Il pubblico italiano più largo ha conosciuto Bill Viola alla Biennale di Venezia del 1996, curata da Achille Bonito Oliva, dove all’artista era stato dedicato il padiglione americano. Dal 1974 al 1976, Viola è stato operatore video e direttore tecnico di Art/Tapes/22, il primo atelier di produzione di videoarte fondato a Firenze da Maria Gloria Bicocchi. Nel 1993, la Rassegna Internazionale del video d’autore di Taormina Arte gli dedica una mostra personale, e in quell’occasione viene pubblicata la prima monografia, curata da chi scrive: Bill Viola Vedere con la mente e con il cuore. Nel 2008, Palazzo delle Esposizioni a Roma presenta una sua retrospettiva: queste le tappe più rilevanti della presenza dell’artista in Italia.

La visione dell’arte di Bill Viola dialoga con le grandi correnti dell’arte del Novecento: naturalismo e astrazione, concettualismo e minimalismo. Nelle installazioni video degli anni settanta, Viola usa il circuito chiuso e il mettersi in immagine del visitatore, mentre negli anni ottanta lavora sulla dimensione ambientale che conferisce alle opere una qualità teatrale, e sulla empatia che suscitano le immagini di grandi dimensioni nella sala al buio. A partire dagli anni novanta, con il turning point delle tecnologie digitali, le sue opere si avvicinano a una iconosfera pittorica e, il passpartout della storia dell’arte favorisce il suo ingresso nel mondo delle arti visive. Come a dire che la produzione di Bill Viola, fondata su dispositivi tecnologici, viene riconosciuta nel contesto artistico internazionale in virtù di una mediazione pittorica; una constatazione che illumina sulla persistente diffidente relazione fra arte e nuove tecnologie agli albori del nuovo millennio. Per Bill Viola le tecnologie sono dispositivi per scandagliare il mondo interiore, per creare una nuova soggettività.

Dopo gli anni ‘90, Salvatore Settis, che ha diretto il Getty Museum di Los Angeles nel periodo in cui Bill Viola vi è stato ospite come artista, è stata una voce autorevole per la lettura delle opere di Bill Viola in relazione alla storia dell’arte. Ha stimolato il dialogo di Viola con la tradizione artistica occidentale, chiamando a sostegno il concetto warburghiano delle Pathosformel, la sopravvivenza di “formule di pathos” trapassate dall’antichità ad altri periodi storici. Questa interpretazione trova consensi: Peter Sellars definisce Bill Viola a tutti gli effetti un pittore, in rapporto ai nuovi formati degli schermi LCD, alle scelte tematiche e al modo in cui rappresenta le figure con primi piani e medi che rimandano alla tradizione artistica rinascimentale.

The Greeting (1995), un unico piano sequenza che dura meno di un minuto, senza montaggio, in cui riprende in pellicola a 35 mm e poi trasferisce in digitale, segna, il cambiamento del modo produttivo di Bill Viola: i riferimenti non sono più la dimensione interiore, la vita quotidiana, il paesaggio, quanto la Bibbia e la pittura del Rinascimento. L’artista assume il ruolo del regista che costruisce un set e vi dispone le interpretazioni degli attori, sostituendo il paesaggio naturale con sfondi artificiali. The Greeting ebbe un grande successo, ne furono vendute sei copie e segnò l’inizio della serie di The Passions come Portraits. Dallo schermo di proiezione di The Quintet of Astonished che richiedeva una sala buia, l’artista passa a schermi piatti digitali LCD (flat-panel screens) di piccole dimensioni che si possono collocare a parete in una galleria, simili a quelli del computer, e a schermi posti a una distanza di lettura, come un libro.

In alcune esposizioni in Italia, come quella a Palazzo Strozzi, Firenze, e a Capodimonte, Napoli, il rapporto delle opere di The Passions con la storia dell’arte diventa letterale giustapposizione della Visitazione di Pontormo (1528-1529) con The Greeting (1995) di Viola, esposte l’una di fronte all’altra nella stessa stanza, nella loro autonoma esistenza di opere appartenenti a secoli distanti. Quale dialogo si instaura da questo fronteggiarsi? Ci aiutano a rileggere l’opera del passato? Quella attuale? Attualizzano l’antico? Ci sembra improprio far riferimento, per queste opere che guardano all’antico, alla categoria di citazionismo elaborata e praticata nella temperie del postmoderno.

