Atteso da anni, non solo nel mondo della scandinavistica, il premio Nobel per la letteratura giunge per Fosse come un giusto riconoscimento del suo genio creativo. Classe 1959, nel corso della sua carriera letteraria Fosse si è cimentato con diversi generi di scrittura: romanzi, racconti, opere teatrali (tradotte in più di 50 lingue) poesia, saggi e persino libri per bambini.

Il suo debutto avvenne nel 1983 con il romanzo Raudt, svart (Rosso, nero), in cui il protagonista, un ragazzo, si scontra con l’ambiente bigotto e religioso della sua nascita. È facile individuare nell’argomento del romanzo una nota biografica, visto che lo stesso Fosse, nato a Haugesund, crebbe in una famiglia influenzata dal quaccherismo e dal pietismo da cui si allontanò abbastanza presto dichiarando prima il suo ateismo, per poi convertirsi al cattolicesimo nel 2013. Con i successivi romanzi, Stengd gitar (Chitarra chiusa, 1985), Blod. Steinen er (Sangue. La pietra è, 1987) iniziano a delinearsi quei tratti che saranno tipici della prosa fossiana: il monologo interiore, la musicalità del linguaggio (attraverso l’uso non scontato del nynorsk, il neonorvegese che accanto al più diffuso bokmål è una delle due lingue ufficiali della Norvegia), il minimalismo e l’uso estensivo, quasi ossessivo, delle ripetizioni. Con Melancholia 1 (1995) e Melancholia II (1996), incentrati sulla figura del pittore Lars Hertervig (18301902), Fosse raggiunge la piena maturità del suo stile. Tre voci e tre punti di vista diversi si mischiano e si sfumano nel monologo finale di Oline, un soliloquio carico di reiterazioni e segnato dal progressivo frantumarsi della comprensione individuale e del mondo, della realtà esterna da parte della protagonista femminile.

I primi romanzi di Fosse sono ambientati nell’epoca contemporanea, con dei riferimenti alla vita moderna, ma la temporalità è un mero sfondo nelle sue storie, fondamentale è invece lo spazio esistenziale in cui si muovono i protagonisti.

D’impatto e molto toccante è anche il romanzo breve Morgon og kveld (Mattina e sera, 2000), che in apparenza tratta il tema della nascita e della morte, ma che in realtà abbraccia lintera esistenza umana. Anche questo romanzo è suddiviso in più sequenze. Nella prima incontriamo Olai, che con timore attende la nascita di suo figlio Johannes. La seconda parte è invece la storia del viaggio dell’anziano Johannes verso l’aldilà, dove la morte è in attesa. Ancora una volta, Fosse fa largo uso della ripetizione rappresentando in modo realistico la mente umana e i suoi processi cogitativi, e spinge fino agli estremi la sua ricerca di una lingua musicale e priva di barriere in un testo che non contiene quasi per nulla segni d’interpunzione.

La musicalità è fondamentale nel processo compositivo di Fosse, «io possiedo una musicalità linguistica e non si tratta di scrivere parole, bensì periodi», e lo stesso autore cita la musica rock e Neil Young come quella cultura da cui ha tratto sensibilità e vocazione creativa ai suoi esordi: «Io sono arrivato alla scrittura dal rock. Un tipo di transizione quasi impercettibile, dalla chitarra alla macchina da scrivere» per poi allontanarsi, negli ultimi tempi, dalla passione musicale (con l’eccezione di Bach).

Lopera più ambiziosa di Fosse è, ad oggi, il romanzo Septologien (Settologia), composto da sette volumi raccolti in tre libri e in corso di pubblicazione anche in traduzione italiana. L’azione del romanzo si svolge durante il periodo dellAvvento. Il personaggio principale è Asle, il quale incontra un anziano pittore vedovo, anch’egli di nome Asle, un alcolizzato dai pensieri suicidi. La figura del pittore torna, come abbiamo visto, spesso, perché la pittura è un’altra delle passioni non nascoste dell’autore. Nel corso della lettura seguiamo due percorsi che si incrociano, ma che possono essere interpretati anche come due diverse declinazioni di ununica vita. Il tema del Doppelgänger di nuovo viene utilizzato da Fosse per inserire variazioni e ripetizioni, che sono la base compositiva e il filo rosso che percorre la Settologia. Ciascuno dei sette capitoli dell’ultimo volume del romanzo inizia con le stesse sette parole e si conclude con una preghiera. Il ritorno del numero sette riflette il valore simbolico che ha nella Bibbia, dove è tradizionalmente considerato rappresentante della perfezione. All’intero dei volumi le domande che tornano sulla soggettività, sull’umanità e sull’arte procedono con un tono lento e monotono, mentre i protagonisti cercano di trovare un’unità e una soluzione alle contraddizioni della vita (quella perfezione adombrata dal titolo).

