C’è stato un tempo in cui per Italo Calvino il cinema (e non la letteratura) era tutto il mondo: erano gli anni della giovinezza sanremese, irretita dal grigiore della provincia fascista, contro cui il ragazzo protestava rincantucciandosi nei cinema «quasi tutti i giorni e magari due volte al giorno, ed erano gli anni tra diciamo il Trentasei e la guerra, l’epoca insomma della mia adolescenza». Il giovane cinemaniaco, tra una scorpacciata di film (americani) e l’altra, si cimentava anche nelle prime prove di scrittura: soprattutto poesiole d’amore e raccontini, con il sogno di diventare un grande drammaturgo. Per di più, prima che la guerra nel 1939 lo buttasse fuori dalla sala per consegnarlo alla lotta partigiana, faceva in tempo a suggere il dolce miele delle storie di celluloide per firmare i primi articoli da critico cinematografico, o per dirla con parole sue, da «scrittore di cinema»: per esempio di fronte alle praterie della Monument Valley dove John Ford lanciava Stagecoach, la diligenza che avrebbe ridisegnato la storia del western, i suoi compagni giurano di averlo visto prendere appunti nel buio per una recensione oggi perduta.
Se n’è conservata, invece, un’altra del 7 luglio del 1941 su Il giornale di Imperia – inserto de Il giornale di Genova – a San Giovanni Decollato con protagonista Totò. Pellicola portata in sala da Amleto Palermi sulla commedia di Nino Martoglio, co-sceneggiata da un giovane Cesare Zavattini e Aldo Vergano. Il film della celebre «piattata» che lancerà l’attore napoletano nell’olimpo del cinema italiano, vestendo i panni di un pio e scombiccherato ciabattino che chiede a San Giovanni la grazia di ridurre al silenzio la moglie.
Diciott’anni ancora da compiere. Poco più di una colonna, con la seconda parte che raccoglie le impressioni su Alessandro, sei grande! di Carlo Ludovico Bragaglia. È questo il primo testo in senso assoluto pubblicato dall’autore. L’attacco, per di più, sfoggia già brillantezza di tono e la padronanza dei fondamenti del cinema nostrano nelle sue connivenze con il teatro. E lo stile? Un antipasto di quello che caratterizzerà le tendenze letterarie future: paratassi, brevitas ed estrema sintesi concettuale. Così Calvino si presenta al mondo della carta stampata.
"San Giovanni Decollato" di Martoglio era uno dei cavalli di battaglia del povero Musco. I produttori del film hanno compreso che qualsiasi interpretazione del film ci avrebbe fatta rimpiangere quella dello scomparso e una volta tanto hanno fatto le cose con criterio. Hanno impostato il film su tutto un altro stile e hanno messo come protagonista Totò.
In più affila già una primissima vena polemica verso le tirannie dei produttori nella realizzazione dei film senza ignorare, poi, che la commedia era cinematografata già nel 1917 da Telemaco Ruggeri con un film muto (oggi perduto) che Nino Martoglio aveva corretto ad hoc per la recitazione del divo dell’epoca Angelo Musco. Né sfuggono le variazioni della sceneggiatura rispetto al testo di base: «L’ambiente che nella commedia era siciliano è qui trasportato a Napoli». Ma la stessa gavetta dell’attore è perfettamente nota all’imberbe recensore:
Totò viene dalla rivista. Ma [ha] già interpretato anni fa due bruttissimi film su quella funambolesca comicità da giornale umoristico che al cinema, tranne poche eccezioni, non ha fatto buona prova. In questo film, invece, rivela in pieno le sue grandi possibilità. Per mobilità di maschera e capacità mimica batte di varie lunghezze ogni altro comico italiano. Se questa comicità fosse adeguatamente dovuta e temperata potrebbe ottenere effetti ancor maggiori.
