In genere nei confronti di un artista (qualunque sia il campo espressivo) che centellina la sua produzione, si concede lunghe pause tra un’opera e l’altra, si delineano due scuole di pensiero: quelli che ritengono che è il segno di una debolezza espressiva – complice l’equivoco che è la quantità che fa la differenza, che l’iperproduttività è il termometro di una vitalità artistica, è la spia di una creatività costante – e quelli che al contrario pensano che l’artista si esprime quando ha qualcosa da dire, che spesso ha bisogno di lunghi periodi di silenzio e di visibilità per creare, e quindi le lunghe pause sono l’evidenziatore di una creatività mirata e meditata.
Se ci spostiamo poi sul versante del cinema, nel caso degli artisti che non fanno i registi di “mestiere”, la diffidenza e il preconcetto possono aumentare proprio perché i terreni espressivi sarebbero incompatibili e quindi l’autore di turno sarebbe un artista in prestito al cinema. Se poi l’artista in questione si chiama Mimmo Paladino, allora i due partiti potrebbero anche “venire alle mani” visto che in questo caso è problematico liquidare schematicamente i pro e i contro. Paladino, infatti, con il suo secondo film da regista, La Divina Cometa, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma quasi vent’anni anni dopo Quijote (2006), il suo film d’esordio (rilettura dell’omonimo romanzo di Cervantes), non mette d’accordo le due fazioni, anzi finisce per spiazzare entrambe in positivo e in negativo.
A spazzare via equivoci e ambiguità sull’argomento ci pensa lo stesso Paladino laddove – in linea con il pensiero di Deleuze per il quale i grandi autori sono come i pittori o i musicisti che parlano meglio di altri di quel che fanno, trasformandosi così in filosofi per cui non bisogna chiedersi “che cos’è il cinema?” ma “che cos’è la filosofia?” – afferma:
Ho sempre pensato che un film non si sostituisca alla pittura, non vi si sovrapponga, è semplicemente un’altra cosa. Nello stesso tempo però se guardi nell’obiettivo, nel rettangolo della macchina da presa puoi immaginare che quello sia lo spazio della tela. Ma non solo questo. Quello che conta non è solo il momento delle riprese o della regia. Non è l’unico momento creativo. Molto avviene durante il montaggio, o la composizione delle musiche… È una forma che prende vita lentamente. Per molti versi il cinema è paragonabile alla scultura. Quando modelli una forma in creta o in gesso, hai appena cominciato. Dopo c’è la fusione, la limatura, la patina… Non solo. I tempi di attesa, i tempi tecnici tra un film e una scultura sono simili. E nel momento in cui ti fermi accade che poi rivedi il lavoro con occhi nuovi. E magari ricominci. Creare un film è qualcosa di analogo alla scultura, ma è come plasmare la luce. Questo è quello che mi ha affascinato. Lavorare con la luce che si materializza, che diventa immagine, movimento, parola, suono.
Del resto, è il percorso stesso di Paladino, profeta della Transavanguardia, ad enunciare le contaminazioni e le interazioni artistiche. Sviluppa la propria riflessione a partire dalla fine degli anni ’60 caratterizzandosi fin dal principio per una ricerca aperta a tutti i linguaggi, inizialmente con particolare attenzione alla fotografia e al disegno, fino all’uso della performance; una ricerca nel tempo sempre più tesa a trovare un vasto sistema linguistico in cui far confluire varie tecniche e discipline.
Alla pittura, all’incisione e alla scultura, Paladino assomma frequenti incursioni in settori artistici differenti, nel 1981 crea la Transavanguardia: “un nuovo spirito del tempo”, secondo le teorizzazioni di Achille Bonito Oliva. Nei decenni successivi continua a sperimentare, cercando un rapporto con lo spazio urbano e firma alcune installazioni che determinano un ampio impatto popolare. E propone anche un nuovo modo di concepire l’evento espositivo, cercando di allargarsi al di fuori delle stanze museali.
La passione per la fotografia e il cinema è sempre stata un elemento ricorrente nella sua produzione. E allora La Divina Cometa accompagna lo spettatore in un immersivo viaggio nell’arte in tutte le sue forme, dal teatro alla pittura, dalla letteratura alla fotografia, rivisitandole attraverso il suo sguardo, con un cast ricchissimo di interpreti che per varietà, eterogeneità e differenze generazionali esemplifica in maniera efficace il suo iter, incarnandone il senso: Tomas Arana, Mimmo Borrelli, Angelo Curti, Nino D’Angelo, Elio De Capitani, Francesco De Gregori, Roberto De Simone, Cristina Donadio, Giuliana Gargiulo, Sebastiano Grasso, Alessandro Haber, Enzo Moscato, Sergio Rubini, Luca Saccoia, Peppe Servillo, Toni Servillo, Tonino Taiuti, Giovanni Veronesi e tanti altri.
La Divina Cometa è di diritto un’operazione postmoderna. I termini postmoderno, postmodernità, postmodernismo negli ultimi anni sono diventati abusati senza necessariamente rendere pregnanti i concetti ad essi legati, intendendo spesso uno scolastico “dopo la modernità”. In questo caso, invece, Paladino si colloca esattamente nell’impostazione teorica del filosofo Jean-François Lyotard nel suo fondamentale testo La condizione postmoderna, vale a dire «l’incredulità nei confronti delle metanarrazioni. […] Il sapere postmoderno non è uno strumento di potere. Raffina la nostra sensibilità per le differenze e rafforza la nostra capacità di tollerare l’incommensurabile».
