Comunque sono un bravo cittadino
Ho aggiornato suonerie del telefonino
E un bicchiere di vino con un panino
Provo felicità se Costanzo fa il trenino

Articolo 31, L’italiano medio (2003)

Se è vero che la virtù sta nel mezzo, è possibile rileggere la storia dell’industria culturale italiana, delle continue contaminazioni tra l’alto e il basso che l’hanno contraddistinta, ma soprattutto dei suoi intrinseci caratteri sistemici e transmediali, attraverso la figura di Maurizio Costanzo. Non solo un conduttore, nemmeno un autore, uno scrittore o un giornalista: niente di tutto ciò, ma allo stesso tempo tutte queste cose insieme.

Da giovane collabora a diverse testate e lavora come autore radiofonico, poi scrive canzoni, romanzi, saggi, testi teatrali e sceneggiature per il cinema e la televisione. Finisce per fare il conduttore televisivo, lavorando al servizio pubblico, poi per le prime TV private, infine passando a Mediaset. Nel tempo libero fa l’attore, continua a scrivere, insegna all’università. Passando agilmente per il teatro, la radio, l’editoria, il giornalismo, il cinema, la musica e la televisione, Costanzo ha attraversato per quasi settant’anni l’industria culturale italiana indirizzando tendenze, definendo regole sempre nuove, ri-orientando il sistema dei media da anticipatore.

Profeta di una «terra di mezzo», alla continua ricerca di una virtù mediata, in equilibrio tra i due estremi: l’alto e il basso, mai contrapposti, sempre complicati in una convivenza necessaria. L’indulgenza della legittimazione, la mortificazione della spazzatura: due rischi sempre corsi e tenuti presenti, continuamente rimessi in discussione in un cocktail postmoderno composto, insieme, da impegno, evasione e qualcos’altro, di indefinibile, che si colloca a metà, nel mezzo, tra i due estremi.

Giuliano Ferrara ha scritto sul “Foglio” che pochi come Maurizio Costanzo hanno creduto che la televisione potesse essere «la continuazione di politica e cultura con altri mezzi». Ed è proprio nel genere del talk che Costanzo è stato il più grande innovatore. Con Bontà loro (1976-1978) non solo introduce una forma di televisione “casalinga” che, di lì a poco, si sarebbe imposta secondo i codici e i modelli della «neo-televisione»: via le scrivanie delle tribune elettorali, spazio al salotto e alle poltrone, occupate non più soltanto da politici, inviati dal partito alla ricerca di consensi, ma insieme a loro da attori, scrittori, registi, modelli, cantanti, persone “comuni”. Tutti insieme, appassionatamente, senza alcuna distinzione di campo.

Durante la sigla, Costanzo chiude la scenografica finestra rimasta metaforicamente aperta sullo studio, proprio a ribadire il carattere “intimo” e familiare del contesto. Nelle interviste, le domande “scomode” e le continue interruzioni (di cui Costanzo è campione indiscusso) danno il là a un chiacchiericcio apparentemente caotico, ma sempre controllato a distanza, con empatia e discrezione. Una proto-tv-verità à la Angelo Guglielmi, e Costanzo è il suo profeta.

Con e grazie a lui, il pubblico si prende gradualmente la scena: e se la televisione post-monopolio è considerata la principale incubatrice del populismo degli anni successivi, Costanzo è il primo artefice (forse insieme a Renzo Arbore, malgrado su un livello più dissacrante) di questa «presa di parola» sempre più trasversale. Non a caso, nel 1984 Giorgio Gaber scriverà nel testo de La strana famiglia: «Mentre a Roma c’è lo zio Renzo / che è analfabeta ma ha scritto un romanzo/ È sempre lì da Maurizio Costanzo».

Ma è il Maurizio Costanzo Show (1989-2009) a rappresentare il prototipo della televisione postmoderna così come immaginata da Costanzo: nella stessa puntata, spesso nella stessa conversazione, si passa da tematiche impegnate all’evasione più becera, dalle denunce civili alle chiacchiere da gossip. La stessa selezione degli ospiti, come ha osservato Aldo Grasso, «vale più di un saggio sociologico sull’Italia degli ultimi sessant’anni»: dalla celebre performance situazionista di Carmelo Bene nell’«Uno contro tutti» fino alla vocazione anti-normativa delle ospitate di Eva Robin’s, Cicciolina o Platinette, passando per l’invenzione di meta-personaggi come Roberto D’Agostino o Vittorio Sgarbi, arrivando così alla “maratona” contro la mafia e la famosa intervista a Giovanni Falcone.

Nonostante la più volte esplicitata ispirazione ai grandi show-personalistici degli anchormen americani (il Tonight Show di Johnny Carson, il Late Show David Letterman, ma soprattutto lo storico Ed Sullivan Show), è la connotazione teatrale, tra tutte, a essere quella prevalente: già a partire dalla location del teatro Parioli in Roma, ma soprattutto per i toni da commedia dell’arte, conditi da una lentezza di fondo che caratterizza lo stile di conduzione, sempre calmo, riflessivo e molto romanamente flemmatico.