Toni baldanzosi, spirito critico, e una certa, sorprendente chiaroveggenza. Lo sbarazzino, scanzonato cinefilo schiocca già senza titubanze giudizi assolutori sull’attore, noncuranti delle critiche che avevano accompagnato Fermo con le mani (1937) e Animali pazzi (1939), i primi passi di Totò nel cinema. Anzi, con lungimiranza, lo piazza sul gradino più alto del podio degli attori italiani, vaticinando di fatto il successo del Principe della risata. Alla giovane penna sanremese non sfugge nemmeno che l’attore, già idolo dei teatri d’avanspettacolo, aveva ottenuto la parte convincendo Capitani nei panni del milionario pazzo della rivista Tra la moglie e marito la suocera e il dito inscenata nel 1940 al Teatro Valle di Roma. Figuriamoci, poi, se non riesce a intercettare la marca recitativa del film per filiazione con la produzione comica d’oltreoceano, dove giganteggiava il suo nume tutelare, Charlie Chaplin: «Lo stile del film è un compromesso tra comicità dialettale e la comicità paradossale di cui parlavo prima, con più un pizzico di primitiva comicità chapliniana per movimentare l’azione».
Insomma, l’avventura di un recensore non poteva non iniziare nel segno del comico, e i toni con cui Calvino recensisce la prova dinoccolata e istrionica del mattatore napoletano sono assolutamente entusiasti: nel San Giovanni «Totò domina incontrastato».
In neanche mezza colonna di un piccolo giornale locale, prima dell’avventura partigiana, prima di Torino, prima degli incontri con Pavese e Vittorini, Calvino sfoggia già una tendenza alla documentazione continua per una conoscenza di ampio respiro, un spinta inesausta all’approfondimento: per vergare mezza colonna di un giornale locale, un diciassettenne, sconosciuto, giornalista in erba s’è documentato sull’origine teatrale del film, sui rassettamenti tra commedia e sceneggiatura, sulle dinamiche produttive del cinema fascista, sugli stilemi della produzione comica dell’epoca, sulla gavetta del suo protagonista, su tutti gli altri attori e sul loro pedigree.
Poco dopo, infatti, nel 1946, da studente universitario svogliato e squattrinato catapultato nella grande città di Torino, confida così allo scrittore Silvio Micheli l’architrave della sua morale giornalistica:
Per fare un articolo bisogna leggere dei libri, trovare delle idee, darsi attorno. Poi io sono uno che va dalla massima superficialità alla massima pignoleria come se niente fosse. Per esempio mi viene voglia in una data frase di un dato articolo di citare un dato nome. Per esempio: Chesterton. Perché ci suona bene: Chesterton. Chesterton e un aggettivo. Olimpico come Chesterton. Oppure tormentato come Chesterton. Ma io di Chesterton non ho mai letto una riga: non so se sia olimpico o tormentato, se abbia niente a che vedere con quello che sto scrivendo. Allora cosa faccio? Mi do dattorno finché non trovo dei libri di Chesterton. E li leggo. Tutti i libri di Chesterton. E tutto quello che è stato scritto di Chesterton. E lo leggo. Allora posso scrivere in quella data frase: olimpico o tormentato o catalettico o schizofrenico come Chesterton. Tutto lì. Ma intanto per tre parole sono passati quindici giorni.
Insomma, nella tensione alla brevitas, nella capacità di incasellare il film nel suo contesto storico-artistico, nelle preferenze estetico-narrative espresse, scorgiamo una giovane penna già tanto curiosa quanto inflessibile, che si atteggia da critico cinematografico navigato, con competenze in storia dello spettacolo, collegamenti sensati e paragoni calzanti. Per di più sfoggia doti di scoutismo notevoli nel vaticinare il radioso avvenire di Totò nel cinema.
Davide Maria Zazzini, Il cinema per me era tutto il mondo. Italo Calvino spettatore, Galaad Edizioni, Giulianova 2022.
*In apertura e in copertina Italo Calvino, foto dall’Archivio storico Istituto Luce.