Mira (Alicia Vikander) è un’attrice svedese – “diventata americana” – che arriva a Parigi per promuovere Doomsday, il film “blockbuster” che ha reso la sua immagine famosa in tutto il mondo. Il successo del pubblico, tuttavia, non sembra bastarle: Mira vuole dare una svolta alla sua carriera e per questo motivo decide di fermarsi a Parigi e prendere parte al remake di Les Vampires (1915) di Louis Feuillade, di fatto tra le prime narrazioni cinematografiche a episodi. Ma ben presto le cose si complicano, e mentre i confini tra fuori e dentro il set si assottigliano fino a dissolversi definitivamente, tutto assume una forma diversa. Il regista René Vidal (Vincent Macaigne), costantemente sull’orlo di una crisi di nervi, è ossessionato da Irma Vep: ha già tentato di misurarsi con il capolavoro di Feuillade molti anni prima, e impossibilitato a fare pace tanto con il suo precedente film quanto con la presenza “infestante” di Irma Vep, decide di abbandonare le riprese; la stessa Mira scoprirà ben presto che vestire – letteralmente – i panni della magnetica e celebre protagonista di Les Vampires vuol dire molto più che immedesimarsi nella parte, interpretare un personaggio. Vuol dire diventare Irma Vep.

Una storia nella storia, che è – a sua volta – dentro un’altra storia. Di certo si potrebbe sintetizzare così Irma Vep, la miniserie in 8 episodi firmata dal regista Olivier Assayas e presentata alla 75esima edizione del Festival di Cannes. Ciò a cui assistiamo, infatti, è l’intrecciarsi delle vicende di Mira e di René a quelle di Les Vampires, ma tra questi due mondi ce n’è un terzo, quello formato a partire da Irma Vep, il film realizzato da Assayas nel 1996 e dal quale Irma Vep (la serie) trae la sua ispirazione. Ci sono, quindi, Feuillade, Assayas e René-Macaigne (che molto più del René–Jean-Pierre Léaud rappresenta qui l’alter ego dello stesso Assayas) ma ci sono anche Musidora, l’attrice che ha reso Irma Vep un’icona, c’è Maggie Cheung, alla quale il regista René-Léaud aveva affidato il compito di ri-definire l’immagine di Irma Vep proprio a partire dal suo non essere francese; e c’è, infine, Mira-Alicia Vikander: a lei spetta il compito di redimere tutto e tutti. Assayas mette dunque in scena una costellazione di corpi, di voci, di suoni, un continuo gioco di rimandi e riflessi difficile da ricostruire e ri-tracciare. È possibile, tuttavia, individuare un elemento costante, che sembra attraversare immutato le epoche, i set, gli schermi e che tiene legato insieme l’intero universo narrativo realizzato da Assayas: Irma Vep. E per orientarci, allora, non possiamo fare altro che seguire la sua scia.

Chi, o cosa è, insomma, Irma Vep? È un fantasma, prima di tutto: evocato dall’incontro tra Feuillade e Musidora, il suo spirito ha, da allora, “ossessionato il cinema”. O almeno così ci dice la costumista Zoe mentre osserva Mira indossare la tuta nera modellata a partire dall’iconico vestito realizzato per Musidora. E poiché i fantasmi non hanno né sangue né carne, hanno bisogno di un corpo che li ospiti per potersi manifestare. Irma Vep diventa, così, presenza incarnata: è Musidora, è Meggie Cheung, è Mira, ma è anche Regina, la giovanissima assistente di Mira, attraverso cui – secondo René – Irma Vep parla. E, del resto, ogni film è hanté – come ci suggerisce Alessandro Cappabianca – è sempre abitato da fantasmi.  E il corpo dell’attore, in questo senso, «è sempre trascinato dalla forza d’una metafora totalizzante verso i territori della spettralità» (Cappabianca 2012), agito da fantasmi invisibili. Non è un caso, allora, che in questo “processo di spettralità”, Mira finisca per non ritrovarsi più, perdendo di vista sé stessa, la sua identità. L’unica via possibile che le rimane, dunque, è quella di indossare la tuta nera e, nell’azione di arrampicarsi sui tetti di Parigi, di entrare nelle case e frugare tra le cose e nelle vite degli altri, essere Irma Vep.

