C’è la realtà, cioè il mondo umanizzato, quello che conosciamo da quando siamo nate, quello in cui si parla la cosiddetta lingua materna, e poi c’è il reale, che invece è il mondo che non capiamo, che ci arriva addosso senza che l’avessimo invitato, che non sappiamo che lingua parli, ammesso che ne parli una. È la caratteristica distintiva del reale, è «impossibile», così dice Lacan. Il reale è impossibile proprio perché quello che credevamo di sapere della realtà escludeva che il reale potesse esserci. Quindi è impossibile non perché non possa esserci – niente esiste in modo più massiccio e ingombrante del reale – è impossibile perché escludevamo la possibilità che potesse esserci qualcosa di così impensabile e indicibile come il reale. La realtà è allora il mondo come lo pensiamo e lo immaginiamo, il reale è invece il mondo che, semplicemente, accade senza chiedere il permesso. Prima o poi il reale del mondo bussa alla porta di casa nostra, è questo che succede alla giovane donna di cui seguiamo la vicenda nella Ragazza e il masso, della scrittrice belga Kristien In-‘t-Ven (Orecchio acerbo, 2025). Di questa ragazza, di cui non conosciamo nemmeno il nome (il nome rientra nella realtà, mentre il reale è indicibile) sappiamo solo che un giorno, mentre stava impastando del pane, «ricevette una visita inaspettata». Ecco il reale, una visita inaspettata, perché se ce lo aspettassimo non sarebbe stato reale: il reale o è inaspettato, e quindi impossibile, oppure non è reale. «Si presentò alla sua porta una persona con un pacco. “Dev’esserci un errore’ disse lei. ‘Io non ho ordinato niente”». La storia della ragazza con il masso comincia così, con un pacco inatteso, e quindi anche indesiderato, un pacco da subito ingombrante: «L’uomo indicò dei fogli su cui c’era il nome della ragazza. “Sei tu?”. “Sì” annuì lei. “Allora questo è per te” ribatté l’uomo. E le mise il pacco tra le braccia».
Il pacco, che avvolto in modo approssimativo contiene un masso, enorme e assurdo, è ora suo, non se ne può liberare. Anche se sembra incredibile, ma è questo il punto di partenza di questa storia (come anche delle vite di ciascuno di noi), quel masso ormai è indissolubilmente legato a lei, alla ragazza che se ne stava tranquillamente in cucina a preparare il pane. Il reale non l’abbiamo chiamato, anzi, credevamo che fosse impossibile, eppure ora è con noi; o meglio, ora quel masso ingestibile in un certo senso coincide con noi, perché se in nessun modo se ne possiamo liberare vuol dire che in qualche modo noi siamo tutt’uno con quel masso. Non è più la ragazza e il masso, ora incredibilmente la ragazza è il masso: «Sembrava un masso. Un pezzo di montagna. Era così anche al tatto. Ruvido e duro come granito. Grande e impossibile da spostare». È la scoperta che facciamo tutte, prima o poi, la scoperta che il reale, cioè “una visita inaspettata”, prima o poi arriva, e cambia tutto. Il primo pensiero – un tipico pensiero da realtà, quindi un pensiero inefficace, perché il reale rappresenta lo scacco della realtà – infatti è quello di sbarazzarsene: «Cosa doveva farsene, di un masso che non aveva nemmeno chiesto? Proprio niente, pensò. Decise di posarlo e di tornare dentro. Ma non ci riuscì. Per quanto ci provasse, il masso non si smuoveva». Si possono muovere le cose che possono essere mosse e spostate, un vaso di fiori o un armadio, ma non si può spostare un masso enorme.

Non ci si può sbarazzare del masso, è venuto per restare. Ma la ragazza non si dà per vinta, e pensa – come abbiamo capito il pensiero è il nostro modo per provare controllare la realtà, ossia per rimuovere l’impensabilità del reale del mondo – che un modo dev’esserci per liberarsene: «La ragazza fu presa dal panico. Voleva solo rientrare, tornare al suo impasto e alla vita che aveva prima che suonasse il campanello. Le venne in mente un burrone che aveva visto una volta al limitare del bosco. Le persone ci buttavano le cose che non volevano più. Poltrone consunte, pantaloni troppo stretti. Lì dentro, aveva visto anche qualche brutto ricordo. Decise di andarci». Siccome del reale non sappiamo che farcene la cosa migliore è buttarlo via in una discarica. Sembra un pensiero elementare (la psicoanalisi parlerebbe di diniego, quando fai finta di non sapere una cosa che sai), perché non dovrebbe poter funzionare? Lo sappiamo già perché non funzionerà, perché ormai la ragazza non è separabile dal masso, che è diventato una parte di lei. La ragazza comunque ci prova, e dopo un percorso faticosissimo arriva sul ciglio di un burrone, dove finalmente potrà liberarsi di questa presenza insopportabile e dolorosa:
Si inginocchiò cautamente per far cadere il masso oltre il bordo. Quello vacillò e iniziò a scivolare verso il basso con un rumore lacerante. La ragazza sussultò per lo spavento quando si rese conto che la stava trascinando verso il fondo assieme a lui. Per un istante di quella caduta lenta, le parve di fluttuare in aria. Cadde giù e ancora più giù, fino a quando il masso colpì il fondo del burrone con un fragore assordante. Poi calò il silenzio. Non ci fu più niente per un bel po’. "Ci sei ancora?". Sollevò la testa per vedere il masso. C’era ancora. Aveva ammortizzato la sua caduta.
