di FEDERICA MARSICO
In ricordo di Sylvano Bussotti.
Per i giovani studiosi che hanno avuto la fortuna di incontrarlo, ormai anziano, Sylvano Bussotti ha rappresentato la testimonianza vivente della storia della musica del secondo Novecento appresa dai libri. Numerosissimi sono stati i suoi incontri e le sue collaborazioni con figure di spicco del milieu culturale italiano e internazionale: Luigi Dallapiccola, Dacia Maraini, Carmelo Bene, Roland Barthes, Cathy Berberian, John Cage, Alain Daniélou, e tantissimi altri ancora. Avvicinarsi con occhio critico alla sua produzione significa far dialogare continuamente la musicologia con i numerosi campi del sapere che egli ha abbracciato lungo il suo itinerario creativo: la letteratura, l’arte, il cinema, il teatro, la danza, la filosofia, la cultura pop. Come spesso accade agli uomini eccezionalmente sapienti che si sono costruiti da sé, Bussotti (che si era fermato alla quarta elementare) sapeva accogliere l’altro con profonda umanità. Quando gli feci visita nel 2014, il reverenziale timore con cui mi accingevo a incontrarlo si dissolse in un attimo, nello scoprire con quanta semplicità egli fosse ciò che era.
Della poliedricità del suo ingegno si può leggere ovunque, essendo questa la caratteristica peculiare della sua figura d’artista. Vorrei, invece, soffermarmi su un aspetto meno sondato del suo fare creativo. Tante furono le sferzate che Bussotti ricevette dalla critica musicale italiana, poiché nelle sue opere arte e vita si fondevano in una cosa sola. Nell’Italia in cui i movimenti di emancipazione omosessuale erano ancora di là da venire, egli non scelse di celare il proprio orientamento o di viverlo “senza dare troppo nell’occhio” (ovvero come un open secret a tutti noto ma di cui nessuno doveva parlare). Lo esibì invece con disinvoltura, nella vita e nella produzione artistica. Il teatro musicale ha costituito senz’altro il luogo privilegiato per dare espressione a un aspetto tanto rilevante della sua esistenza; attraverso i soggetti, la drammaturgia, i costumi, le scenografie, i movimenti coreografici e ogni altro elemento capace di esaltare il potere seduttivo della bellezza maschile, Bussotti ha dato voce alle forme plurime del desiderio erotico.
Le sue scelte non gli ingraziarono il giudizio di una parte della critica italiana, espressione di una cultura – a lungo radicata nel nostro Paese – in cui qualsivoglia discorso sull’omosessualità costituiva un tabù difficilmente scardinabile. Consapevole del messaggio provocatorio contenuto nella sua pratica artistica, Bussotti seguiva con attenzione tali giudizi. Da alcune pagine del suo diario, oggi edite, si possono conoscere i suoi commenti ad alcune recensioni a lui ostili. Si legga, ad esempio, la sua critica a un articolo pubblicato sull’Unità, il giornale del suo partito, e riferito alla première del dramma lirico Nottetempo (Teatro Lirico, Milano 1976):
Eppure un titolo dell’“Unità” ormai dimenticato merita che lo si rammenti e ammiri: “La rivoluzione dell’apostrofo” (turbava il critico, in quella occasione, l’esplicita omosessualità dichiarata usando al maschile, con l’omissione dell’apostrofo, la citazione di “un amante”). Non ho dubbi sulla genialità del titolista, giornalista di razza e volpe fina, che in questo caso surclassa di gran lunga l’estensore del testo, condensandone la preoccupazione fondamentale, il reale disagio, nonché la sessuofobia d’osservanza, in un titolo-proclama che inconsapevolmente servirà soprattutto a magnificare l’avvento, in chiare lettere, di una rivoluzione effettiva nel costume, da un brano musicale registrata a dovere. (Bussotti in Lombardi 2016, p. 403).
L’oggetto del commento di Bussotti è verosimilmente una recensione di Rubens Tedeschi (attualmente non identificabile con maggiore precisione). Lo si deduce perché nel seguito del diario il compositore commenta altri articoli pubblicati dallo stesso critico sulla testata del PCI (ovvero: Sylvano Bussotti e il gioco della libertà della fantasia, 9 aprile 1976, p. 9; Bussotti. Il musicista sconfigge il teatrante, 14 ottobre 1979, p. 9; Quella sera al cabaret Fedra morì sognando, 12 dicembre 1980, p. 9). La spiccata presenza del tema omoerotico in Nottetempo, in cui il protagonista Michelangelo Buonarroti, al lavoro nella Cappella Sistina, manifesta apertamente il proprio desiderio verso il fido assistente Mino, non aveva evidentemente incontrato il giudizio benevolo del giornale di un partito che, a quelle date, non perorava affatto la «rivoluzione nel costume» che il compositore si auspicava. Sebbene la ricezione dell’arte di Bussotti da parte della critica musicale italiana costituisca un campo d’indagine ancora tutto da sondare, il suddetto esempio basti a sollevare una riflessione sulla straordinarietà dell’artista: fuori dall’ordinario perché, senza tema alcuna, ha affermato la propria identità omosessuale tanto nell’arte quanto nella vita, fronteggiando le scomode conseguenze della sua scelta.
Il grande fascino che la sua figura esercita sugli studiosi d’oggi è vivissimo. Lo dimostra la nutrita partecipazione di musicologi, provenienti da varie parti d’Europa, al convegno internazionale Perspectives on Sylvano Bussotti, che si svolgerà online dal 29 settembre al 1 ottobre 2021. Organizzato da chi scrive (Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali, Università Ca’ Foscari di Venezia) e da Julia Freund e Matteo Nanni (Institut für Musikwissenschaft und Musikpädagogik, Justus-Liebig-Universität di Gießen) originariamente per celebrare i novant’anni di Bussotti, il convegno sarà dedicato alla sua memoria.
Concludo con le parole di Alberto Arbasino, che in Super-Eliogabalo, romanzo «“a frammenti mobili” […] contro ogni oppressione razionalistica e scientifica», scrive a un certo punto: «Eliogabalo e i suoi compagni si fermano un attimo a uno stand per spedire qualche cartolina agli amici» (Arbasino 1978, pp. 286-287). Segue un lungo elenco dei destinatari della corrispondenza inviata dal protagonista, tra i quali, insieme a Stefan George, Michel Foucault, Aldo Palazzeschi e tanti altri, c’è anche Bussotti. Che egli venga annoverato da Arbasino tra gli “amici” di Eliogabalo, figura simbolo della destabilizzazione dell’ordine morale bigotto e perbenista, non sorprende affatto. Tanto nella sua esistenza quanto nella sua pratica artistica, Bussotti ha costantemente incarnato le istanze di espressione libera del sé, non temendo di sfidare l’omofobia sociale. Questo è, a mio avviso, un messaggio assai importante lasciatoci in eredità.
Riferimenti bibliografici
R. Amidei, S. Bussotti, Nottetempo. Dramma lirico in un frammento (da Varagine a Michelangelo a Sofocle). Libretto, in Sylvano Bussotti e il suo teatro, a cura di Francesco Degrada, Ricordi, Milano 1976, pp. 27-42.
A. Arbasino, Super-Eliogabalo. Romanzo, Einaudi, Milano 1978.
S. Bussotti, Testi manoscritti, pinti 1981 2005, in Sylvano Bussotti. Totale libertà, a cura di Daniele Lombardi, Mudima, Milano 2016, pp. 364-457.
Sylvano Bussotti, Firenze 1931 – Milano 2021.
Grazie,
complimenti