e un soggetto di fiducia per tutto il territorio e molti degli impiegati sono persone conosciute, su cui tutti hanno riposto fiducia negli anni. Riecheggiano già dalle prime sequenze del film, nell’essenza del personaggio del protagonista, le parole di un grande scrittore del Novecento italiano come Mario Rigoni Stern, nei Ritratti, docufilm di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini prodotto da Jolefilm alla fine del millennio scorso:

Non c’è maggiore soddisfazione di un lavoro ben fatto. Un lavoro ben fatto, qualsiasi lavoro, fatto dall’uomo che non si prefigge solo il guadagno, ma anche un arricchimento, un lavoro manuale, un lavoro intellettuale che sia, un lavoro ben fatto è quello che appaga l’uomo. Io coltivo l’orto, e qualche volta, quando vedo le aiuole ben tirate con il letame ben sotto, con la terra ben spianata, provo soddisfazione uguale a quella che faccio quando ho finito un buon racconto.

Antonio è un uomo che aggiusta tutto, che sa fare tutto: ripara le viti del tavolo traballante nella cucina di Emilia, ha sempre con sé nel bagagliaio della macchina gli attrezzi in caso di necessità, è pronto a spendersi per i suoi cari con fiducia e dedizione, si prende cura della madre (una splendida Giulia Lazzarini).

C’è uno strano parallelismo tra C’è ancora domani di Paola Cortellesi e Cento domeniche e non è solo una questione di tempistica di uscita nelle sale. Nonostante i due film trattino due argomenti molto diversi tra loro, ho avuto la personale sensazione di captarne, tolta la crosta narrativa, gli stessi intimi intenti dei rispettivi registi: raccontare gli ultimi e dar loro una dignità tragica, riconsegnando agli spettatori un pathos che si potrebbe definire ancestrale (e per questo, forse, a volte dimenticato) per chi lotta e quotidianamente soffre in silenzio, inserendolo in questo presente sempre più diseguale e multiforme.

La realtà raccontata in Cento domeniche non smaschera tanto l’ipocrisia della provincia italiana e in particolare del Nordest produttivo e benestante (esercizio narrativo battuto spesso negli ultimi anni da vari autori, si pensi a Il capitale umano di Virzì o a The Italian Banker del padovano Alessandro Rossetto) quanto l’ignobile e disperata solitudine in cui cade il protagonista a prescindere dal contesto in cui si trova, perché spirituale e totale.

In questo, il personaggio interpretato da Albanese ricorda molto quello di Giulio (Valerio Mastandrea) ne Gli equilibristi di Ivano De Matteo, film di più di un decennio fa che tratta, seppur diversamente, tematiche molto simili a Cento domeniche. La depressione in cui cade Antonio assomiglia più a un senso di perdita, piuttosto che a un’umiliazione: perdita di una fiducia negli altri e nel mondo di valori in cui ci si è riconosciuti, perdita delle coordinate su cui si è posta la bussola della propria esistenza. In questa perdita, in questo spaesamento lacerante, è racchiusa l’essenza di tutto il film che ci riporta alla cronaca reale di cosa ha significato il crack bancario di molte realtà locali: si pensi alla Popolare di Vicenza, per citare solo uno dei casi più famosi e recenti.

Nell’andamento quasi documentaristico del film emerge, in mezzo alla disperazione e alla realtà cruda, una scena, poetica e struggente: il pianto di Antonio dopo l’ennesima notte insonne e l’avvicinarsi silenzioso eppur così significativo dell’anziana madre, in una dimensione quasi onirica che, per un attimo, seppur brevissimo, riporta il protagonista in una dimensione di fiducia e di abbandono all’altro. Il monito che echeggia durante i (quasi) cento minuti di film è quello del più alto cinema civile (parola ormai dimenticata): quello di non abituarsi mai alle sofferenze del mondo, di qualsiasi parte del mondo. A Nordest come in qualunque luogo. In un tempo dove si tracciano confini e si costruiscono muri, non ci salverà la retorica ma l’impegno contro altre solitudini.

Riferimenti bibliografici
C. Mazzacurati, M. Paolini, Ritratti. Mario Rigoni Stern, Fandango Libri, Roma 2006.
P. Roth, Pastorale americana, traduzione di Vincenzo Mantovani, Einaudi, Torino 1998.

Cento domeniche. Regia: Antonio Albanese; sceneggiatura: Antonio Albanese, Piero Guerrera;  fotografia: Roberto Forza; montaggio: Davide Miele; interpreti: Antonio Albanese, Donatella Bartoli, Liliana Bottone, Sandra Ceccarelli, Elio De Capitani, Carlo Bonacina, Maurizio Donadoni, Giulia Lazzarini, Carlo Ponta, Bebo Storti, Marianna Folli; produttore: Palomar Vision; distribuzione: Vision Distribution; origine: Italia; durata: 94′; anno: 2023.

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