È il bello della diretta, si dice. In una tipica auto-rappresentazione della tv americana, a pochi minuti dall’inizio del fittizio Gordon Ford Show, vi sono ancora dettagli da definire e decisioni cruciali da prendere. Pare valere anche qui la massima di Lorne Michaels, il leggendario produttore di Saturday Night Live: “Lo show non va in onda perché è pronto, va in onda perché sono le 11.30”. Qualcosa, per forza, dovrà essere improvvisato strada facendo, mentre in diretta l’imprevisto è sempre in agguato, anche nella New York nel 1961 e nella puntata finale di quell’utopia televisiva che è The Marvelous Mrs. Maisel.

La nostra eroina Midge è riuscita ad arrivare davanti alle telecamere, ma Gordon Ford è disposto a farle solo qualche domanda di cortesia. Ironizzando sulla propria provenienza etnica, Midge decide allora di mettere in atto un “dirottamento ebreo”: si allontana dal conduttore, afferra un microfono sul palco e dà il via ad una stand-up comedy a sorpresa. Midge vuole la consacrazione definitiva a comica americana e per ottenerla è disposta a giocarsi tutto, ma fortunatamente le risate del pubblico in studio non tardano ad arrivare. In questo momento cruciale ed emozionante confluiscono tutti i temi portanti della serie, mentre emerge il suo significato più profondo, che sta nella costante tensione televisiva tra realtà e illusone.

È dunque il momento del big break-out per Midge, la rivalsa individuale che abbiamo atteso per cinque stagioni. Tra alti e bassi la protagonista ha attraversato o anche solo sfiorato diverse forme di intrattenimento popolare: la stand-up, il teatro, la commedia e il musical di Broadway, il cabaret parigino e il burlesque, la musica dal vivo e le pubblicità radiofoniche, gli spettacoli di magia, il vaudeville e le fiere. Al pari di questo universo spettacolare, anche lei sarebbe confluita, alla fine, in televisione.

Ed eccoci al secondo tema, ovvero le tinte smaccatamente meta-televisive assunte dal racconto: dopo qualche breve incursione occasionale, Midge riesce finalmente ad entrare “nell’ambiente” come unica autrice donna del Gordon Ford Show, un programma che sintetizza i tratti dei primi late show e che va in onda dal leggendario 30 Rockefeller Plaza, grattacielo simbolo della tv americana e sede del network NBC. Il fatto che una serie di Prime Video omaggi così palesemente un concorrente svela come le piattaforme, in assenza di veri e propri luoghi fondativi e immaginari forti, siano spesso costrette a prendere in prestito quelli degli altri, cercando di collocarsi nella stessa tradizione della svalutata tv lineare.

Terzo tema: la comicità. Nella stand-up televisiva di Midge si realizza una specifica concezione dell’esperienza comica: realista, antiretorica e antiromantica. Alla fine della quarta stagione, sul palco del Carnegie Hall, Midge dichiara fieramente a Lenny Bruce di voler rinunciare a facili occasioni di notorietà per non “scendere a compromessi”, per essere libera di dire ciò che vuole proprio come lui. Tuttavia, è proprio Bruce ad aggredirla con un bagno di realtà: «Do you understand that this is a business?».

La incalza così il comico, che si rifiuta di essere messo su un piedistallo e considerato un messia della stand-up, come avverrà peraltro dopo la sua morte a soli quarant’anni nel 1966. Non fare mai compromessi, essere interrotto, arrestato e bandito è in realtà un grosso problema per un comico, continua Bruce, perché impedisce di fare il proprio lavoro, che in primo luogo è far ridere la gente: «I want people to fucking laugh. Think and laugh sure, but laugh».

Da quel momento Midge decide di puntare al palco del Gordon Ford, smettendo di nascondersi dietro al timore — o alla facile scusa — di rischiare di essere snaturati. Certo, in televisione il linguaggio deve essere educato, le controversie vanno evitate — “Avanti, vendiamo sapone qui” — ma l’abilità comica sta anche nell’alludere, nel giocare con i limiti, forzarli, utilizzarli come occasione per l’ennesima battuta. Ed ecco perché per qualche istante le luci si fanno soffuse, la voce di Midge nel microfono inizia a rimbombare e come in una visione veniamo ritrasportati al Gaslight Café, da dove tutto ha avuto inizio.

La ruvida stand-up dei bassifondi e quella morbida della tv sono due facce della stessa medaglia, interdipendenti: possono cambiare i contenuti, ma non la natura della comicità, che trova la sua vera ragione nei tempi, nel ritmo, nelle idee brillanti e soprattutto in una capacità di catturare un pubblico e connettere teste diverse attraverso la risata contagiosa. La televisione è vista come l’approdo ultimo e più appetibile per molti comici proprio perché permette di raggiungere un pubblico più ampio. Sono disposti ad “addomesticarsi” e a adattarsi a quel medium un po’ banalotto, che nelle cinque stagioni di Mrs. Maisel è stato un oggetto scontato ma onnipresente, un sottofondo ricorrente ai dialoghi nell’ambiente domestico, un contrappunto alle emozioni dei personaggi, uno specchio per i loro pensieri e le loro aspirazioni, nonché un argomento di conversazione nei salotti.

Ha senso, dunque, che le figure del quotidiano di Midge — l’agente, i genitori, la suocera, l’ex marito e la migliore amica — siano tra il pubblico a ridere assieme a lei. La risata, come il piccolo schermo che la ospita, è uno strumento che ridimensiona la realtà e ci restituisce al nostro quotidiano, che ci appare un po’ meno drammatico. Curb your enthusiasm, «Trattenete l’entusiasmo», è dopotutto il titolo di una delle comedy più esilaranti di sempre. Quella di Midge è dunque una rivalsa di altro genere, e non si chiude sugli applausi trionfanti e le debordanti risate del pubblico, su una carrellata di glorie future; oppure, al contrario, sul racconto tragico di una caduta.

