Kiki di Montparnasse fu una delle presenze che più segnò la vita bohémienne parigina degli anni Venti o, più precisamente, quella del quartiere Montparnasse. Figura eccentrica, vitale, spregiudicata riuscì a rideterminare il rapporto tra gli artisti e le loro modelle, rivendicandone con fierezza il ruolo. L’incontro tra la francese Kiki e il fotografo americano Man Ray, avvenuto nell’inverno del 1921, fu uno degli eventi maggiormente determinanti della carriera artistica di entrambi. La loro collaborazione – e la loro burrascosa storia d’amore – si rifletté in più ambiti: dalle celebri fotografie Le violon d’Ingres (1924) e Kiki con la maschera africana (1926) ai cortometraggi dell’artista. Mark Braude nel suo recente libro Kiki di Montparnasse (2022), riesce a ben delineare l’importanza di Kiki non solo nell’opera di Ray, ma anche nel generale fermento culturale parigino degli anni Venti.

Come accadde che questa giovane donna, di origini povere e oscure, figlia illegittima, la quale nel corso della sua breve vita riuscì a stento a guadagnare abbastanza per mangiare, cantando vecchie canzoni in cambio di mance, posando per l’arte altrui, vendendo disegni ai bevitori osservati dal suo sgabello al bancone: come accadde che questa giovane donna riuscì a cogliere come nessun altro lo spirito dell’epoca, senza fare altro che esibire sé stessa? (Braude 2022, p. 10)

A cento anni dalle follie parigine o, più precisamente, a cento anni dall’inizio della produzione cinematografica di Ray (Le Retour à la Raison 1923), cercheremo di fare un bilancio di quanto Kiki sia stata una presenza importante per l’opera dell’artista e, nella fattispecie, per i suoi corti. Sebbene Ray non si sia mai considerato un regista, ma un directeur du mauvais movies, le sue opere riescono ad offrirci uno spaccato del cinema sperimentale degli anni Venti e delle sue caratteristiche principali (in primis, il distacco dalla figurazione tradizionale, l’importanza della composizione, il ritmo veloce del montaggio). Questi brevi film sono anche utili per comprendere più a fondo la sua opera, nonché l’importanza dello strumento delle rayografie, la sperimentazione che attua nella sua arte e, come si anticipava, la fondamentale presenza di Kiki.

Nel suo primo cortometraggio, realizzato per lo spettacolo Soirée du Cœur à Barbe, Kiki compare per la prima volta in un’apparizione di alcuni secondi a fine film. Per quest’opera l’artista utilizza la rayografia, giocando e operando direttamente sulla pellicola cinematografica con diversi oggetti (tra cui puntine da disegno e sale e pepe). «Sullo schermo apparve una sorta di tormenta di neve», dirà l’artista, ribadendo come il film si concluda con un «dorso illuminato a strisce» (Ray 2014, p. 214). Questo corpo si va così ad inserire nel movimento complessivo delle immagini: figura che è «l’unica forma vivente del film, eppure è anche la meno viva» (Braude 2022, p. 110). Kiki, infatti, appare in questo movimento di forme, diventando parte di questo continuo ritmo di immagini. Particolarmente interessanti sono i contrasti che affiorano al suo interno: la danza surreale di cerchi, spirali che si muovono contrapposte ad una tempesta o al corpo di Kiki. Notevole, come sottolinea Dusinberre, è anche la presenza di alcuni negativi, indecifrabili attraverso il proiettore, di diversi nudi della modella. È possibile che Ray abbia cercato un effetto «subliminale», «proto-surrealista» (Dusinberre 1997, p. 35) e che la scritta Dancer/Danger faccia allusione a questo aspetto. Ancora una volta Ray gioca con Kiki e dona una nuova dimensione all’opera, tra senso e non-senso, rivelando così illusorio il ritorno alla ragione preannunciato dal titolo.

La seconda apparizione che Kiki farà nei corti di Ray sarà nell’ultima sequenza di Emak Bakia (1926), in cui la musa detiene un’importante parte nella conclusione del film. «Per concludere» – ci dice Ray – «feci un primo piano di Kiki. La sua passione per il trucco pesante mi aveva dato un’altra idea» (Ray 2014, p. 223). Prendendo ispirazione dal trucco di Kiki, l’artista conclude con questo «doppio risveglio» (Ray 2014, p. 224), creando un gioco tra dada e surrealismo e lasciando il film in sospeso con questa misteriosa figura di donna. La pellicola non ha una trama, Ray si sente libero di filmare ciò che suscitava il suo interesse. L’opera comincia con un’inquadratura dell’artista alla cinepresa nel tentativo di condurre lo spettatore in un viaggio verso una dimensione ottica pura. È, ancora una volta, una sinfonia visiva, un cine-poema, in cui si intervallano momenti più astratti ad altri più figurativi (come, per esempio, un viaggio in auto o dei movimenti ritmici di alcune gambe).

