Francesco Flachi è stato uno dei talenti calcistici italiani più puri della sua generazione. Dopo più di 130 gol in carriera tra Sampdoria, Fiorentina, Empoli, Bari e Brescia (con una breve parentesi ad Ancona), nel 2010 viene squalificato per dodici anni in quanto positivo alla cocaina, per la seconda volta, dopo un controllo antidoping. Il ragazzo gioca bene, documentario di Pietro Daviddi e David Gallerano, scritto con Riccardo Lupoli e prodotto da Ring Film per DAZN, racconta il suo ritorno in campo, a 46 anni, nel campionato di Eccellenza.
Il film inaugura gli Special Projects, ovvero i contenuti originali, della piattaforma over-the-top DAZN, che lo scorso anno ha ottenuto i diritti in esclusiva di trasmissione della Serie A per il triennio 2021-2024. Se tale attribuzione ha rappresentato un vero e proprio tornado all’interno del sistema-calcio, la scelta della piattaforma di investire in contenuti originali per allargare la library con documentari di approfondimento non ha certo lasciato indifferenti. Oltre a questo, nel giro di poche settimane DAZN ha rilasciato un altro film sulla breve esperienza di Walter Sabatini come direttore sportivo della Salernitana, sempre realizzato da Daviddi e Gallerano: due piccoli documentari, dall’alto valore produttivo, che con una narrazione character-driven hanno tracciato il solco di un nuovo look per la piattaforma sportiva.
Il ragazzo gioca bene segue i 51 giorni che precedono il “nuovo” esordio di Flachi con la maglia del Signa, squadra dilettantistica della provincia fiorentina, acquistata nel 2016 dal suo amico Andrea “Gatto” Ballerini. Tramite una serie di pedinamenti tipici del documentario contemporaneo, la macchina a mano segue il calciatore che si muove tra la sua Firenze e la città che l’ha adottato, Genova, facendone un idolo locale da giocatore della Sampdoria. Già dalle prime immagini, gli autori utilizzano l’archivio per mostrare i gol più straordinari dell’attaccante, validandone da subito lo statuto pubblico e iconico. Se il titolo del film richiama un coro con cui la Curva Fiesole lo omaggiava da giovane e promettente giocatore della Fiorentina, le immagini di repertorio conferiscono una dimensione nostalgica all’apice della sua carriera, contrappunto ideale alla pervasività di un reale, nel presente, tormentato e irrisolto. “Adesso sei nella vita reale”, gli ricorda l’ex-compagno Angelo Volpi durante una cena. Così, Flachi ci accompagna all’interno della sua nuova vita, entrando ed uscendo in continuazione dal passato, introducendoci a una lunga seduta psicanalitica autoriflessiva: dagli amici di sempre del bar ai suoi ex-compagni di squadra ai tempi della vita genovese, dal rapporto tormentato con la famiglia al nuovo lavoro di commentatore sportivo in una televisione locale.
Gli autori adottano esplicitamente un realismo della messa in scena che tende verso la sparizione della macchina da presa: il punto di vista s’identifica da subito con quello dello spettatore che, senza alcun apparato di giudizi, è lasciato libero di posizionarsi all’interno dell’universo di valori rappresentato; d’altro canto, Daviddi e Gallerano utilizzano campi molto stretti, primi piani e primissimi piani, con la pretesa di entrare all’interno della soggettività di Flachi tramite l’insistenza sui suoi occhi.
Il suo nuovo mondo è in realtà quello di sempre, ma nelle relazioni con gli altri perdura una dissimulazione continua che procede per accumulo fino all’ultimo spettacolo: il ritorno in campo dopo dodici anni, correlativo oggettivo di una catarsi necessaria. Flachi parla con leggerezza degli errori commessi, ride e scherza con tutti in una smisurata giovialità, ricordando esperienze passate e rivivendo le storie di ieri alla luce delle emozioni del presente, in una spasmodica attesa della partita. Ed ecco che il bambino-prodigio di ieri con il sogno di giocare in Serie A è lo stesso uomo che oggi non riesce a dormire per due notti prima di una partita di Eccellenza.
