Cinquant’anni fa l’uomo sulla luna. Cinquant’anni fa la diretta televisiva dell’allunaggio. E se i sogni di una nuova vita nelle colonie extramondo, di nuove frontiere da esplorare “alla ricerca di nuove forme di civiltà” sono rimasti mera utopia fantascientifica, la diretta dell’evento ha cambiato, per sempre, il nostro modo di vedere noi stessi e il nostro pianeta. Da sempre l’immagine della luna ha attratto i cambiamenti che si sono succeduti nella storia della visione occidentale. Galileo Galilei annunciò i perfezionamenti del suo cannocchiale dichiarando che la luna non era liscia, come fino ad allora si credeva, ma rugosa. Nel 1839, cinque giorni prima di annunciare al mondo l’invenzione del primo procedimento fotografico, Louis Daguerre ne immortalò la superficie. Nel primo film di fantascienza della storia, Le Voyage dans la Lune (1902), Méliès la ritrasse con un volto umano.
Ma questa volta era diverso, per la prima volta non era una rappresentazione, eravamo tutti insieme, ovunque in ogni angolo del pianeta, davanti al televisore a guardarla. Tutti insieme a trattenere il fiato mentre quel ragazzone dell’Ohio, a nome dell’umanità intera, metteva piede sull’astro d’argento che da lassù ci aveva sempre guidato, determinando quaggiù le navigazioni, le colture, le preghiere e gli amori. Un passo che in una manciata di ore cambiò tutto, la sfera terreste si trasformò in videosfera (Youngblood, 1970) e per la prima volta l’Uomo esperì una nuova emozione, quella che, molti anni dopo, Philip Auslander avrebbe definito liveness: il (paradossale) potenziamento della percezione di assistere dal vivo, in persona, a un evento, dato dalla visione ipermediata e collettiva dello stesso (Auslander, 2008). Eravamo tutti lì, nello stesso momento, ma nessuno di noi era davvero lì.
Quando assistemmo all’evento, la realtà non apparve così “reale” come la simulazione, perché quest’ultima era la realtà di un processo di percezione. Quello che vedevamo non era altro che “videospazio” […] La consapevolezza oggettiva di un processo soggettivo era l’unica cosa che contava e la simulazione della storia diventò improvvisamente marginale. Migliaia di anni di tradizione teatrale furono distrutti in due ore di fronte a un pubblico di 400 milioni di persone (Youngblood, 1970, p. 28).
Persino Neil Armstrong, recuperando inconsciamente la metafora teatrale, qualche tempo dopo rilasciò una nota dichiarazione nella quale affermava di non essersi mai sentito «uno dei partecipanti» ma che piuttosto era stato «un po’ come sedere nell’ultima fila della balconata e guardare giù la scena che vi si svolgeva» e che «quando ero in scena mi sentivo molto di più uno spettatore». Tutti spettatori, dunque. Due avvenimenti che ci restituiscono il senso di collettività determinato dall’evento riguardano proprio il nostro paese. Durante le venticinque ore di diretta televisiva, in Italia non vennero commessi crimini e, a un certo punto, l’ansia di commentare quanto avveniva in diretta – un po’ come avviene oggi con Twitter – fece andare in tilt l’intera rete telefonica del paese.
In occasione del Cinquantennale la RAI ha finalmente reso disponibile i momenti salienti della lunga maratona televisiva, tra i quali un commovente servizio su come gli italiani hanno trascorso la notte lunare che documenta l’attesa e le aspettative di un campione di persone nelle ore immediatamente precedenti e successive all’allunaggio. È la fotografia di un paese in via di trasformazione, nel quale davanti al focolare televisivo si riuniscono mogli di pescatori che condividono le stesse apprensioni di quelle degli astronauti, migranti ben disposti ad andare sulla luna pur di trovar lavoro, anziani ospiti di una casa di riposo frastornati e spaventati, operai preoccupati dei costi delle missioni lunari, ma anche giovani donne che dal loro moderno salotto cittadino discutono dei rapporti tra tecnologia e libertà.
Ma a restituirci maggiormente il clima culturale in cui l’Italia visse il più straordinario degli eventi mediali, l’attesa della diretta collettiva e cosa si decise di raccontare di questa, sono però i principali rotocalchi del tempo. La narrazione della conquista della luna è un tema forte già nel dopoguerra, “Epoca” gli dedica una prima copertina nel febbraio 1953 intitolata Andremo in razzo dalla terra alla luna, mentre nel lungo servizio interno, accanto a una serie di illustrazioni di Arthur C. Clarke, lo scienziato Werner Von Braun dichiara che nella più rosea delle aspettative il viaggio sarebbe probabilmente avvenuto non prima del 1975 e che ci sarebbero voluti almeno cinque giorni per toccare il suolo lunare.
