The clown with his pants falling down
Or the dance that’s a dream of romance
Or the scene where the villain is mean
That’s entertainment!
(Spettacolo di varietà, Vincente Minnelli, 1953)

Dopo il sorprendente Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 2019 e dopo il trionfo al box office internazionale di Joker (origin story del villain per eccellenza di Gotham City), eccoci arrivati all’attesissimo sequel nuovamente firmato da Todd Phillips. In Joker: folie à deux il pericoloso assassino Arthur Fleck, catturato dopo l’omicidio in diretta televisiva dell’anchorman Murray Franklin, è ora detenuto e sorvegliato nell’ospedale psichiatrico di Arkham. La maschera del “clown Joker”, però, è diventata un’immagine virale che ha vita autonoma e che circola in una fitta ragnatela transmediale. Dalla maschera come rifugio-e-doppio nel primo film alla maschera come gabbia-e-fantasma in questo sequel. Insomma, se Arthur è corteggiato da giornali e tv per rilasciare interviste in attesa del processo-show che tutti attendono (la sua linea narrativa si consumerà tra un dramma carcerario alla Sorvegliato speciale e un legal thriller alla Schegge di paura); Joker è ormai diventato un personaggio pop che transita dal grande schermo cinematografico (è stato prodotto un film di successo uscito da poco nelle sale di Gotham), ai piccoli schermi televisivi (è protagonista di una striscia di cartoni animati ispirati ai Looney Tunes). Joker: folie à deux inizia proprio con un bellissimo corto d’animazione 2D, disegnato addirittura da Sylvain Chomet, che rimette in scena con tono slapstick la scissione di Arthur dalla sua cattiva ombra-Joker.  

Da dove ripartire, quindi? Non certo dai processi di emulazione e ribellione di massa che la mediatizzazione della maschera continua a produrre, perché elementi narrativi già sondati nel primo film; e nemmeno dal doloroso passato del personaggio anch’esso messo in luce e doverosamente raccordato con il destino del piccolo Bruce Wayne (futuro Batman). Todd Philips e lo sceneggiatore Scott Silver, infatti, decidono di dare per scontate tutte queste traiettorie narrative facendole avvertire nel fuori campo e invitandoci invece a condividere la tragedia della quotidianità di Arthur ad Arkham. Ecco che nelle prime sequenze del film il corpo di Joaquin Phoenix diventa il punctum di ogni inquadratura: l’estrema magrezza e l’accartocciamento vertebrale dell’attore, quindi la sua performance ancor più ferina, diventa un medium vivente che fa riflettere il film su sé stesso, sulla necessità di un sequel e sui nuovi orizzonti di senso da sondare. Sì, perché nel 2019 Joker ha aperto nuove frontiere per il cinecomic d’autore corteggiando le atmosfere del sofisticato mind game film. Quindi, la frantumazione del discorso filmico frutto di patologie mentali e traumi rimossi del protagonista invitavano lo spettatore a ricomporre un puzzle complesso e a porsi costanti dubbi sullo statuto delle immagini. In Folie à deux, al contrario, anche il mind game diventa un gioco scoperto. Ed è qui che si inserisce il personaggio di Harley Quinn nella magnetica e potentissima interpretazione di Lady Gaga che, in una manciata di scene, schiude infinite traiettorie immaginarie. Harley è una spettatrice (o una proiezione?) che ha deciso di entrare nell’universo di fantasia creato da Joker diventandone la protagonista: “Noi abbiamo solo la fantasia per esistere”. Quindi, imponendo allo stesso Arthur la sua credenza incondizionata nella maschera transmediale di Joker come unico orizzonte di verità. Il cupissimo dramma carcerario viene pertanto frantumato da visionarie irruzioni di dimensioni oniriche che riconosciamo balenare dal musical classico.

Insomma, nella nascente società dello spettacolo (“hai ucciso Murray in diretta tv, più reale di quello!”, dice il giornalista interpretato da Steve Coogan), è l’iconografia del cinema classico a prendersi in carico la riflessione estetica sulla circolazione delle immagini e sugli scarti veritativi ancora possibili. Spettacolo di varietà (The Band Wagon, 1953) di Vincente Minnelli è un magnifico riferimento intertestuale che fa ritornare al futuro la magia del musical e dello studio system di Hollywood nella costruzione di uno spazio-tempo alternativo ma sempre riconoscibile. Nel film di Minnelli la crisi di una star del musical anni ’30 nella Hollywood a colori degli anni ‘50, infatti, crea ironici cortocircuiti tra il personaggio di Tony Hunter e l’immagine divistica di Fred Astaire che lo interpreta. Solo ricostruendo pazientemente uno “spettacolo” si potrà ricominciare a vivere: allo stesso modo, in Folie à deux, l’ospedale e il tribunale, le guardie carcerarie e i giornalisti, diventano ambientazioni e attanti grigi e svuotati che hanno bisogno di maschere pubbliche per tornare all’azione. Il mondo accusa Arthur, lo vuole sorvegliato e punito, ma non può fare a meno di evocare Joker come protagonista di una sorta di reality show.

E Todd Phillips? Se nel primo film il regista perseguiva con lucida efficacia la messa in discussione delle costanti formali del cinecomic attraverso le ambientazioni realistiche e la forte soggettivazione della messa in scena della New Hollywood (i film di Scorsese su tutti); in questo secondo capitolo si moltiplica l’investimento in una stratificazione di forme assorbendo la bassa definizione del medium televisivo (spessissimo in campo) per poi utilizzarla in senso estetico come paradossale svelamento identitario nei lunghi primi piani (in una dinamica che ci porta agli esordi di Soderbergh). È in questa vertiginosa e fascinosa dialettica tra i numeri musicali alla Minnelli e l’estetica della bassa definizione alla Soderbergh che il film di Phillips storicizza un’epoca di passaggio (quella del postmodernismo e dell’expanded cinema negli anni ‘80) rendendo Arthur Fleck un personaggio tragico in lotta con una maschera ormai condivisa con l’audience globale.

Insomma, Todd Phillips dimostra un notevole coraggio nel ribaltare le attese spettatoriali allontanando ancora di più il suo antieroe dal media franchise principale (il DC cinematic universe), sfiorando nuove e inattese istanze esistenziali (amore, colpa e responsabilità) in un personaggio sempre più stratificato e complesso. “The world is a stage, The stage is a world of entertainment!”, continua a cantare Fred Astaire in Spettacolo di varietà.

Joker: Folie à deux. Regia: Todd Phillips; sceneggiatura: Scott Silver, Todd Phillips; fotografia: Lawrence Sher; montaggio: Jeff Groth; musiche: Hildur Guðnadóttir; interpreti: Joaquin Phoenix, Lady Gaga, Brendan Gleeson, Catherine Keener, Zazie Beetz; produzione: DC Entertainment, Village Roadshow Pictures, Warner Bros.; distribuzione: Warner Bros. Pictures; origine: Usa; durata: 138’; anno: 2024.

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