Le parole e la follia

di DESIRÉE MASSARONI

Il professore e il pazzo di P.B. Sherman.

Le parole e la folliaUn medico americano schizo-paranoico e omicida e uno studioso scozzese forse più pazzo di lui sono all’origine del più celebre dizionario storico della lingua inglese: se questa storia fosse stata presentata come una trama per un romanzo o per un film sarebbe stata considerata implausibile. Mentre si tratta della vera storia della genesi della prima edizione dell’Oxford English Dictionary a dimostrazione di come spesso la realtà ha più fantasia della fiction.

Il professore e il pazzo di P.B. Sherman è una pellicola in cui la parola viene connessa alla follia; come se la parola — organismo vivente anche da “morto” in quanto unico testimone della storia dell’uomo — presentasse nelle sue molteplici vite, ovvero nelle varie accezioni, definizioni, significati, di volta in volta cangianti quanto opposti in riferimento al contesto, qualcosa di folle o che può indurre alla follia. E folle e oggetto di ossessione è giudicabile l’impresa da parte di alcuni esseri umani di cercare di registrare e comprendere tutte le parole e i loro usi nel tempo in un libro. Le due figure anonime del titolo sono interpretate dai divi Mel Gibson e Sean Penn, i quali rinviano agli individui realmente esistiti James Murray e William Chester Minor, due personalità in qualche maniera interscambiabili: fratelli, soci, doppi anche nell’aspetto, complementari.

Il professore è un vertiginoso poliglotta, conoscitore autodidatta di molte lingue morte a tal punto che il comitato direttivo dell’Università di Oxford nel 1872 decide di affidargli la prima edizione del dizionario — iniziata vent’anni prima ma sospesa per l’incapacità a portare avanti il lavoro — che raccoglie tutto il percorso del lessico inglese nel corso dei secoli. James Murray ha l’ambizione di realizzare un vocabolario che contenga anche le parole correnti di uso comune e lancia un appello ai lettori britannici affinché collaborino all’impresa segnalando in quale opera letteraria sia comparsa la parola che conoscono.

La follia del professore — che il regista ritrae attraverso dei primi e primissimi piani in cui si manifesta il fanatismo e la solidità delle intenzioni dell’uomo — è nel tentativo maniacale di voler racchiudere il mondo intero attraverso i segni verbali che lo designano, laddove invece — come gli fa notare l’amico docente di Oxford origliando il gergo della servitù — la lingua si trasforma continuamente e il lavoro del lessicografo, dell’amante della parola non può che costituirsi come rincorsa continua e mai esaustiva. Se l’alienazione mentale di Murray è in fondo quella di diventare Dio e dunque di presentare un’opera compiuta che raccolga tutto l’essere, la follia (o la terapia) di Minor è invece quella di inseguire costantemente le parole per non essere inseguito dai fantasmatici persecutori e in qualche modo da se stesso.

Le parole e la follia

 

Il pazzo è un medico chirurgo militare che ha partecipato alla guerra civile americana rimanendone traumatizzato e recando con sé la colpa per aver fatto marchiare sul volto di un soldato, poi condannato a morte, la lettera D di disertore. Inseguito dal fantasma del milite torturato, il medico fugge in Inghilterra dove finisce per uccidere un uomo innocente scambiandolo per il suo immaginario oppressore. Il dottor Minor diventa letteralmente un paziente (da cui deriverebbe dal latino la parola “pazzo”) rinchiuso in un manicomio dove è curato a sua volta da un medico che palpa ogni zona del suo capo identificando i diversi nessi psico-verbali per cui ad ogni area celebrale corrisponderebbe una parola che identifica uno stato emotivo, una capacità cognitiva, una funzione mentale.

Lo psichiatra incoraggia e asseconda in William un dialogo con la realtà esterna — pur controllando a vista lui e i suoi visitatori — che si esplica appunto attraverso il linguaggio e quindi il lavoro epistolare per il professore e l’alfabetizzazione della vedova dell’uomo ucciso che sfocia in un amore improbabile quanto reale. La messa in immagine rende così visibile la parola, palesandola come un’entità che stimola alcuni esseri umani ad abbandonarsi ad un godimento sfrenato e mostrando le reazioni che questa innesca in essi, declinandosi come anello di differenze e congiunture fra gli individui. In questo senso, ad esempio, per il professore e i suoi collaboratori la parola è il regno del caos — cosicché essi lavorano in uno studio disordinato, subissati da libri e appunti, e ritratti in preda a scatti di follia, di giubilo o di scoramento di fronte alle criticità sollevate dalle parole. In particolare il regista mostra la parola arte scritta a caratteri grandi su una lavagna come un ente incombente in quanto Murray non riesce a rintracciarne un secolo di vita.

Per il pazzo al contrario la parola è il regno dell’ordine cosicché egli trasforma la sua cella in una biblioteca catalogata e in un archivio strutturato dove i vocaboli sono scritti su foglietti ripiegati e riposti ognuno secondo l’indice alfabetico; il lessico per il medico è una materia a cui egli accede con straordinaria agevolezza grazie ad un mix di mentalità scientifica e maniacalità tassonomica che — come le molteplici parole di cui è composta — costituisce una risorsa psichica variabile, talvolta in grado di sostenerlo altre volte invano rispetto al mondo.

Le parole e la follia

La parola è allora il segno della salvezza in quanto consente al pazzo un lavoro che lo affranchi dalla colpa; ma è al contempo un modo per espiare la colpa attraverso la scelta di vivere nella realtà. Il professore e il pazzo — che hanno necessità di toccarsi e di vedersi come per tastare l’esistenza dell’altro — sono tenuti in vita dalle parole; essi vivono per il gusto di assaporare le parole pronunciandole, saggiando la combinazione fra significato e significante, fra la parola e l’uomo, fra quest’ultimo e la realtà per sua natura complessa, innervata di plurime sfumature e dunque non riducibile ad una sola definizione.

Nella scelta del regista entrambi i personaggi raggiungono quindi una dimensione estatica, quasi di smaterializzazione, attraverso un lavoro di messinscena rovesciato ovvero la loro sostituzione simbolica da parte delle parole. La liberazione dal luogo di detenzione del dottor Minor — isolato, ridotto in uno stato di regressione psico-fisica e torturato con pratiche terapeutiche terribili dallo psichiatra preso dal timore di perdere il suo oggetto di studio privilegiato — è affidata alla parola accomodation e al discorso che in sua vece il professore rivolge al giovane Winston Churchill.

La salvezza di Murray è invece personificata dalla parola impegno la cui articolata descrizione diviene la sostituzione dell’uomo; il vincolo morale verso qualcuno, l’impiego diligente e sofferto di tutte le proprie forze per il compimento di qualcosa. Il film guarda al largo pubblico sebbene l’interpretazione degli attori — minimale e in levare — lo inscriva in un’operazione di ragionamento sul valore del linguaggio, inteso come strumento di apertura conoscitiva del mondo e quindi di emancipazione personale e collettiva da esso.

Le parole e la follia

 

Riferimenti bibliografici
T. De Mauro, La Fabbrica delle parole. Il lessico e problemi di lessicologia , UTET, Torino 2005.
S. Winchester, L’assassino più colto del mondo, Mondadori, Milano 1998.

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