Impressiona leggere il libro di Luca Casarini, scritto insieme a Gianfranco Bettin, all’indomani del processo a Matteo Salvini per la vicenda Open Arms, conclusosi con assoluzione piena poiché “il fatto non sussiste”. Evitando accuratamente di entrare nel merito della vicenda giudiziaria, e lasciando da parte la scorciatoia di una lettura politica abborracciata, tento qui una lettura incrociata dell’attualità e del libro di Casarini, appassionante racconto della nascita e del lavoro della Ong Mediterranea. Spero così di restituire qualcosa di simile a una visione panoramica sull’immaginario che contraddistingue questo tempo ferocemente cinico e contraddittorio, ma di aprire anche alla possibilità di un altro immaginario, di un’altra narrazione, di un altro modo di concepire ciò che sta accadendo nel Mare nostrum.
Da un lato, il racconto dominante – non solo in ambito politico – accredita l’immagine di un’invasione del nostro Paese da parte dei migranti, la cui distanza culturale, economica, sociale e (talvolta) religiosa li rende i candidati perfetti per incarnare le paure xenofobe che nel nostro Occidente in crisi d’identità sembrano garantire un minimo di collante interno, di consenso elettorale, di giustificazione per lo stato di crisi permanente e per il senso di insicurezza. Ecco allora che chi cerca una vita migliore (o anche soltanto di salvarsi la vita) viene raccontato come potenziale criminale, terrorista, avversario della nostra civiltà; in alternativa, l’immagine minacciosa si capovolge in una figura improbabile e grottesca: il fannullone, il parassita, il falso povero che si fa trasportare dai “taxi del mare” o che finisce a bordo delle navi delle organizzazioni non governative che, fingendo di impegnarsi nel salvare vite in mare, non fanno altro che “bighellonare” (la citazione, tratta dalla cronaca, è testuale) in giro per il Mediterraneo.
A questo modo di raffigurare i fatti, ritenuto una mistificazione da parte di un’altra cultura sensibile alla questione migratoria, rispondono libri, spettacoli teatrali, film che spesso toccano le corde della tragedia e restituiscono in maniera drammatica il punto di vista di chi in prima persona compie il viaggio della speranza dall’Africa all’Europa. Il punto di vista risulta così ribaltato e siamo in grado di cogliere con gli occhi di chi sbarca sulle nostre coste il dolore, la paura, l’umiliazione. Se è vero che nel cinismo della narrazione dominante vi è un implicito pregiudizio culturalista (“noi” e “loro” vivremmo esperienze tanto diverse da risultare incommensurabili, ed è per questo che il rispecchiamento fallisce e la loro sventura stenta a diventare la nostra), nello sguardo tragico di questo secondo genere di racconto alberga senz’altro la pietà, che però i cattivi di professione non cessano di tacciare di pietismo.
Rispetto a queste due narrazioni che si fronteggiano – la “nostra” e quella che mettiamo in scena come la “loro” –, il libro di Casarini imbocca una strada alternativa. Diverso è il registro espressivo, diverso il punto di vista. La storia della nave Mare Jonio nasce da un rimorso di coscienza che prende la forma di un incubo, in cui Casarini assiste al naufragio dei propri figli. Questo sogno tormentoso mette in moto l’ex “disobbediente”, leader di quelle che a cavallo tra anni Novanta e primi anni Duemila venivano chiamate le “tute bianche”, che concepisce il progetto di imbarcarsi per salvare vite umane e, per realizzare questo proposito, ricostituisce la “banda” di compagni e amici di sempre, con cui ha condiviso numerose lotte. A questo primo nucleo si aggiungono altri compagni di strada, nuovi incontri costellano la strada che conduce – non senza difficoltà – la nave a prendere il largo e a iniziare la sua missione.
Il punto di vista del racconto, quando vengono ripercorse le vicende politiche e giudiziarie che accompagnano l’iniziativa ma anche quando vengono ricostruiti gli snodi più terribili delle operazioni di salvataggio in mare, è sempre quello di Casarini e dei suoi compagni; scelta consapevole e tematizzata dallo stesso autore:
Se in questo libro sembra manchino le voci dirette delle e dei migranti, è perché il vero racconto della nostra epoca – e dunque anche l’altra faccia della storia di Mediterranea – sono e saranno loro a scriverlo. […] Se noi proviamo a raccontare una parte della storia, per quanto inesorabilmente e inestricabilmente intrecciata con le esistenze di migliaia di persone incontrate durante le missioni in mare, è anche per fare spazio, per dare voce, per prepararci al decisivo ascolto di chi si è messo in viaggio. Solo così, dopo aver mostrato il vero volto di un’epoca spietata, sapremo forse immaginarne e crearne, insieme, una migliore (Casarini 2024, p. 156).
