Dopo una serie di libri più o meno tradizionali sull’antispecismo e la questione animale, che hanno marcato in maniera importante il dibattito italiano, da qualche tempo Massimo Filippi ha cominciato a sperimentare nuove forme di linguaggio e composizione.

Già Il virus e la specie. Diffrazioni della vita informe (2020) usava la forma della “diffrazione”, cioè della deviazione dalla traiettoria rettilinea del pensiero tradizionale che si propaga in modo ondulatorio e rizomatico, per analizzare da molte prospettive e angolature diverse il tema attualissimo della specie nell’epoca delle pandemie, combinando temi, idee e immagini in diverse costruzioni di scrittura. Ma è soprattutto in M49. Un orso in fuga dall’umanità (2022) che Filippi giocava con la figura della “fuga”, tentando di sfuggire appunto alla presa della “teoria” pura e dell’argomentazione lineare e finanche, a tratti, alle leggi della lingua e della grammatica, arrivando a inventare una lingua nuova ricca di neologismi, giochi grammaticali, sintattici, e stilistici.

Nel suo nuovo libroDiario di un anno. Biopoesie 2022-2023, Filippi si allontana ancora di più dalla “teoria” tradizionale e si sperimenta nella poesia. Come indica il titolo, il libro è un “diario”, ovvero una sorta di cronaca o registro giornaliero di fatti, esperienze, pensieri, sensazioni, immagini – sotto forma di poesia. Le occasioni per le poesie sono semplicemente ciò che si è presentato all’autore (che nella nota introduttiva specifica che «occasione» etimologicamente è proprio ciò che “cade” innanzi o contro) in modo assolutamente contingente e aleatorio, e ha provocato l’ispirazione a scrivere.

Anche in questo libro, quindi, Filippi si ispira alla figura del rizoma proposta da Deleuze e Guattari – senza dubbio l’influenza maggiore sul suo pensiero – per cui il diario si dirama in mille direzioni diverse, senza un piano o un progetto sistematico. L’epigrafe, tratta proprio da Millepiani di Deleuze e Guattari, è programmatica: «L’ideale per un libro sarebbe stendere ogni cosa […] su di una stessa superficie: eventi vissuti, determinazioni storiche, concetti pensati, individui, gruppi e formazioni sociali» (Filippi 2024, p. 7). E questo è proprio ciò che il libro cerca di fare: stendere una accanto all’altra, sulla superficie del libro, le reazioni estemporanee alle mille sollecitazioni di ogni giorno.

Le poesie non hanno un titolo ma portano solo la data di composizione: una poesia al giorno (i sei disegni di Luigia Marturano che accompagnano le poesie, invece, hanno tutti un titolo). La data d’inizio, il 18 ottobre 2022, non ha alcun significato preciso, ci dice l’autore, se non quello di dare principio al libro, come non ce l’ha la data dell’ultima poesia, il 17 ottobre 2023. È un anno «qualsiasi» (ivi, p. 9). Le poesie sono di lunghezza diversa, e vanno dai 3 versi del 13 luglio a circa una pagina del 25 giugno.

Anche la forma varia molto: alcune poesie sono in rima, altre giocano con l’allitterazione, altre adottano il verso libero; alcune sono più tradizionali, altre tentano esperimenti formali; alcune giocano con modelli poetici conosciuti, parodiando, parafrasando o modificando poesie assai note, altre dialogano invece con concetti filosofici, con la storia, o con la quotidianità (spesso limitandosi ad accenni impliciti che devono essere decifrati); il linguaggio a volte è dotto e ricercato, altre piatto e quotidiano; e pure l’uso dei pronomi – il soggetto è maschile o femminile? – diventa un gioco. Tutte le poesie, però, sono accomunate dal fatto di essere “biopoesie”, e cioè di essere esplicitamente informate dalla vita e dal suo divenire: vita che si fa poesia e poesia che si fa vita, in un intreccio che vuole mettere in evidenza proprio questo dialogo e questa dipendenza

La vita che si fa poesia, però, è quel divenire deleuziano che Filippi chiama, con un termine poetico entrato ormai anche nel linguaggio filosofico, «vitamorte»: un fluido e incessante ondeggiare, passare e straripare da uno stato all’altro che non solo dissolve le individualità e personalità, ma anche le divisioni di specie. È così che la poesia del 6 ottobre lo esprime:

Avanti e indietro come un’onda:
Il giorno si fa notte e viceversa,
La vita nella morte si feconda,
La morte nella vita si riversa,
Limitrofo orizzonte degli eventi 
Nelle membrane umide e porose,
Sferzate dalla pioggia e poi dai venti,
Materia strana che anima le cose (ivi, p. 120).

