È la primavera del 1988: in una stanza dell’Ambasciata sovietica di Roma un gruppo di giovani appena giunto nella Capitale dall’estrema provincia del Mezzogiorno attende impaziente di scoprire il motivo della sua convocazione. Si tratta di alcuni membri e collaboratori della giunta comunista che amministra il comune salentino di Melpignano, un remoto paesino di duemila abitanti che sta sperimentando però, proprio grazie all’operosità della gioventù raccolta attorno al sindaco Antonio Avantaggiato, una stagione di un certo fermento culturale. In trepidante attesa in quella stanza dell’Ambasciata è anche Sergio Blasi, ideatore poco più che ventenne dell’ambiziosissimo progetto de “Le Idi di Marzo”, un festival musicale che avrebbe radunato a Melpignano gruppi punk-rock in parte nostrani e in parte provenienti dall’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: un’impresa ritenuta da tutti – compreso Antonio Princigalli, collaboratore di Blasi nell’organizzazione – “completamente folle”. Finalmente una porta si apre. Ad entrare è un funzionario dell’Ambasciata che, rivolgendosi ai ragazzi, dice: “Il Presidente Mikhail Gorbaciov ha letto il vostro progetto e intende finanziarlo”. È questo il surreale punto di avvio dell’altrettanto incredibile vicenda narrata da Kissing Gorbaciov, un eccezionale viaggio nel tempo e nello spazio che muove dalla più stretta contemporaneità agli ultimi mesi della Guerra Fredda, dalla recondita periferia della Puglia al cuore pulsante dell’Unione Sovietica. 

Alla singolarità degli eventi ricostruiti dal documentario i due registi fanno corrispondere una modalità di narrazione altrettanto inconsueta. Mariani e D’Alife scelgono infatti di non limitarsi alla giustapposizione di materiali d’archivio e inserti di commento girati ex novo, ma tentano piuttosto di istituire tra le fonti storiche e i loro interlocutori contemporanei un vero e proprio dialogo. In Kissing Gorbaciov i documenti non sono soltanto mostrati allo spettatore, ma vengono anche interrogati, problematizzati e, dunque, vivificati grazie alla mediazione operata da uno sguardo altro, quello dei protagonisti delle stesse vicende che i documenti attestano, che si inserisce tra lo spettatore e le immagini d’archivio. Questa operazione di mise en abyme prevede che il film mostri insieme alle immagini documentarie in gran parte inedite quelle, non meno preziose, dei CCCP – indiscussi protagonisti del racconto – che, riunitisi dopo trent’anni, riscoprono con lo spettatore le testimonianze di una straordinaria ma ormai lontana avventura. Le emozioni che la visione delle immagini dell’epoca suscita nei membri del gruppo specchiano e doppiano quelle provate dal pubblico il cui riso, la cui sorpresa e la cui commozione risuonano in quelle dei quattro artisti, amplificandosi. 

Questo così travolgente racconto si articola in due diversi capitoli le cui vicende occupano complessivamente i pochi mesi tra il luglio 1988 e il marzo 1989. Alla stravagante esperienza de “Le Idi di Marzo”, il «primo sbarco ufficiale della nuova armata musicale sovietica» in Italia (Castaldo 1988), segue infatti, l’anno successivo, un altrettanto rocambolesco pellegrinaggio durante il quale un’improbabile “delegazione” punk-rock italiana composta dai Litfiba, i Rats, i Mista&Missis e, naturalmente, i CCCP – Fedeli alla linea raggiunge Mosca e Leningrado per un tour di otto giorni. Kissing Gorbaciov ci guida passo per passo, ma con un ritmo sostenuto e coinvolgente, da una tappa all’altra di questo viaggio surreale.  

Il racconto prende avvio da «uno stadio piccolo e polverosissimo, riarso dal sole implacabile» del Salento (ibidem): è lì che ha luogo la prima esibizione oltrecortina dei gruppi che il Segretario Generale del Partito Comunista Sovietico in persona ha scelto di inviare a Melpignano. Questa storia, l’incredibile storia de “Le Idi di Marzo”, ci parla del coraggioso, utopistico tentativo di riscatto di un luogo dimenticato ma desideroso di riconquistare per sé e per i suoi abitanti un posto sulla cartina geografica e sulla linea del tempo. Ci racconta del sogno, sorprendentemente avverato, di costruire un’operazione di diplomazia culturale capace di sottrarsi alle forme sterili del discorso ufficiale e di adottare invece un linguaggio, quello della musica underground, in grado di farsi interprete anche dei contesti più periferici. Ci suggerisce un modello di partecipazione alla Storia che risponde all’ipotesi, comoda ma svilente, dell’omologazione opponendovi la valorizzazione delle specificità identitarie e la rivendicazione della singolarità.