A differenza delle installazioni ambientali come Slowly Turning Narrative (1992), in cui immagini, suoni e spettatore si irraggiano nello spazio, dissolvendo la frontalità e la linearità del continuum temporale, per una inclusione nello spazio polisensoriale, i quadri in movimento che realizza nel Nuovo Millennio – il ciclo di The Passions – sono silenziosi, sospendono il tempo, compongono delle partitura orchestrate con le emozioni primarie – gioia, dispiacere, rabbia e paura – modulate come colori e suoni con gradazioni di intensità, altezza, timbro. Le figure che fissano lo spettatore frontalmente, racchiuse nelle cornici dei monitor a cristalli liquidi, lo rendono testimone della sofferenza come un elemento della vita sociale.

La storia del genere umano, del suo venire alla luce e prendere forma, emergere dal buio e dall’indistinto, oltrepassando la cortina che separa l’aldilà dal mondo visibile fatto di colore e dolore, è sia motivo che dispositivo costruttivo che ritorna, variato, in molte delle opere di Bill Viola. La scansione narrativa è marcata profondamente dal registro sonoro, dal registro cromatico e da quello luminoso. Il varcare la soglia da parte di ogni figura che appare in Ocean Without a Shore (2007), permette a ciascuna di esse di acquistare un volto, che è una fase temporanea, perché viene riassorbita in uno spazio infinito da cui ciascuno proviene e a cui ritorna. La struttura è classica: un’attesa, un emergere (dal buio, dal vuoto, dallo spazio senza confini, dall’acqua), un’acme e uno scioglimento.

Le opere di Bill Viola mettono in questione le convenzione del vedere, i punti cardinali dell’orientamento, perché collocano il cielo in basso e la strada in alto (Ancient of Days, 1979-81); alterano e deformano le proporzioni (il masso e le persone che lo sorpassano in Hatsu – Hume, 1981); trasformano la materia dell’immagine che diventa plastica, liquida, malleabile; dissolvono la distinzione fra dentro e fuori, fra l’alto e il basso (come nella sequenza degli alberi ripresi dal basso in The Passing, 1991). Il luogo dell’opera è il corpo sensibile dello spettatore, l’immagine è incorporata (embodiment).

Fra il ciclo inaugurato da The Greeting (1995) e la produzione precedente di Bill Viola è evidente una linea di demarcazione: le installazioni ambientali sono teatrali (secondo le note critiche di Michael Fried), vanno incontro allo spettatore, lo assalgono plurisensorialmente. Quelle situate nelle cornici degli schermi a cristalli liquidi sono frontali, iconiche, dispiegano una dimensione performativa interna all’azione raffigurata, sono dotate di grande precisione formale e nitidezza ottica. L’impostazione spaziale non permette allo spettatore uno sguardo in profondità, perché la superficie sulla quale si stagliano le figure non le contestualizza in un ambiente. Ciò permette allo spettatore di concentrarsi sullo slittamento di emozioni del volto/corpo dei performers. Grazie al movimento, però, lo sguardo delle figure, puntando lo spettatore virtuale, fuoriescono dalla cornice; la causa non illustrata che fa irrompere l’evento doloroso, lancia allo spettatore sollecitazioni che lo attivano verso un “c’è altro da raccontare”, oltre la cornice del quadro.

Nelle ultime opere realizzate da Bill Viola – pensiamo a The Acceptance (2008) e a Martyrs series (2014) – l’espressione del dolore e della morte, tema che l’artista ha declinato con variazioni in tutta la sua produzione, diventa irrimediabile e assoluta. In The Acceptance la donna che si configura con nettezza di tratti, venendo da una lontananza che la rende indistinta, dopo aver eseguito di fronte alla telecamera un grido prolungato e ripetuto, cambia espressione e passa al riso, ma questa trasformazione non muta di segno la rappresentazione del dolore che divora l’intera figura, non solo la voce. Fra la fine del Novecento e il nuovo millennio, in concomitanza con la svolta “pittorica” si sviluppa un marcato atteggiamento di dissenso nei confronti delle opere di Bill Viola, giudicate da Rosalind Krauss e dalla autorevole rivista “October”, decadenti, spettacolari, una via di fuga nel misticismo.

Bill Viola, New York, 25 gennaio 1951 – Long Beach, 12 luglio 2024.

Tags     Bill Viola
Share