A livello contenutistico, quindi, ritroviamo in questo libro tutti i temi cari a Filippi, dall’antispecismo alla critica del capitalismo, dall’attenzione alla sofferenza altrui, umana e non, allo sguardo desolato sulla ferocia e decadenza del presente, ecc. Il filosofo, il teorico e l’antispecista sospingono e nutrono il poeta con i temi e gli atteggiamenti che sono loro cari, ma gli lasciano mano libera nell’aspetto formale: le poesie, anche quando molto “filosofiche” o “politiche”, non sono mai didattiche, e sono sempre la forma, il ritmo, la musica a guidare la scrittura. Anche quando certi temi, come, ovviamente (visto che è forse il tema centrale della scrittura di Filippi) quello di “specie”, si impongono con una certa frequenza. La poesia del 7 novembre ne è un esempio:

La specie è linea
Che altre linee taglia.
L’individuo del pari
È strappo nella maglia,
Bieca invenzione.
Insonne il processo
Esonda tuttavia,
E sfugge dalla teca
In altra direzione (ivi, p. 18).

Come quello del filosofo e dell’antispecista, lo sguardo del poeta sul presente è pieno di malinconia, orrore e spavento. Lo spettacolo che le “occasioni” quotidiane propongono è a dir poco desolante, e quindi anche il tono della maggior parte delle poesie, e in fondo di tutto il libro, è alquanto cupo. Forse questa è la cifra del nostro tempo, con il ritorno dello spettro della guerra e dei fascismi, con il montare della rabbia xenofoba, le infinite morti in mare non piante, e il clima impazzito (la lista potrebbe continuare ma mi fermo qui). Lo sguardo dell’antispecista va però più a fondo, e dietro il velo dell’odierno rigurgito di cattiveria e violenza vede la “normalità” della violenza silenziosa che da sempre caratterizza l’umano. Il paradigma che ricorre incessante in queste pagine è infatti il macello, cifra della violenza normalizzata della quotidianità, come ad esempio nella poesia del 21 settembre (in occasione di quanto accaduto nel rifugio “Cuori liberi” di Sairano: dieci maiali uccisi a causa della peste suina):

La mattanza s’è compiuta
Oltre macello e malattia.
Grandi orecchie, unghia fessa,
Buchi nel naso, pelle spessa.
Dentro il rimorchio del camion
L’ultimo volo terreno,
Stralci pronti a ritornare (ivi, p. 114).

Ma, come recita il primo verso della poesia del 26 marzo, «Ovunque s’azzarda poesia» (ivi, p. 60), e, insieme al puro gioco della lingua, alcuni scampoli di bellezza «si azzardano» a emergere nel mezzo dello squallore della storia e del presente. Sono una minoranza, ma non per questo sono “occasioni” meno importanti o significative delle altre. Il 25 maggio recita:

Aguzze spine folte di bellezza,
Folle primavera che si danza,
Riflesso accecante nella brezza,
Splendido e ostile è ciò che avanza (ivi, p. 78).

In fondo, lo scopo degli esperimenti deleuziani di Filippi è proprio quello di creare e inventare “vie di fuga” dalle gabbie di una storia violenta e spietata e di un presente incattivito e crudele, ma anche da quelle di una parola e un discorso ormai logori e stanchi, in cui anche le idee e gli afflati più passionali rischiano di impaludarsi. Anche le idee, i concetti, gli ideali pulsano di vita oppure languiscono e muoiono nelle secche di una lingua svuotata. E la poesia offre alla lingua del filosofo, del teorico e dell’attivista nuova linfa e nuova vita che queste “vie di fuga” possono scovare, scavare, e inventare. In questo libro Filippi ha provato a lasciarsi trasportare dal potere dionisiaco della lingua, che in quanto tale si oppone alla chiarezza apollinea della “teoria” per riguadagnare le energie ctonie e sommerse della parola. Questa è la sua poetica e il messaggio/sfida che ci lancia:

La dissennata follia del verso
Contro le liturgie trite e abusate,
Il sabba del dialogo sommerso,
Il vortice delle sillabe infuocate (8 ottobre, ivi, p. 120).

Riferimenti bibliografici
M. Filippi, Il virus e la specie. Diffrazioni della vita informe, Mimesis, Milano 2020.
Id., M49. Un orso in fuga dall’umanità, con disegni di Andrea Nurcis, Ortica editrice, Aprilia 2022.

Massimo Filippi, Diario di un anno. Biopoesie 2022-2023, con disegni di Luigia Marturano, Meltemi, Milano, 2024.

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