Alla pervasiva sensazione di vitalità e rinascita che emerge da questo primo capitolo si contrappone l’atmosfera asfittica e decadente che prende il sopravvento con lo sbarco dei gruppi italiani nell’Unione Sovietica della Perestrojka. Il contatto di complessi come i CCCP – il cui immaginario, ricorda Giovanni Lindo Ferretti, era “tutto”, da sempre, “volto ad Est” – con il tanto vagheggiato oggetto del loro desiderio scatena una duplice reazione: l’euforia sfrenata del raggiungimento di quella che da sempre percepivano come l’origine e insieme la meta della loro esperienza estetica si mischia al sapore amaro dei sogni infranti e delle speranze disattese. Se infatti da un lato emerge, diffuso e pungente, il disappunto causato dall’attrito tra il volto reale, stanco e prosaico dell’Unione Sovietica del 1989 e quella sua immagine eroica di cui per anni l’universo poetico dei CCCP si era nutrito, non meno flagranti risultano però gli effetti della forza esplosiva, addirittura detonante generata dal contatto di quello che a detta di Castaldo «sembrava l’unico vero gruppo sovietico» tra quelli esibitisi a Melpignano con la sua così sospirata Patria d’elezione. Come se le aspre tensioni che scuotevano l’URSS fossero state in grado di scatenare un urto violento ma vivificante, capace di risvegliare anche le più recondite delle pulsioni che da anni montavano in seno ai «più folli anarchici e teatralmente dirompenti tra i gruppi italiani» (ibidem), Mosca e Leningrado si fanno teatro di una performance sfrenata che «sfugge le definizioni», «un assalto emotivo» senza precedenti «che rimescola provincia emiliana e primitivismo punk, spiritualità e pornografia» (Solaro 1989). 

È proprio l’esito virtuoso di questa sintesi irripetibile tra spinte contrapposte a rappresentare l’eredità più significativa che gli eventi ricostruiti da Kissing Gorbaciov sembrano consegnarci. Quello tracciato dal documentario è infatti il ritratto di una congiuntura storica delicata, caratterizzata dal susseguirsi di scosse sempre più intense e frequenti, chiare avvisaglie di un prossimo, ineluttabile crollo ma capaci al tempo stesso di costruire – squarciando il terreno – nuovi spazi e nuove vie. Se è vero che la violenza distruttrice di un terremoto altro non è che energia cinetica liberata, ciò che questo film sembra suggerirci è allora proprio la possibilità di trarre nutrimento da questo tumulto, di insinuarsi nelle crepe create dagli urti per costruirvi, con audacia e con coraggio, una nuova strada da percorrere. Lo slancio instancabile, tanto intrepido da apparire avventato, tipico della gioventù e la forza contestataria e dissacrante connaturata alla musica punk sono qui descritti come efficaci armi di difesa, strumenti essenziali capaci di tramutare il vacillare delle certezze in un impulso di rinnovamento. Prima ancora o ancor più che il racconto di una storia, Kissing Gorbaciov è un inno, sentito e toccante, a tutto questo. 

Grande è la confusione / sopra e sotto il cielo /
osare l’impossibile, osare / osare perdere
CCCP – Fedeli alla linea, Manifesto (da Socialismo e Barbarie, 1987)

Riferimenti bibliografici
G. Castaldo, Dall’URSS sconcerto rock, in “Repubblica”, 26 luglio 1988.
A. Solaro, Cronache da un altro mondo. Con i CCCP e i Litfiba in tour in Russia, in “Rockerilla”, n. 105, Maggio 1989.

Kissing Gorbaciov. Regia: Andrea Paco Mariani, Luigi D’Alife; produzione: SMK Factory;  produzione esecutiva: Marta Melina, Silvia Veronesi; distribuzione: OpenDDB; sceneggiatura: Andrea Paco Mariani, Luigi D’Alife, Roberto Zinzi; fotografia: Salvo Lucchese, Nicola Zambelli; musica: Claudio Cadei; montaggio: Roberto Zinzi; scenografia: Cristina Bartoletti; interpreti: Massimo Don, Giovanni Lindo Ferretti, Viktor Sologub, Massimo Zamboni, Pavel Zelinskiy; durata: 97’; anno: 2023.

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