Qui, infatti, non si fa cinema, si fa tv, e più che guardare agli estremi è meglio fare un bilancio, una media. Gli alti e bassi del futuro della comica li abbiamo già visti, elaborati, razionalizzati. Il pezzo di stand-up non viene isolato o elevato, ma seguito da un proseguo anticlimatico, dove Midge viene invitata da Gordon Ford alla scrivania per una breve intervista. La deviazione inaspettata della comica è stata riassorbita e mitigata, dato che in tv vigono le regole del buon senso: the show must go on, o meglio, the flow must go on. L’imprevisto, soprattutto se è buon intrattenimento, va assecondato, elaborato e sdrammatizzato.

Anche questo è il bello della diretta, non si sa mai se c’è il trucco o la spontaneità, se l’imprevisto era previsto, perché talvolta sembra tutto funzionare e fluire così bene. Scegliamo di credere all’inaspettato, perché dopotutto la tv è il medium della realtà, del qui ed ora, ma quanto di tutto ciò è artefatto? Midge aveva esattamente tre minuti e cinquantasei secondi per la sua stand-up, che invece è durata il doppio. Inoltre, Gordon Ford Show dovrebbe essere in diretta, come viene sottolineato dalle parole e dal comportamento degli addetti ai lavori. Tuttavia, nel 1961 la differita era già ampiamente impiegata per trasmissioni di questo tipo.

Midge avrebbe quindi potuto essere fermata senza troppi danni? E risucchiati dalla dimensione dello studio, abbiamo davvero la certezza che qualcuno da casa — eccetto noi — stesse vedendo Midge in quel momento? Chissà. Forse importa più creare un effetto di realtà che dimostrare realismo: The Marvelous Mrs. Maisel è anche, dopotutto, una grande illusione, un’illusione televisiva, che però funziona in quanto sostenuta da elementi reali del quotidiano.

I dialoghi-fiume colmi di umorismo, tipici della sceneggiatrice Amy Sherman-Palladino, portano all’estremo la natura della tv come medium della “parola parlata”: nessuno chiacchiera così tanto, come si era già detto per Una mamma per Amica, o forse sì? A parlare sono macchiette molto umane, che si muovono in una New York utopica e “sitcomizzata” dove ogni casa, strada, bar o negozio è più che altro un’idea di casa, strada, bar o negozio. Tutti questi elementi, assieme ai toni vividi e sgargianti degli abiti, evocano una realtà televisiva “più vera del vero”, una New York a colori e ad alta definizione, collocata paradossalmente in un’epoca in cui la tv era in bianco e nero e a bassa definizione.

E anche quando ci addentriamo nei bassifondi sembra tutto molto composto, razionalizzato, un lato gioiosamente trasgressivo e comicamente giustapposto a ciò che è rispettabile e borghese, con il quale convivere nei rispettivi equivoci. Un’utopia mediana, dunque, costantemente ridimensionata dal suo stesso mettersi in ridicolo, che trascina con sé e livella anche le vuote retoriche, i miti fine a sé stessi di cui sono conditi tanti racconti sul mondo dell’intrattenimento. Probabilmente, se Midge avesse incorporato maggiormente i lati più controversi di Joan Rivers, la stand-up comedian alla quale ci si è ispirati per la serie, o se ci fosse stato mostrato il corpo senza vita di Lenny Bruce dopo l’overdose, The Marvelous Mrs Maisel sarebbe potuto diventare un altro period drama come ve ne sono tanti altri.

L’eccesso di realismo ha infatti una pecca: si prende troppo sul serio, mentre la comicità non resiste e punta il dito verso l’artificio che è in ogni cosa, dandoci gli strumenti per decostruire un’illusione proprio mentre ci viene mostrata. È dunque giusto che la serie si concluda nella maniera più banale e quotidiana possibile, al contempo dolce ma profondamente antiromantica. Susie e Midge, due vecchie amiche ricchissime, umoristicamente incuranti del lusso che le circonda, si telefonano da due fusi orari diversi e inseriscono nel videoregistratore la cassetta dove è registrata l’ultima puntata del game show Jeopardy. Premono “play” allo stesso momento così da simulare un’esperienza di visione in diretta e condivisa: tuttavia, la televisione, da occasione per stare assieme, diventa presto rumore di sottofondo, ridimensionata dalle grasse risate delle due.

Riferimenti bibliografici
C. Bucaria, L. Barra, a cura di, Taboo comedy. Television and controversial humour, Palgrave Macmillan, Londra 2016.
S. E. Ketcher, Revel with a cause. Liberal satire in postwar America, University fo Chicago Press, Chicago 2006.
D. Marc, Demographic Vistas. Television in American Culture. Revised, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1996.
E. Nussbaum, Mi piace guardare. Critiche e riflessioni sulla tv americana, Minimum fax, Roma 2020.
P. Ortoleva, L. Barra, Perché si piange al cinema, perché si ride alla televisione in Media-storie: lezioni indimenticate di Peppino Ortoleva, a cura di L. Barra e G. C. Galvagno, Viella, Roma 2020.

La fantastica signora Maisel; regia: Amy Sherman-Palladino; sceneggiatura: Amy Sherman-Palladino; interpreti: Rachel Brosnahan, Alex Borstein, Michael Zegen, Marin Hinkle, Tony Shalhoub, Kevin Pollak, Caroline Aaron; produzione: Dorothy Parker Drank Here Productions, Amazon Studios; distribuzione: Amazon Prime Video; origine: Stati Uniti d’America; anno: 2017.

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