I collegamenti con il Ballet mécanique (1924) di Fernand Léger, amico di Ray, risultano evidenti. L’assenza di trama, l’alternanza di elementi figurativi e astratti avvicinano queste due opere, ma anche la figura di Kiki che agisce quasi da collante per tutti gli elementi del film: presenza luminosa, energica ricorrente in tutto il corto. Il suo viso pallido appare più volte, rivelando, volta per volta, diversi pezzi scomposti e ricomposti del suo volto. Anche nel film di Léger, Kiki è il ponte tra l’opera e lo spettatore, condividendone le emozioni con uno sguardo meravigliato mentre contempla le macchine di Léger o con la sua bocca sorridente quando commenta una scena bizzarra. Nelle inquadrature successive si nota poi la sua immagine pura, senza emozioni con lo scopo di «spersonalizzare al massimo la sua immagine […] mentre, ad un tempo, la espone all’impietoso scrutinio fotografico» o rendendo la figura umana «una scultura» (Lawder 1983, p. 152).

La collaborazione cinematografica tra Kiki e Ray termina con L’étoile de mer (1928), dove Kiki riveste il ruolo di vero e proprio oggetto del desiderio, di femme fatale. Il film, controparte del poema surrealista di Robert Desnos, ci presenta delle visioni illusorie, manipolando i simboli classici della bellezza – la stella marina, i fiori, la sensualità di Kiki – e trasformandoli in oggetti inquietanti. Ancora una volta, la forza del corto non sta nell’elementare trama presentata, ma nell’esperienza visiva che essa ci fa compiere. Anche se Kiki sembra essere unicamente «belle comme une fleur de feu», riprendendo il verso del poema presentato nello schermo, in realtà

La collaborazione di Kiki fu essenziale. La sua presenza elettrizza il film, è vitale per la sua efficacia. […] Quasi sempre Kiki è filmata attraverso i filtri offuscanti, eppure splende – a differenza di una personalità più debole, che si confonderebbe con lo sfondo fino a scomparire – e rende reale e concreto il proprio personaggio persino in un ambiente surreale (Braude 2022, p. 189).

Kiki è parte di questo movimento, fa risplendere l’opera, le conferisce forza. La questione non è più la rassomiglianza o il semplice ornamento, ma l’apparizione di un’energia creatrice, di un movimento ritmico. Ray, inscrivendosi nella corrente delle avanguardie, aderisce così ad un tentativo di creare un linguaggio nuovo, vale a dire una rottura del linguaggio ordinario. Il paradigma si sposta, dunque, dall’arte come riproduzione a produzione di un mondo.

La presenza di Kiki nella produzione cinematografica di Ray, ma non solo, è stata particolarmente dimenticata. La musa fu capace di creare un perno su cui ruotano gli interi corti dell’artista, ma anche di molti altri suoi colleghiin primis, Fernand Léger e René Clair – creando una vera e propria stella, ispiratrice e diva di tutta la produzione avanguardista. Kiki, «incarnazione di una sensibilità e di un’estetica innovative» (Bottani 2023), fu testimone e presenza essenziale di un nuovo modo di fare cinema, lontano dagli imperativi del mercato cinematografico. Con lei si apre e si chiude un’era, quella degli anni Venti, inaugurando così non solo un nuovo modo di fare arte, ma anche, di fare cinema.

Riferimenti bibliografici
S. Bottani, Kiki de Montparnasse: una vita larger than life in “Doppiozero”, 25 marzo 2023.
D. Dusinberre, Le Retour à la raison : Sens et non-sens in Man Ray : directeur du mauvais movies, a cura di J.-M. Bouhours, P. de Haas, Centre Georges Pompidou, Parigi, 1997.
S. D. Lawder, Il cinema cubista, Costa & Nolan, Genova 1983.
M. Ray, Autoritratto, Abscondita, Milano 2014.

Mark Braude, Kiki di Montparnasse: artista, intellettuale, musa fra Modigliani e Man Ray, Superbeat, Vicenza 2022.

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