Vi racconterò un’ultima storia…
una storia buffa e poetica.
Un uomo va a trovare il direttore di un circo:
“Ho un numero straordinario da proporle, un numero con un uccello…”
“Sa, i numeri con gli uccelli
non interessano al pubblico…”
“Mi scusi se le ho fatto perdere tempo”.
Apre la finestra. E vola via.
(Jean-Louis Trintignant al Théâtre de la Porte Saint-Martin, dicembre 2018)

Quante volte sarà morto sullo schermo Jean-Louis Trintignant? Eppure un’immagine s’impone su tutte: l’urlo di fronte al camion, il paracarro, l’auto che esce di strada e precipita dalla scogliera. Anche se ha già più di trent’anni, nel Sorpasso (Dino Risi, 1962) sembra un ragazzo, il suo volto non è tanto diverso da quello dei suoi primi film con Roger Vadim e Valerio Zurlini – Piace a troppi, Estate violenta – e resterà tale ancora per un po’ fino al crepuscolo degli anni sessanta, a quel magico maggio 1969 in cui l’attore si ritrova con tre film al festival di Cannes: La mia notte con Maud (Eric Rohmer),  Z (Costa Gavras) e Metti una sera a cena (Giuseppe Patroni Griffi). Poi il cinema e la vita s’intrecciano drammaticamente: lo stesso anno, in autunno, mentre è a Roma con Bertolucci sul set di Il conformista, muore improvvisamente Pauline, la figlia più piccola. Ma la vita continua, soprattutto nei film: Jean-Louis riprende a lavorare e sua moglie – la regista Nadine Marquand – racconta quella tragedia in Tempo d’amore. Tutti e due decidono di vivere per Marie, la figlia maggiore.

Marie diventa anche, nel tempo, il suo consigliere più ascoltato: è lei a fargli rifiutare Ultimo Tango a Parigi, in nome di un pudore che li accomuna, come sarà lei, tanti anni dopo, a fargli accettare un ritorno al cinema con Kieślowski in Film Rosso (1994). Sono veramente inseparabili: recitano assieme al cinema, a teatro, condividono l’amore per la poesia. Quando Marie viene uccisa dal compagno Bertrand Cantat, per la seconda volta si spengono le luci, come ricorda Jean-Louis all’amico Serge Korber:

Sono morto il 1° agosto 2003. Marie era la mia migliore amica. Era anche il mio migliore amico. La mia vita si è fermata. Sono rimasto per qualche mese completamente inebetito, a guardare nel vuoto. E poi un giorno mi sono detto: “Devo fermare la vita o fare qualcosa”. E ho deciso di fare qualcosa (Korber e Katelan 2020, p. 179).

Ed è stata la sua terza vita: poco cinema – Michael Haneke, Claude Lelouch – più teatro, molta poesia. Tornando sempre a Uzès, in Occitania. «Siamo condannati alla provincia», aveva ironicamente sentenziato Françoise Fabian in Maud. Un pronostico piacevolmente assecondato da Jean-Louis tra i suoi vigneti, a produrre Côtes du Rhône. Ora che anche la sua terza vita si è appena conclusa, resta l’eco della sua voce: «calda e metallica, asciutta e carezzevole, brusca e affettuosa, insomma paradossale» (Korber e Katelan 2020, p. 11). Paradosso che si ritrova anche nel Trintignant doppiatore: voce francese di Jack Nicholson in Shining – per volere di Stanley Kubrick – e narratore del Nastro bianco di Haneke.

Quella voce è cambiata nel corso del tempo, ma è rimasto inalterato il suo modo di parlare seriamente e di interrompere la frase con un sorriso che non impone la complicità del riso, è solo una finestra che si apre per un istante dal suo mondo interiore. Assorto, tocca con l’indice il bordo dei denti o sfiora la ruga accanto all’occhio destro: piccoli tic prestati all’attore, filo rosso di una mimica inconfondibile. Non è un divo come Delon o Belmondo, ma i registi se lo contendono. Lapidario Lelouch: Jean-Louis è un extraterrestre che gli ha insegnato il mestiere. Orgoglio di coach, dietro un’apparente modestia. Rohmer, più avvezzo al paragone letterario, lo definisce come un attore dostoevskiano «in cui le zone di luce succedono alle zone d’ombra, in cui l’angelo succede al demone» (Trintignant 2002, p. 88). Haneke, forse, si è avvicinato più di tutti alla chiave del mistero Trintignant, descrivendo il suo modo di non recitare «fino in fondo», ma soltanto di «alludere», conservando il suo segreto.

C’è un momento, però, in cui qualcosa si libera e il movimento non è più trattenuto, ma eccessivo. Si potrebbe comporre un’antologia di queste esplosioni: una corsa esagerata, scomposta, con le braccia che annaspano, all’ultimo respiro. Qualche sequenza a memoria: a Parigi (Un giovane, una giovane di Serge Korber), a Nizza (Senza movente di Philippe Labro), in campagna (La corsa della lepre attraverso i campi di René Clément). Non è questa, del resto, la sua specialità. La bellezza del gesto, da sempre, è legata per lui all’automobilismo, alla velocità, al rischio. E proprio al Rally di Montecarlo, nel 1981, incontra Marianne Hoepfner, pilota professionista, che diventerà presto la sua compagna e, nel 2000, la sua terza moglie.

La vera ultima grande passione è la poesia. Coltivata da sempre, diventa ora anche il momento privilegiato della comunicazione con il pubblico. I poeti preferiti sono da sempre Rimbaud, Apollinaire, Aragon. E Prévert, certamente. Ama gli autori che parlano della morte. Non in modo triste, con umorismo. Predilige Boris Vian, che adesso recita con voce più roca:

Non vorrei crepare prima di avere gustato il sapore della morte…

Un ultimo paradosso prima dell’ultima curva.

Riferimenti bibliografici
J.L.Trintignant, La passion tranquille. Entretiens avec André Asséo, Plon, Paris 2002.
S. Korber e J.Y. Katelan, Jean-Louis Trintignant. Dialogue entre amis, Éditions de la Martinière, Paris 2020.

Interviste radiofoniche
J.-L. Trintignant, Le plus gran sujet, finalement, c’est la mort, France Culture. Émission “A voix nue”, 2004.

Documentari
F. Chayé – P. Bouteiller, Jean-Louis Trintignant, un honnête homme, INA 2009.
S. Korber, Le Mystère Trintignant. Pourquoi je vis, Arte 2012.
I. Cariès e Y. Jeuland, Trintignant par Trintignant, Arte 2021.

Jean Louis Trintignant, Piolenc, 11 dicembre 1930 – Uzès, 17 giugno 2022.

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