Nel 1985 Mario Lavagetto pubblica presso Einaudi (l’editore di una vita, di cui è stato a lungo consulente) la sua impresa teorica più corposa, Freud, la letteratura e altro (nuova edizione nel 2001). È un libro in cui si avvertono tutte le caratteristiche di questo grande studioso che si presenta subito, innanzitutto, come lettore e rilettore. Il testo nasce infatti dal dialogo diretto con l’opera di Freud, con la sua «torbida densità», affrontata dall’ottica del critico letterario, lasciando in sospeso la questione dello statuto scientifico della psicanalisi e le varie decostruzioni del testo freudiano. Il saggio si dipana per brevi capitoli, ciascuno con un titolo accattivante che non esplicita nulla (Lavagetto era un maestro di paratesto), costruendo un percorso a partire da dettagli, frammenti, indizi (Lavorare con piccoli indizi sarà un altro bel titolo di una raccolta di saggi del 2003), e «tornando, quasi ossessivamente, sugli stessi punti». Il materiale su cui Lavagetto intesse la sua rete è ampio: non solo le opere pubblicate da Freud, spesso le meno note, ma anche i verbali delle famose discussioni del Mercoledì (poi pubblicati in Palinsesti freudiani, 1998) e vari altri materiali biografici.
È un metodo capillare, che parte dall’episodio della cocaina e dall’autocensura di Freud giovane, per concludersi con la definizione di un’estetica della censura, «un rapporto inversamente proporzionale tra qualità artistica ed emergenza dell’inconscio» (l’opposto del programma surrealista). Alla fine di questo itinerario troviamo un paragone efficace, tratto dalla cabala: un testo è come «una grande casa, con molte moltissime stanze: davanti a ogni stanza c’è una chiave, ma non è quella giusta». Una casa con moltissime stanze. È un’espressione che rende benissimo l’idea del testo letterario come fascio di potenzialità aperte, che si possono realizzare in molteplici modi: un’idea lontana tanto dal soggettivismo esasperato, quanto dall’idolatria filologica o strutturalista; la stessa idea che anima anche la curatela di due opere collettive, Il testo moltiplicato (1982), e Il testo letterario: istruzioni per l’uso (1996).
Freud può darci dunque degli strumenti per aprire «alcune» di queste stanze; in questo “alcune” c’è la chiave per capire il metodo di Lavagetto, che non mira a partorire un modello generale di interpretazione, come fanno Paul Ricoeur, o l’altro grande teorico italiano della letteratura, Francesco Orlando, che partiva dal Motto di spirito (Freud 1905). Lavagetto si interessa alle crepe, agli errori, alle cicatrici, alle smagliature, alle sviste, ai lapsus, alle bugie: insomma al cattivo funzionamento della macchina testuale. In questo atteggiamento si può certo scorgere un rapporto con il decostruzionismo (soprattutto Paul de Man), ma non si tratta di un’affiliazione: la ricerca di Lavagetto ha sempre un taglio idiosincratico. Nella sua scrittura elegante, priva di pesantezze accademiche, si avverte il magistero di Giacomo Debenedetti, quindi di una voce eccentrica della critica letteraria, che rappresenta al meglio in Italia la forma saggio, assieme a Giovanni Macchia e a Cesare Garboli.
Accennavo prima alla bugia. Nel 1992 Lavagetto pubblica La cicatrice di Montaigne, che nasce direttamente da un corso universitario di “Teoria della letteratura”, per cui ha una particolare scorrevolezza (non ha note, ma un’ampia bibliografia). Non si possono non ricordare a questo punto anche le grandi doti didattiche di Lavagetto (le ha rievocate Fabio Vittorini in Le parole e le cose), che ha formato una scuola notevole; il suo parlare sommesso e suadente riusciva a far appassionare gli studenti a cui venivano poste sfide ermeneutiche complesse e programmi mastodontici. La cicatrice di Montaigne è un saggio di critica tematica che evita i rischi di contenutismo e accumulo indiscriminato che caratterizzano questo approccio: affronta infatti un tema di grande pregnanza filosofica e antropologica, selezionando una serie di punti nevralgici. La bugia è per Lavagetto una costruzione linguistica sempre minacciata dal lapsus: «È la più povera, la più quotidiana, la meno protetta, la più circostanziata forma di fiction». Il piacere gratuito del mentire viene inseguito in vari generi letterari (epica, novella, commedia, autobiografia, romanzo, racconto fantastico) e in varie epoche, dall’archetipo di Odisseo e da Luciano a Pinocchio, dalle Relazioni pericolose a Proust. A un lapsus di Proust era stato dedicato un anno prima Stanza 43 (1991): un indizio che serve a scandagliare alcuni nuclei stilistici e tematici che innervano tutta la Recherche, come la dialettica fra guardare ed essere guardati, l’omosessualità, la visione estatica.