È successo l’incredibile, non solo la ragazza non è riuscita a liberarsi del masso, ma questo le ha salvato la vita, attutendone la caduta nel burrone, e proteggendola frapponendosi fra lei e il fondo dell’abisso. Il masso non l’aveva scelto, non lo voleva, voleva anzi sbarazzarsene, ma ormai – anche se dentro di sé la ragazza continua a pensare di non esserselo meritato, ma tant’è, è andata così – non solo è entrato nella sua vita, è ancora viva solo grazie a quello stesso detestabile e insopportabile masso. Dei bambini che hanno assistito alla sua rovinosa caduta l’aiutano ad uscire dal fondo del burrone (i bambini sono ancora capaci di vivere nel reale, quindi non si stupiscono del masso). La tirano fuori, mentre lei è avvinghiata al masso. Non sa perché – non sappiamo niente del reale, è l’unica cosa che sappiamo distintamente del reale – ma sente che non potrà mai più liberarsi del masso:
Uno dei bambini disse: "Uff, pesa davvero tanto un masso del genere!". "Parecchio" disse un altro. "Quanto pesa, di preciso?" chiese qualcuno. "Come tre automobili e sette elefanti" rispose la ragazza. Ci vollero delle ore. Ma avrebbero anche potuto essere degli anni. Poi si ritrovò di nuovo con entrambi i piedi per terra. Mentre lo diceva, sentì il masso diventare un pochino più leggero. Era ancora pesante. Ma riusciva di nuovo a respirare, come se la sua cassa toracica avesse un minimo di spazio in più. Salutò i bambini e riprese il cammino. Dove era diretta ancora non lo sapeva. L’unica cosa che sapeva era che doveva andare avanti.
La ragazza non ha capito niente di tutta questa storia, dall’inizio quando le è stato consegnato un pacco che non aveva ordinato, al masso che c’è piazzato a casa sua senza essere stato invitato, e nemmeno, in fondo, del perché il masso le abbia salvato la vita. Sa solo, ormai, che la sua vita da quel momento in poi sarà inseparabile da quella del masso: «In lontananza comparve una casa. Le ricordava la sua. La casa in cui, tanto tempo prima, stava impastando il pane. Quando, molto lentamente, si avvicinò, la vide meglio. Sì, era la sua casa. Sentì qualcosa. Qualcosa che non provava da tanto tempo. Più si avvicinava, più forte si faceva quella sensazione. Aveva fame». La ragazza torna a vivere, ha fame infatti. Non si chiede più perché quel masso sia sempre con lei, non c’è proprio niente da chiedere (il reale è impensabile e indicibile), il masso c’è, sa solo questo ormai, il masso c’è, con lei: «La porta era socchiusa. La ragazza entrò. Il masso passava giusto giusto dalla porta». All’inizio sembrava che non potesse entrare a casa sua, ora invece riesce ad entrarci. La ragazza l’aveva capito, non se ne andrà più. Ma in fondo, ed è questa la sua scoperta più inaspettata (tutto quello che conta accade in modo inaspettato), lei è contenta di quella presenza così assurda e inspiegabile: «L’impasto era ancora lì». La vita continua, anche se non è più vita di prima, la vita del tempo senza soprese: «La ragazza iniziò a impastare». La ragazza e il masso è la storia semplicissima – ma proprio per questo inimmaginabile – di come fare i conti con l’intrattabilità del mondo. E ci dice, in fondo, che c’è un solo modo per stare al mondo, si tratta infine di amarlo. Scriveva Dietrich Bonhoeffer (il pastore e teologo protestante ucciso dai nazisti il 9 aprile 1945) nella sua incompiuta Etica: «Il bene dunque non è più una valutazione di ciò che è, per esempio del mio essere, dei miei sentimenti, delle mie azioni o della situazione del mondo; il bene non è più un attributo conferito a ciò che di per sé esiste, ma il bene è la realtà stessa. […] Solo partecipando alla realtà partecipiamo al bene».

Kristien In t Ven, La ragazza e il masso, illustrazioni di Martha Verschaffel, traduzione di Valentina Freschi, Orecchio Acerbo, Roma 2025.