Rileggendo l’evoluzione dell’industria culturale italiana attraverso l’opera di Maurizio Costanzo è possibile rintracciare un’analoga vocazione generalista, in una continua fusione e convivenza tra alto e basso, anche nelle sue tante e diversificate, benché poco ricordate, esperienze cinematografiche. Accanto alla partecipazione (mai accreditata) a una delle prime stesure del soggetto di Salò, o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini, spiccano diverse collaborazioni alla scrittura di commedie (alcune dirette da Pupi Avati), serie televisive (è tra gli inventori del personaggio di Fracchia, la prova generale di Fantozzi), o film di genere, come la commedia spaghetti-western I quattro del Pater Noster (1969) di Ruggero Deodato o gli horror-gotici La casa delle finestre che ridono (1976) e Zeder (1983) sempre di Avati.

Soprattutto, scrive insieme a Ruggero Maccari ed Ettore Scola Una giornata particolare (1977), per cui vince un David di Donatello per la miglior sceneggiatura. Tra commedie, film popolari e horror di culto, in bilico tra una dimensione autoriale, underground e popolare, arrivando fino alla legittimazione del dramma storico, il Costanzo cinematografico attraversa la diversificazione del sistema dei generi italiano in un’epoca di crisi e profondi cambiamenti per l’industria cinematografica nazionale.

Si cimenta, poi, come regista di un’opera prima (e unica), sfortunata e bizzarra, intitolata Melodrammore (1978) e prodotta da Angelo Rizzoli: un tributo ironico ai melodrammi degli anni cinquanta di Raffaello Matarazzo, con Enrico Montesano (anche co-sceneggiatore) e Amedeo Nazzari nel ruolo di sé stesso (alla sua ultima presenza sugli schermi). Il film, per lo più dimenticato, è una specie di melodramma nel melodramma: Montesano interpreta un attore chiamato a girare un film matarazziano, e per prepararsi chiede consigli a Nazzari, che gli suggerisce alcune visioni, tra cui Pietà per chi cade (Costa, 1953) e Padrone delle ferriere (Majano, 1958). La storia, presto, si trasforma in una commedia romantica meta-cinematografica, fatta di innamoramenti, gelosie, tradimenti, e tanto tanto cinema. Non mancano, infine, partecipazioni nel ruolo di sé stesso a una sequela di commedie e film comici: dal folle FF.SS. – Cioè: “…che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?” (1983) di Arbore, passando per le più recenti apparizioni nei film di Enrico Oldoini, Neri Parenti e Paolo Virzì.

Ma soprattutto, alla sitcom di grande successo Orazio (1984-1987), scritta e interpretata da Costanzo stesso (ancora una volta in salsa meta-televisiva) andata in onda su Canale 5. Insomma: in tutte le esperienze da autore, attore, conduttore, a prescindere dal medium in cui di volta in volta si ritrova a operare, l’impronta di Costanzo è contrassegnata proprio da una spiccata autoriflessività: un anelito di equilibrio, instabile e transitorio, tra alto e basso.

Nel servizio pubblico o nella televisione commerciale, nel cinema di genere o nella sitcom più popolare, nelle canzoni o nelle opere teatrali, Costanzo non smette mai di ragionare attorno al problema del gusto del pubblico: senza rincorrerlo affannosamente, ma tentando di comprenderlo e sintonizzarlo, per poi provare a orientarlo, anticiparlo. La sperimentazione e la scoperta di numerosi talenti, che poi si affermeranno quasi sempre altrove e seguendo direttrici diverse, caratterizza questo continuo movimento di anticipazione: Costanzo inventa Fracchia prima che esploda Fantozzi, intravede un Celentano cinematografico prima del successo degli anni Ottanta, scrive personaggi per Christian De Sica prima dei cinepanettoni.

Oltre alla creazione della Fascino, società di produzione televisiva attualmente controllata da Maria De Filippi, tenta di costruire una factory per promuovere i “loro” talenti: scrive la sceneggiatura dello “scult” Troppo belli (Giordani, 2005), per i tronisti Daniele Interrante e Costantino Vitagliano, e il soggetto di Passo a due (Barzini, 2005), film promozionale costruito attorno al ballerino di Amici Kledi Kadiu — entrambi flop clamorosi di critica e pubblico. Anticipando tendenze, mediando livelli diversi, mescolando piani apparentemente inconciliabili, si rischiano anche brutte figure. Maurizio Costanzo, sempre dalla parte del pubblico, è  stato una delle più concrete manifestazioni dell’intellettuale integrato all’interno dell’industria culturale italiana.

Maurizio Costanzo, Roma 1938 – Roma 2023.

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