La commozione e il turbamento subentrano nell’elaborazione dei due rapporti che rappresentano il crocevia del film, e per certi versi della vita di Flachi: quello con il Gatto, presidente del Signa ed ex-compagno di curva, che crede più di altri nella pazza idea del ritorno in campo di Francesco, che piange al pensiero di poter aiutare l’amico a esaudire il suo nuovo sogno, e che lo accompagna fedelmente nel suo lungo percorso di uscita dall’inferno; quello con papà Giampaolo, uomo rude ed esigente, ma dagli occhi di una tenerezza sincera, che non ha intenzione di assistere al ritorno in campo del figlio perché per lui “il calcio è morto dodici anni fa”, e che conserva ancora gelosamente tutti i ritagli e gli articoli su Francesco, accuratamente rilegati in volumi, uno per ogni anno di carriera. Gatto e Giampaolo sono lo zenit e il nadir dell’equilibrio interiore di Flachi, “le uniche due persone che mi mettono in soggezione” come ammette lui stesso. Se il primo crede in Francesco e nella seconda opportunità, l’altro è rimasto fatalmente tradito dalle proiezioni riposte nel talento del figlio. Il ragazzo gioca bene è un film che giace, dunque, nell’intersezione sensibile tra la storia di un’amicizia profonda e sincera e quella di un rapporto familiare appesantito dalle aspettative.
Dopo l’ultima cena in famiglia prima della partita, la casa dei genitori si svuota. Francesco, tornato bambino, prepara la borsa per il giorno dopo, assieme alla mamma. Rimasto solo nella sua vecchia cameretta, va a dormire mentre ascolta sorridente dei messaggi vocali di incoraggiamento da parte degli amici. Flachi, scopriamo da questa scena verso la fine del film, è tornato a vivere a casa dei suoi. Il giorno dopo, al campo del Signa, ci sono tutti i personaggi che abbiamo incontrato nel corso del documentario, pronti ad assistere al momento catartico così carico di aspettative, come fossimo alla fine di Big Fish. Poco prima di entrare in campo, in fila indiana con i suoi compagni sotto il tunnel del piccolo stadio di provincia, Francesco poggia la testa per qualche secondo sulla schiena del compagno che lo precede. Un gesto piccolo e umano, ma dal grande valore simbolico, che testimonia non solo la stanchezza alla fine di un percorso travagliato durato dodici anni, ma anche l’incapacità di Francesco di elaborare in solitudine questo momento. Perché il calcio è uno sport di squadra e questo sembra proprio essere l’ultimo spettacolo di Francesco: una nuova prima volta che è, allo stesso tempo, anche l’ultima.
Non a caso, gli autori decidono di interrompere la narrazione con l’ingresso in campo, svuotando di significato un evento di per sé già eccessivamente caricato di aspettative, e focalizzando l’attenzione del film sul significato del percorso che lo precede, e sull’importanza di avere una seconda opportunità. Tutti quelli che lo hanno aiutato, gli amici così come i famigliari, partecipano alla cerimonia da spettatori, sugli spalti. Di spalle, scorgiamo anche papà Giampaolo, che ha infine deciso di assistere alla partita. Un’inquadratura in primissimo piano insiste, con un dettaglio, sui suoi occhi pieni di significato, entro cui si può leggere la storia di un percorso. Quel calcio che era morto, per Giampaolo, dodici anni fa, improvvisamente torna a vivere con il nuovo esordio del figlio. A seguire, in un’ideale soggettiva, Francesco corre in campo e scompare immediatamente dalla vista del papà. Forse, per la prima volta, è diventando adulto.
Il ragazzo gioca bene. Regia: Pietro Daviddi, David Gallerano; sceneggiatura: Pietro Daviddi, David Gallerano, Riccardo Lupoli; produzione: Ring Film, team Special Projects di Dazn; distribuzione: Dazn; origine: Italia; anno: 2022.