Gli articoli sulla possibilità di un allunaggio si intensificano verso la fine del decennio, in concomitanza con i lanci dei primi satelliti artificiali, e si fanno via via sempre più numerosi, man mano che ci si avvicina al 1969. Tuttavia, i servizi sulla diretta televisiva si concentrano a ridosso dell’evento, che conquista la quasi totalità delle prime pagine. La più emblematica è certamente la copertina del “Radiocorriere Tv” del 20 luglio con l’immagine del satellite sul quale domina la scritta Ruggero Orlando da Houston. Domenica, luna!.
Nel servizio interno Orlando in persona ci rassicura che l’evento televisivo andrà «oltre la realtà» trasmettendo il suono dei passi degli astronauti, non udibili nello spazio, ma riproducibili sulla terra grazie a un sismografo posto sulla superficie lunare. Non solo, lo spettatore da casa non si perderà nulla perché la «cosmoradiocronaca» seguirà una precisa “scaletta” – di cui si riportano gli orari – più volte simulata da Collins, Armstrong e Aldrin prima della partenza. Sul numero successivo sarà ancora Orlando a svelarci tutti i segreti delle trasmissioni satellitari dalla terra alla luna e viceversa, nonché le immagini del set allestito a Cape Kennedy per immortalare il lancio.
Per chi invece non fosse riuscito a seguire per intero la diretta RAI, il primo numero di Agosto del “RadioCorriere TV” ne ripercorre le tappe principali, svelando i backstage della maratona nelle varie sedi regionali RAI. È il trionfo degli stereotipo: i torinesi restano seri e composti, i napoletani gridano mentre «i compassati milanesi», malgrado la loro proverbiale metodicità, si fanno «contagiare dall’entusiasmo» e da veri stacanovisti saltano pasti e riposini pur di non perdersi nulla.
Se il “Radiocorriere TV” ci mostra i retroscena del videospazio, il «numero storico» di “Epoca” del 27 luglio, tutto dedicato all’evento, non solo pubblica a tutta pagina le immagini dell’allunaggio riprese dalla tv, ma entra nelle case di due illustri connazionali, nientemeno che Papa Paolo VI e Giuseppe Ungaretti, per guardare e commentare con loro la diretta televisiva. Se con la conquista della luna gli Stati Uniti toglievano agli italiani il primato di grandi navigatori, all’Italia restavano ancora i santi e poeti. “Epoca” pubblica una riflessione del pontefice sullo storico evento (con tanto di firma solenne) e nelle didascalie a queste straordinarie immagini ci racconta che «il Papa ha trascorso davanti al video quasi tutta la notte del 20 luglio: guardava e pregava, e in qualche momento non riusciva a trattenere le lacrime» (“Epoca”, n. 983, 1969, p. 93).
Cena davanti alla TV e notte in bianco anche per Ungaretti, decisamente meno composto. Giuseppe Grazzini, che firma l’articolo, ci descrive come «ogni immagine sul teleschermo suscitava in lui emozioni sconvolgenti e contraddittorie». «Uno spettacolo prodigioso, prodigioso […] un miliardo di uomini – ripete Ungaretti – un miliardo di uomini che si ritrovano insieme nello stesso sentimento, e forse già uno steso proposito: un fatto immenso, un fatto unico nella storia del genere umano» (ivi, p. 97).
Un discorso a parte meritano i gadget regalati dai rotocalchi. I più interessanti, proprio perché in linea con il gusto del tempo, sono certamente quelli allegati al numero di “Tempo” del 26 luglio, la «prima moneta lunare» con una curiosa incisione in completo stile sovietico ma con il testo in inglese, e l’atlante lunare «a colori». Forse il regalo che più tradisce i desideri degli italiani nell’attesa del grande evento è però quello annesso al primo numero di “Tempo” del 4 gennaio 1969: nell’anno che avrebbe per sempre cambiato la nostra idea del mondo, il settimanale omaggiava i suoi lettori di una «mappa della luna a rilievo in plastica». Chissà se a qualcuno, sfiorando quell’oggetto kitsch nella notte dell’allunaggio è parso di poterla davvero toccare.
Riferimenti bibliografici
P. Auslander, Liveness: Performance in Mediatized Culture, Routledge, Oxford 2008.
G. Youngblood, Expanded Cinema (1970), Clueb, Bologna 2013.
W. von Braun, Terra-Luna in cinque giorni, in “Epoca”, n. 122 (7 febbraio 1953).
R. Orlando, Ruggero Orlando da Houston. Domenica Luna!, in “Radiocorriere TV”, n. 29 (20-26 luglio 1969).
R. Orlando, In prima fila davanti alla luna, in “Radiocorriere TV”, n. 30 (27 luglio – agosto 1969).
Un numero storico. Straordinario, Armstrong vi parla dalla Luna, in “Epoca”, n. 983 (27 luglio 1969).
A.V., Speciale luna, in “Radiocorriere TV”, n. 31 (3-9 agosto 1969).