Con il suo stile unico, remoto, arcaico ed estremamente contemporaneo, l’artista – con alcuni espedienti grammaticali e sintattici del gioco linguistico – mette in scena il viaggio dantesco ma ricostruendolo all’interno di un immaginario popolare, dove alto e basso si mischiano, e dove il presepe ingloba la vicenda di Dante, in una sorta di sacra rappresentazione. Si tratta di un’esposizione di figure e di temi, un viaggio cinematografico che unisce la Divina Commedia dantesca con la tradizione partenopea, un lavoro fantasmagorico a cui Paladino è arrivato mettendo insieme una serie di idee e appunti poi messi in forma di sceneggiatura con Maurizio Braucci, sulla base di testi di Dante Alighieri, Aldo Nove, Enzo Moscato e altri.
Del resto già la semplice trama esibisce degli elementi narrativi e una struttura diegetica spiazzanti ed enunciativi all’insegna del rifiuto appunto di una macronarrazione. Un treno porta a destinazione un attore e una famiglia di senzatetto. Il loro viaggio non è solo la ricerca di una casa ma una messa in scena: l’attore prende le vesti di un Dante che nessuno accompagnerà nella sua discesa all’inferno e la famigliola vaga alla ricerca della casa promessagli. Di volta in volta, un numerologo prova a trovare un senso a tutta questa commedia, a raccontare il viaggio tra i gironi infernali e le grotte del presepe, tra l’arte popolare e quella di ricerca. Il viaggio di ciascuno dei personaggi è un unico andare, guidati da una divina cometa, in un’ascesa dal fondo dell’inferno fino al paradiso. E poi giù citazioni esplicite o involontarie: un sud d’Italia fuori dal tempo, un deserto western, stazioni desolate in mezzo al nulla, campagne riarse, strade disabitate. E dentro, gli attori, pedine di un cinema brechtiano dove ciascuno declama un suo pensiero rubato a un filosofo, a un poeta, a un drammaturgo senza interagire davvero con gli altri personaggi.
Sullo sfondo musiche da Brian Eno, Arvo Pärt, Philip Glass, le Variazioni Goldberg suonate da Glenn Gould, ma anche canzoni del nostro passato, come Ma l’amore no, cantata da Alida Valli. C’è anche il Bergman de Il settimo sigillo o Il volto con il vagabondaggio delle sue compagnie di attori, che sono anche un po’ mendicanti, un po’ disperati. In questo viaggio, figure della Commedia di Dante si mescolano a quelle del presepe, ma anche ad echi del teatro di Eduardo, Natale in casa Cupiello e Napoli milionaria! Appaiono il conte Ugolino, Giordano Bruno, e Pitagora che discetta sul senso dei numeri. I Re magi sono De Gregori, Alessandro Haber e Nino D’Angelo.
Il film è come un presepe. Ogni figurina sta, racconta la sua storia, offre la sua opinione sul mondo. Il film di Paladino non ci dà certezze, nonostante attinga alle parole dei più grandi scrittori, drammaturghi, filosofi, matematici. Altro aspetto interessante del viaggio di Paladino è la ricaduta formale sul piano del rapporto tra la parola e il testo, tra il parlato e le voci dei protagonisti e la (ri)scrittura dei vari testi ai quali l’artista ha attinto.
Qui non si può non pensare a Derrida e al suo “decostruzionismo”, al suo atteggiamento verso la tradizione filosofica occidentale, in particolare quella che lui chiama la “metafisica logocentrica della presenza” per la quale la parola è presenza mentre la scrittura è assenza, negazione della presenza. Nel discorso parlato, cioè, l’anima ha “presente” in maniera immediata la verità, nel testo scritto questa immediatezza non c’è più. Nel parlare l’anima si esprime direttamente, è “presente”, nel testo scritto non c’è più. Il filosofo ha operato un rovesciamento di questa umiliazione della scrittura e della centralità della parola, propugnando la necessità di partire dai testi e di abbandonare l’idea dei libri. I testi hanno a che fare con la scrittura, i libri con la parola; i testi sono anonimi, neutri, artificiali, mentre i libri vogliono essere l’espressione diretta e naturale della “voce” dell’autore.
Chiudere con il libro, aprirsi al testo significa quindi non privilegiare la voce, la parola, ma la scrittura, la “tessitura”; significa non accettare la logica tradizionale della metafisica della presenza (la voce e la parola esprimono direttamente la presenza, la scrittura e i testi indicano l’assenza). Se distinguiamo il testo dal libro, la distruzione del libro mette a nudo la superficie del testo. Questa violenza necessaria risponde ad una violenza del passato che non fu meno necessaria. E di fronte a La Divina Cometa si prova proprio la sensazione che dalle parole dei personaggi vaganti rimbalzano non gli stralci dei libri pubblicati che proteggono i testi ma la vita della scrittura dei testi stessi.
Riferimenti bibliografici
G. Deleuze, L’immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1993.
J-F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 2006.
F. Restaino, Derrida. Decostruzione e post-filosofia, in Filosofia. Da Gadamer alla filosofia analitica, RCS MediaGroup, Milano 2018.
La Divina Cometa. Regia: Mimmo Paladino; sceneggiatura: Maurizio Braucci, Mimmo Paladino; fotografia: Cesare Accetta; montaggio: Giogiò Franchini; interpreti: Toni Servillo, Francesco De Gregori, Alessandro Haber, Sergio Rubini, Nino D’Angelo, Ferdinando Bruni, Luigi Credendino, Cristina Donadio, Giovanni Esposito, Peppe Servillo, Giovanni Veronesi, Tomas Arana; produzione: Run Film, Nuovo Teatro, Rai Cinema; distribuzione: Officine UBU; origine: Italia; durata: 93′; anno: 2023.