Ma l’affascinante e pericolosa anti-eroina di Les Vampires non è l’unico spettro che si aggira per il set: ci sono i passati amori di Mira che ritornano nella sua vita reclamando presenza, ma vi è soprattutto il fantasma di Jade Lee, ex moglie di René-Macaigne, che altri non è che Meggie Cheung, l’attrice che il regista francese ha sposato – e dalla quale poi ha divorziato – dopo averla conosciuta proprio durante le riprese di Irma Vep (il film). Insomma: dal reale alla finzione, e viceversa. E ancora: rimandi ad altre opere dello stesso Assayas, come Sils Maria (2014) e Personal Shopper (2016), che ritornano (anche) attraverso il corpo di Kristen Stewart, fino ai riferimenti musicali, come il ri-utilizzo della magnifica Tunic (Song for Karen) dei Sonic Youth, che segna il ritmo di una delle sequenze più belle del film del 1996. Assayas rimonta sequenze da Les Vampires e da Irma Vep (il film), le sovrappone, le ricuce insieme, mentre Mira si trasforma in Musidora prima ancora che in Irma Vep e René-Macaigne in Feuillade, nella ricostruzione di un fuori campo possibile. Così, Irma Vep (la serie) non è solo una storia di fantasmi, è una storia di doppi, di specchi in cui ogni riflesso è immagine di qualcosa ma anche di altro, meglio: è immagine che si dissolve in qualcos’altro. E, in fondo, René-Léaud ci aveva già avvertito molti anni prima: ciò che vediamo sono solo immagini di immagini.

E Irma Vep è, di fatto, soprattutto un’immagine. Un’immagine “fantasmatica” – come del resto è ogni image – potremmo azzardarci a dire, che sopravvive lungo la storia del cinema ri-apparendo come emergenza visiva in tempi distanti. Ri-mediandosi attraverso supporti diversi – la pellicola, il digitale, fino alla visione del girato giornaliero attraverso lo schermo dello smartphone – e formati differenti – il passaggio dal film alla struttura seriale. Sebbene Assayas abbia più volte affermato che Irma Vep non è una serie – come farà dire al suo altro-sé Rene-Macaigne è un film di quasi 8 ore – la sua struttura rispecchia (quasi) fedelmente la suddivisione in episodi di Les Vampires. In questo senso, Assayas espande il suo tentativo originale non solo in termini di minutaggio, ma come traccia di una riflessione più profonda sulle stesse capacità del cinema e delle sue sperimentazioni. Se in Irma Vep (il film), infatti, René-Léaud finiva per graffiare il girato distruggendo così le immagini che si agitavano inquiete sulla pellicola per non doverle più ri-vedere e decretando, in questo senso, il fallimento del cinema, René-Macaigne ritorna sul set e porta a compimento il film, concedendo a Mira di potersi dis-incarnare da Irma Vep e di muovere verso altri personaggi e fantasmi, mentre la protagonista di Les Vampires ritorna a essere immagine.

Il film è terminato: René può finalmente fare pace con il proprio passato – e del resto, è lo stesso René a dirci che i fantasmi hanno poco a che fare con i morti ma, sono, invece, espressione del passato che rimane vivo in noi – mentre Mira parte senza lasciare traccia. Anche Regina, Zoe e tutti gli altri personaggi che gravitavano attorno al set sono liberi di ritornare alle loro vite. L’esorcismo è avvenuto, il cinema ha compiuto i suoi riti. Se Irma Vep tornerà nessuno può ancora dirlo. Forse non è mai andata via; forse è già tra le parole di questo pezzo.

Riferimenti bibliografici
A. Cappabianca, Alla ricerca del corpo perduto. Perversione e metamorfosi del cinema, Bulzoni Editore, Roma 2012.
M. Dall’Asta, Trame spezzate: archeologia del film seriale, Le mani, Recco 2009.

Irma Vep – La vita imita l’arte. Ideatore: Olivier Assayas; interpreti: Alicia Vikander, Vincent Macaigne, Adria Arjona, Byron Bowers, Jeanne Balibar, Vincent Lacoste, Nora Hamzawi, Hippolyte Girardot, Devon Ross, Alex Descas, Antoine Reinartz, Carrie Brownstein, Lars Eidinger, Tom Sturridge, Fala Chen, Pascal Greggory, Sigrid Bouaziz, Vivian Wu, Lou Lampros; produzione: A24, Vortex Sutra, The Reasonable Bunch, Little Lamb; origine: USA, Francia; anno: 2022.

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