ll “non pensiero” dell’arte

di DEBORAH DE ROSA

Note su L’inconscio estetico di Jacques Rancière.

Jacques Rancière

Ne L’inconscio estetico (2001, da poco tradotto da Mimesis), Jacques Rancière trasforma la riflessione circa i rapporti tra psicoanalisi e arte in una ricerca sulle condizioni di possibilità della teoria freudiana dell’inconscio.
Sono numerose e celebri le occasioni in cui Freud attinge a opere d’arte e vite di artisti per sviluppare la propria ricerca: dal Mosè di Michelangelo, allo studio su Leonardo da Vinci, a Gradiva di Wilhelm Jensen, senza contare l’Edipo Re. Si tratta, molte volte, di delicate operazioni alla “scoperta del ricordo rimosso” (p. 86); ricostruzioni magistrali capaci di svelare il patto, à la Dorian Gray, con cui “la libido dell’artista, più o meno rappresentato dal suo eroe”, riesce a “ingannare” il meccanismo di rimozione facendo a cambio con una sublimazione nella sua opera, “al prezzo di inscrivervi il proprio enigma” (p. 86).
Ciò che caratterizza la disamina di Rancière del rapporto tra Freud e l’arte, rispetto ai numerosissimi studi già condotti in merito, è la necessità – che diremmo foucaultiana – di ristabilirne la genealogia. Il filosofo francese tratta la suddetta relazione nei termini di una relazione tra campi del sapere, in cui uno – l’estetica – si sarebbe fatto condizione di possibilità dell’altro – la psicoanalisi.
Proviamo a tracciare i momenti fondamentali di questo percorso.
La domanda di partenza è sintetizzabile come segue: che cosa ha permesso all’arte di rivelarsi tanto utile, in campo psicoanalitico, da poter godere di “un posto strategico nella dimostrazione della pertinenza dei concetti e delle forme di interpretazione analitiche”? (p. 49).
Per rispondere al quesito, Rancière avverte la necessità di ridefinire il campo dell’estetica, proponendo un originale ampliamento dei classici confini riservati all’arte e alla sensazione (aìsthesis). “Per me”, afferma il filosofo:

Estetica designa un modo di pensiero che si dispiega a proposito delle cose dell’arte e si impegna a dire in che modo esse sono cose del pensiero […] un regime storico specifico di pensiero dell’arte, un’idea del pensiero secondo la quale le cose dell’arte sono cose del pensiero (p. 51).

Siamo di fronte a una riflessione dai tratti epistemici, che colloca un campo del sapere in un contesto storico, evidenziandone anche la dimensione evenemenziale. Le coordinate spazio-temporali sono quelle del Romanticismo tedesco e dell’Idealismo; gli scritti di riferimento sono quelli di Schelling, dei fratelli Schlegel e di Hegel. Attraverso le loro opere, infatti, si inaugurò la connessione tra la riflessione filosofica sull’arte e quella che era giudicata, sino a quel momento, “conoscenza confusa” e “inferiore”, insieme alla contestuale rivalutazione di quest’ultima. A cavallo tra Settecento e Ottocento, per Rancière, la “conoscenza confusa” poté guadagnare la stessa dignità di quella “distinta”, dotata di caratteristiche a essa opposte, configurandosi come modalità altra del pensiero.
Rancière descrive la formulazione teorica dell’estetica inaugurata all’epoca come una “rivoluzione silenziosa”, capace di introdurre una radicale novità a proposito della teoria del pensiero e anche della scrittura:

Questa idea del pensiero poggia su un’affermazione fondamentale: c’è un pensiero che non pensa […]. Questo non-pensiero non è solo una forma di assenza del pensiero, è una presenza efficace del suo opposto (p. 69).

Troviamo, con Rancière, un’estetica particolarmente vicina alla teoria della conoscenza, che vede gli oggetti d’arte capaci di suscitare interrogativi e aprire spazi di possibilità per una modalità di pensiero radicalmente altra rispetto a quella su cui la filosofia ha sempre discusso. Il “non-pensiero” è “un certo modo di presenza del pensiero nella materialità sensibile, dell’involontario nel pensiero cosciente e del senso nell’insignificante” (p. 50); Rancière lo definisce anche come “modo inconscio del pensiero”.
Possiamo, ora, tornare alla domanda di partenza: cosa rende la riflessione sull’arte così funzionale, utile, quasi essenziale all’argomentazione freudiana?
Per Rancière, la psicoanalisi ha bisogno del pensiero estetico poiché risulta legata a quest’ultimo da rapporto di filiazione diretta: la teoria dell’inconscio poté nascere proprio a partire dallo spazio che l’estetica romantica aprì alla formulazione del “non-pensiero”. L’analisi del dettaglio apparentemente insignificante, di cui Freud fece un metodo che trasmise alle successive generazioni di analisti formati a dare attenzione a gesti, parole, atti mancati, figure oniriche, troverebbe le sue radici nel motto “tutto parla” di Novalis (cfr. p. 71). La difesa freudiana della dignità e dell’utilità di una commistione tra scienza medica e sapere “popolare” legato a leggende, miti, superstizioni e credenze, discenderebbe dal sovvertimento di un’antica gerarchia tra la scienza esatta e la “componente fantasmatica” (p. 80) che abita il soggetto. Se la teoria freudiana dell’inconscio, capace di effettivi risultati in termini di cura, è potuta sorgere,

è precisamente perché lo spazio tra la scienza positiva e la credenza popolare o il fondo leggendario non è vuoto. È il dominio di questo inconscio estetico che ha ridefinito le cose dell’arte come modi specifici di unione tra il pensiero che pensa e quello che non pensa (p. 78).

È come se l’inconscio parlasse allo stesso modo dell’opera d’arte: ciò che di esso possiamo cogliere pertiene, almeno inizialmente alla “conoscenza confusa”, attraverso la forma della “parola muta, quella del sintomo che è traccia di una storia” (p. 91). La rivoluzione freudiana, che Rancière legge come direttamente discendente da quella estetica, consistette anche nel rafforzare il ponte tra le due tipologie di pensiero e di conoscenza, lavorando per portare sufficiente distinzione e chiarezza, nel modo inconscio del pensiero, a forgiare strumenti per la cura che si confermano utili a distanza di più di cento anni.

Riferimenti bibliografici
J. Rancière, L’inconscio estetico (2001), tr. it, Mimesis, Milano-Udine 2016.
L’inconscio. Rivista Italiana di Filosofia e Psicoanalisi, n. 3 (2017). Intervista a Jacques Rancière.

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