Appena valicata l’entrata del Museo Nazionale del Cinema di Torino, e sorvolata la sempre cara sezione introduttiva dedicata all’archeologia del cinema, basta superare la rampa di scale per venire inghiottiti da un mostro che pare venire dai nostri incubi più reconditi. Ma lo sgomento dura la contrazione di un ventricolo, perché giunti nel cuore pulsante della Mole ci ritroviamo immersi in un vortice di inchiostro, carta, polaroid e immagini in movimento: in sottofondo, risuona malinconicamente il tema musicale di Edward Mani di Forbice (1990) di Danny Elfman.

L’incipit dell’esposizione The World of Tim Burton, ospitata presso la Mole Antonelliana nel capoluogo torinese, ideata e co-curata da Jenny He e adattata da Domenico De Gaetano, è caratterizzato da una serie di meccanismi – più o meno noti agli intenditori del regista di Burbank – che consentono agli spettatori di immergersi completamente nella mente di Tim Burton. In questo senso, la risposta primaria a quanto esposto nel cuore della Mole è di non avere a che fare semplicemente con “i film di Tim Burton”, ma di permeare la sua produzione artistica, il suo stile unico e, specialmente, il concepimento delle idee che, anche a distanza di decenni, si ritrovano nei suoi film più celebri.

Nove i percorsi tematici scelti per raccontare il processo di ideazione e realizzazione delle sue opere – In giro per il mondo, Polaroid, Influenze, Opere Figurative, Progetti non realizzati, Personaggi dei film, Carnevalesco, Festività, I reietti incompresi – tutti dotati di una ragion d’essere ai sensi della focalizzazione totale sull’artista californiano. Oltre 500 opere d’arte originali, molte delle quali inedite, ci parlano non tanto dei meccanismi di processamento e materializzazione di incubi o mostri: i disegni su pagine strappate da bloc-notes, biglietti da visita o tovaglioli di ristoranti ci raccontano sia dell’impulsività artistica di Burton, sia di come egli percepisca il mondo intorno a sé – nonché della forte influenza di disegnatori quali Edward Gorey, Charles Addams, Don Martin e Theodore Geisel (il padre del Dr. Seuss).

Accanto a vampiri anemici o streghe dalla movimentata vita notturna, ci sono camerieri, attrici, sconosciuti incrociati per caso durante questo o quel sopralluogo per un nuovo film. In questo modo, la percepibile irrequietezza degli impulsi immaginifici si sposa con la naturalezza del gesto del disegno che trascende i formati e i limiti imposti dalla carta tradizionale o dalle più comuni tavolette grafiche; e l’istintività della mente di Tim Burton trova nella macchina fotografica Polaroid (impiegata dal 1992 al 1999) il suo naturale prolungamento di natura meccanica. Questa produzione intensiva e istintuale è comprensiva di quella mole di progetti incompiuti, non realizzati, o rifiutati – come dimostrato dalla “gelida” lettera del “Le faremo sapere” spedita a Tim Burton dalla Disney dopo la proposta di pubblicazione di un libro illustrato.

Ma è proprio a partire da queste lettere che il percorso nella mente di Burton ci conduce verso i personaggi dell’intera sua filmografia, da Pee-wee’s Big Adventure (1985) alla serie Mercoledì (2022-2023). La presenza dei meravigliosi pupazzi impiegati per la tecnica stop-motion, esposti nella parte più alta del percorso a spirale della Mole, viene ben inclusa nel viaggio nella mente d’artista, e non stride con tutta quella serie di progetti intimi e professionali non destinati allo spettatore cinematografico medio. Questi ultimi, di fatto, risultano forse più accessibili a coloro che hanno familiarità con libri quali Morte Malinconica del Bambino Ostrica, esile libricino in cui l’illustrazione dialoga con la poesia. Ed è proprio la poesia, forse, la grande assente di questa mostra, evocata now and then nel corso delle sezioni tematiche: se il “Burton visivo” è il re dell’esposizione, il “Burton letterario” occupa uno spazio esiguo nel corso della mostra – escludendo lettere, brevi didascalie, o libri illustrati – pur considerando la sua produzione poetica (seppur limitata, il più delle volte, alla sfera intima) che è stata la culla di opere fondamentali come Tim Burton’s The Nightmare Before Christmas (1993).

Nel proseguire con il viaggio nella visione autoriale di Burton, personaggi, schizzi, dipinti, disegni, video-clip, storyboard e opere in movimento concorrono sia a costruire l’immaginazione visiva di questo artista postmoderno, sia a identificare quei temi fondamentali che affiorano dalla sua produzione. Dal rapporto apparentemente contraddittorio tra commedia e horror al tema della festività – momento dell’anno agognato dal piccolo Tim Burton nei suoi primi anni di vita trascorsi a Burbank – si giunge al tema cardine della sua produzione, la figura del “reietto incompreso” nella quale è possibile incanalare quasi tutti i protagonisti (e anche antagonisti) della sua filmografia, dall’autobiografico Vincent protagonista del cortometraggio omonimo, ai “due” Victor de La sposa cadavere (2006) e Frankenweenie (2012), sino alla più recente Mercoledì Addams o a Dumbo nella versione live action (2019). Sono creature che nascono ovunque, ma che vengono concettualizzate e sistematizzate in spazi ad hoc allestiti dallo stesso Burton, in trasferta o in casa propria – come lo studio fedelmente riprodotto all’interno della Mole. Completano l’esposizione sculture realizzate a grandezza naturale – Tre Creature, Pirati, e Balloon Boy – esposti in spazi adiacenti la mostra principale.

The World of Tim Burton non è dunque solo scheletri con bulbi oculari che fuoriescono dalle orbite, denti affilati, lingue attorcigliate, corpi esili e sguardi laconici. Lo spazio museale della Mole rielabora la già itinerante mostra curata da Jenny He e dallo stesso Burton, da poco conclusasi, trasformandosi nella casa temporanea di una mente che ha saputo lasciare un segno non indifferente nella storia del cinema e nell’immaginario collettivo. La razionalizzazione di un percorso artistico quarantennale risulta essere assolutamente pertinente ed esatto ai fini di una lecita e completa comprensione di ciò che è alla base di film in live action, in stop motion, di serie televisive o di videoclip musicali. Ciò che resta, al termine del percorso espositivo complesso ed immersivo – appena s’imbocca la via d’uscita del Museo del Cinema di Torino – è un sentimento di profonda malinconia generato da un’atmosfera difficile da archiviare, acuito dalle note del compositore Danny Elfman che hanno contribuito a rendere l’opera di Tim Burton assolutamente indimenticabile. 

Riferimenti bibliografici
T. Burton, The Melancholy Death of Oyster Boy & Other Stories, William Morrow and Company, Ney York 1997, trad. it. Nico Orengo, Einaudi, Torino 2006.

Il mondo di Tim Burton, a cura di Jenny He, Tim Burton; adattamento di Domenico De Gaetano, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 11 ottobre 2023 – 7 aprile 2024.

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