L’approdo al teatro non è stato immediato per Fosse — se è vero che agli esordi l’autore aveva dichiarato la sua estraneità al dramma ma piuttosto tardo. Ispirato dal Aspettando Godot di Beckett, Fosse scrisse la sua prima opera teatrale Nokon kjem til å komme (Qualcuno arriverà) nel 1992. I protagonisti dell’opera sono un uomo e una donna, anonimamente designati con «Lui» e «Lei», che si preparano a vivere una vita in solitaria comunione lontani dalla società in una casa in riva al mare. Tuttavia, la presenza di un uomo che arriverà a sconvolgere i loro piani, come nella Donna del mare di Ibsen, è anticipata con ossessiva ripetitività sin dalle prime pagine del dramma. Anche in questo caso il panorama marino del paesaggio nord-occidentale norvegese ha, secondo le stesse parole dell’autore, avuto una grossa influenza sulla sua scrittura.

Finora, Fosse ha scritto più di 40 opere teatrali, i suoi drammi sono stati rappresentati su vari palcoscenici più di mille volte in tutto il mondo, il che lo rende il drammaturgo norvegese più rappresentato dopo Ibsen (non a caso è stato definito il «nuovo Ibsen»). Le sue pièce, al confine tra liperrealismo e il teatro dellassurdo, riprendono gli stessi elementi ritmici e linguistici della prosa, ricordando, nel loro incedere, di nuovo la musica. Nelle opere teatrali una vera e propria trama non c’è e, nel caso, è secondaria, il ritmo è rallentato e monotono come nei suoi romanzi, i personaggi sono pochi e spesso vengono indicati con pronomi o semplicemente con «Uomo», «Donna», «Padre» ecc. Le lunghe pause, il non-detto, proprio quell’indicibile che gli è valso come motivazione il premio Nobel, sono importanti tanto quanto ciò che viene detto, o forse di più. Il minimalismo

di natura, sono sempre stato una sorta di minimalista e, per me, il teatro è di per sé una sorta di forma d’arte minimalista, con molte strutture costitutive minimaliste: uno spazio limitato, un lasso di tempo limitato e via dicendo, (Fosse 2018, p. 69)

il silenzio e lassenza di comunicazione, i dialoghi frammentati e che rimangono sospesi costringono losservatore o il lettore, che dir si voglia, a riflettere sul ruolo del linguaggio nellinterazione umana. In questo Fosse è un maestro, trova le unità minime del linguaggio e del codice linguistico, necessari per le interazioni tra le persone, inserendole però in situazioni decisive. E queste persone si muovono in un contesto scenografico perlopiù vuoto: pochi personaggi dal linguaggio ristretto, ripetitivo e perfino decrescente. La scena, dunque, diventa quel luogo «nel quale s’incontrano i mondi di differenti personaggi», la cui essenza è in ciò che dicono come «nei silenzi e nelle pause».

Riferimenti bibliografici
J. Fosse, Teatro, a cura di R. Di Giammarco, Editoria & Spettacolo, Roma 2006.
Id., Melancholia, Fandango, Roma 2009.
Id., Insonni, Fandango, Roma 2011.
Id., Tre drammi. Variazioni di morte, Sonno, Io sono il vento, Titivillus, Siena 2012.
Id., Saggi gnostici, Cue Press, Bologna 2018.
Id., Mattina e sera, La nave di Teseo, Milano 2019a.
Id., Caldo, Cue Press, Bologna 2019b.
Id., L’altro nome. Settologia voll. I-II, La nave di Teseo, Milano 2021.
Id., Io è un altro. Settologia voll. III-V, La nave di Teseo, Milano 2023a.
Id., Teatro. E non ci separeremo mai, Qualcuno verrà, Il nome, Cue Press, Bologna 2023b.

Tags     Jon Fosse, premio Nobel
Share