Nessuno parla per altri, correndo il rischio di proiettare pensieri ed emozioni estranei su coloro che intraprendono la traversata: non siamo più “noi” che parliamo per “loro”. Semplicemente, il “noi” si sfalda perché il racconto di chi raccoglie e assiste i migranti rivela un terzo punto di vista, in cui il lettore facilmente tende a immedesimarsi. Casarini e compagni vivono nel nostro Paese, lavorano e hanno una famiglia, hanno attraversato una storia recente che riconosciamo come comune – al di là delle interpretazioni che possiamo darne –, si muovono in un’attualità che è la nostra. Sono cittadini come noi che però, a differenza della maggioranza, non tollerano di rimanere inermi di fronte allo scempio che prosegue al largo delle nostre coste.
Dunque, si diceva, diverso è il punto di vista. Diverso però è anche il registro espressivo. Non più la tragedia – aristotelicamente intrisa di pietà e terrore – che spesso va in scena nel lavoro dei benintenzionati, ma l’avventura, la quête, il romanzo di pirati, l’epica. Tra richiami omerici e citazioni dei Blues Brothers, la “banda” di Casarini si ricostituisce in continuità con la sua precedente storia di disobbedienza – mai rinnegata – ma impara una più alta obbedienza (alla legge internazionale, cui sono subordinate le leggi populiste dei singoli Paesi, ma soprattutto alla legge non scritta della dignità umana). Irride i potenti, ne mette in ridicolo la grettezza e l’inconsistenza, seminando come in una spy story coloro che, inviati dalle alte sfere, si mettono sulle loro tracce. Spesso riescono a salvare vite strappandole alle onde, anche schivando qualche pallottola; altre volte devono chinare il capo amaramente davanti alle avversità naturali ma soprattutto davanti alla violenza umana.
Il libro di Casarini evita il sentimentalismo e racconta l’entusiasmo derivante dalla consapevolezza di agire per una causa giusta. E veniamo così a un ultimo aspetto, non trascurabile per un libro cui fa da prefazione il testo di una udienza generale di papa Francesco. Pirati e avventurieri, i membri dell’equipaggio di Mediterranea sono cospiratori, “respirano insieme” e confabulano per realizzare un progetto che è in primo luogo un’azione etica. Autoproclamandosi cospiratori del bene, come si evince dal titolo, la loro azione esorbita però dall’ambito della filosofia morale per toccare la dimensione teologica. Respirano insieme sul mare, divenuto la più grande fossa comune del pianeta, richiamandosi – forse inavvertitamente – a un altro tempo, all’inizio del tempo, in cui «lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Genesi 1,2). L’ispirazione religiosa dell’intera impresa diventa più chiara anche grazie all’incontro tra Casarini e l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, per poi manifestarsi compiutamente nel dono portato da Mediterranea in udienza da papa Francesco:
È una croce, secondo noi molto speciale, in resina e acrilico, trasparente, che nel punto di intersezione ha infisso un giubbotto di salvataggio arancione, recuperato da un naufragio di pochi mesi prima, il 3 luglio 2019. Purtroppo, recuperato in mare, probabilmente non aveva potuto servire allo scopo. Alta circa un metro e mezzo, la croce reca la scritta Mediterranea Saving Humans insieme alle coordinate del luogo del naufragio. La collochiamo in una grande cassa, con cui arriviamo in Vaticano, portandola in quattro, davanti a Casa Santa Marta (Casarini 2024, p. 120).
Il racconto di Casarini è alternativo anche in questo, nel suo demistificare il cristianesimo muscolare e identitario dei difensori della patria indicando quali sono i poveri cristi del nostro tempo; salvando la faccia dell’Europa che rivendica le proprie radici cristiane in maniera strumentale salvo poi rivelarsi incapace di cogliere i segni dei tempi, che oggi si presentano proprio con le fattezze dei “samaritani del mare”. Scherza su di sé Casarini, chiamandosi “il profeta” ma, ben al di là dei meriti o delle qualità personali, il suo libro attinge proprio al genere letterario profetico, indicando un futuro, una strada da percorrere, capace di restituire senso e dignità alla vita. Non solo dei migranti.
Luca Casarini con Gianfranco Bettin, La cospirazione del bene, con un testo di papa Francesco, Feltrinelli, Milano 2024.