Si sarà capito che il cuore della ricerca di Lavagetto sta tutto nel passaggio cruciale fra Ottocento e Novecento, e più in generale nell’Otto-Novecento fra Francia e Italia, e fra Parigi, Trieste e Vienna, con una serie di autori prediletti: Balzac (su cui ha scritto La macchina dell’errore, 1996), Stendhal (di cui ha tradotto Il rosso e il nero, 2004), Proust (a cui ha dedicato anche Quel Marcel, 2011), De Roberto (l’introduzione ai Vicerè, 1995), Saba (a cui ha dedicato il primo saggio), Svevo (di cui ha coordinato l’edizione dell’opera omnia per i Meridiani Mondadori, 2006). Ma i suoi interessi non si limitano a queste aree e a questi due secoli: si è dedicato a due generi in cui risuonano le origini orali della narrazione, la novella e la fiaba, quest’ultima studiata sulla scia di un rapporto complesso con Calvino (Dovuto a Calvino è un libro del 2001), dando vita al progetto editoriale dei Racconti di orchi, di fate e di streghe (2009), sempre per i Meridiani, ricca antologia della fiaba letteraria che spazia da Basile a Capuana, Perodi, Rodari, Zanzotto, La Capria, De Simone.
Come studioso Lavagetto si è sempre dedicato solo alla letteratura, linguaggio complesso e ambiguo di cui è stato teorico e critico; nella vita personale aveva grande passione anche per le altre arti: soprattutto per la musica, ma anche per pittura e cinema; potrei citare vari ricordi personali, come la mostra di Correggio vista assieme nella sua amata Parma, o il suo entusiasmo per la scena dedicata a Maria Callas nel film Philadelphia (1993). Esiste però un genere che combina diverse arti, l’opera, a cui ha dedicato due libri: uno sulla censura del Rigoletto (1979), e l’altro sull’analisi narratologica dei libretti di Verdi (Quei più modesti romanzi, 2003).
C’è anche un aspetto “militante” in Lavagetto: il suo impegno per fondare l’”Associazione di Teoria e Storia comparata della Letteratura” (Compalit) e per difendere un’area di studi trascurata dall’Università italiana, come la comparatistica. Questo aspetto sfocia in un pamphlet del 2005, Eutanasia della critica, che non è il solito scritto apocalittico di un intellettuale che non vuole capire il mondo contemporaneo, come ce ne sono stati purtroppo tanti. Lavagetto lamenta l’estinguersi della funzione di mediatrice che ha da sempre avuto la critica letteraria, e difende a spada tratta il piacere insostituibile di una lettura paziente, come farà anche nel suo ultimo libro su Boccaccio (2019), scritto negli anni in cui si era ritirato dall’insegnamento per problemi di salute. Mi piace chiudere con questo suo appello accorato, ancora attuale:
Perché pensare che i testi parlino da soli, al di là e al di fuori di ogni possibile mediazione, è un’idea tanto vecchia quanto ingenua e intimamente balorda: disconosce la storia, disconosce la diversità dei codici e il modificarsi radicale, di secolo in secolo, degli orizzonti di attesa, delle domande che un testo produce e che al testo vengono poste. Dimentica soprattutto che le grandi opere letterarie sono, come ci è stato insegnato, abitate fin nell’intimo delle loro fibre da una critica immanente, che la cifra nel tappeto esiste e che su di essa, nel suo rinvenimento, si gioca la scommessa stessa della letteratura.
Riferimenti bibliografici
M. Lavagetto, Eutanasia della critica, Einaudi, Torino 2005.
Id., Freud, la letteratura e altro, Einaudi, Torino 2001.
Id., La cicatrice di Montaigne. Sulla bugia in letteratura, Einaudi, Torino 1992.
Id., Stanza 43. Un lapsus di Marcel Proust, Einaudi, Torino 1991.
Mario Lavagetto, Parma 1939 – Parma 2020.