C’è sempre un tempo in cui i popoli smarriti van verso le idee semplici. La sapiente brutalità degli uomini forti. In noi trovano lo sfogo dai loro rancori. L’evasione dal senso mortificante della propria impotenza. La speranza, come per miracolo, di capovolgere il loro insoddisfacente destino. Bastano le parole giuste, parole semplici. Dirette. Gli sguardi. Il tono giusto. E allora ci amate. Ci venerate. Mi avete amato follemente. Per vent’anni mi avete adorato e temuto come una divinità. E poi mi avete odiato. Follemente odiato perché mi amavate ancora. Mi avete ridicolizzato, scempiato i miei resti, perché di quel folle amore avevate paura. Anche da morto. Ma ditemi a cosa è servito? Guardatevi attorno…siamo ancora tra voi.
A parlare è Benito Mussolini, fuori campo, mentre scorrono alcune immagini d’archivio del Ventennio, con una colonna sonora che va in crescendo di pari passo all’intensità della voce stessa e che raggiunge l’apice sulle scene di Piazzale Loreto, un attimo prima che lo schermo diventi nero, che la musica si interrompa e che venga recitato quel “guardatevi attorno… siamo ancora tra voi”. In questi primi due minuti e mezzo, nella coinvolgente e sconvolgente sequenza iniziale, M – Il figlio del secolo di Joe Wright scopre già le carte: è a noi spettatori che parla Benito Mussolini, ci chiama in causa direttamente e lo fa in un crescendo accusatorio (“Mi avete amato follemente [..]. Mi avete ridicolizzato, scempiato i miei resti […]. Ma ditemi a cosa è servito?”).
Un’interpellazione che non è neutra, non è solo un dispositivo necessario a portarci dentro un fenomeno così da raccontarcelo dall’interno, ma è utilizzata provocatoriamente (anche con tono sarcastico e grottesco) per chiederci conto di quel fenomeno: storicamente, ma anche e soprattutto rispetto all’oggi (“Ma ditemi, a cosa è servito? guardatevi attorno… siamo ancora tra voi”). Di fatto proprio questo sembra essere uno dei tratti sorprendenti che caratterizza tutta la serie: una specifica interpellazione dello spettatore e, a partire da questa, più in generale, la chiamata in causa del contemporaneo e dei processi politici e sociali che lo caratterizzano, delle discorsività pubbliche che lo attraversano. In questo senso, M – Il figlio del secolo di Wright riesce in un’operazione difficilissima: attraverso un sapiente uso di questo dispositivo rappresenta il fascismo sia dal punto di vista storico, come un fenomeno con peculiarità proprie legate a una particolare fase sociopolitica, sia come un’ideologia che continua a interrogare il presente, dotata di una specifica concezione delle dinamiche di governo e capace di perdurare oltre il contesto storico in cui è nata.
All’interno della dinamica narrativa della serie, il meccanismo dell’interpellazione svolge funzioni ben definite: in primo luogo, contribuisce a mettere in evidenza la specificità del fascismo come fenomeno storico, consentendo di dettagliare e contestualizzare eventi e figure chiave; in questo senso è di grande efficacia, solo per fare un esempio, la presentazione dei membri più influenti del Comitato Centrale dei Fasci di Combattimento fatta direttamente dal personaggio di Mussolini nel terzo episodio. In secondo luogo, questo dispositivo chiama in causa il contemporaneo, instaura un legame con il presente, sia in forma implicita, attraverso il collegamento enunciativo tra le diverse temporalità, sia in forma esplicita, attraverso i diretti riferimenti all’attualità, come succede nella quarta puntata dove viene rivisitato lo slogan trumpiano “Make America Great Again” in “Make Italy Great Again”.
Tuttavia, al di là di queste funzioni, l’aspetto più rilevante risiede nella peculiare conformazione che questo meccanismo enunciativo assume: la serie è di fatto interamente strutturata su un intreccio straniante tra le dimensioni del commento e del racconto. Già a questo livello, infatti, emerge una dinamica testuale che richiama le soluzioni avanguardistiche (che nella serie sono adottate su più fronti): un incessante alternarsi tra il racconto degli eventi in terza persona e un costante intervento – sarcastico, grottesco e provocatorio – su quello stesso racconto, reso attraverso lo sguardo in macchina di Mussolini e la chiamata in causa dello spettatore. In questo quadro, il Mussolini di M – Il figlio del secolo, più che un personaggio di una storia con un’interiorità da esplorare è un meccanismo scenico che permette il passaggio tra storia e critica, e che disvela le logiche del potere fascista.
Una conformazione enunciativa questa, che richiama il teatro epico brechtiano e, in particolare, il dramma La resistibile ascesa di Arturo Ui (1941), in cui Brecht trasfigura l’ascesa al potere di Adolf Hitler in una vicenda ambientata nel mondo della criminalità americana degli anni trenta. Anche quest’opera, come la serie di Wright, è articolata intorno a uno spiazzante slittamento tra la dimensione narrativa degli eventi e la loro rielaborazione metateatrale, in un costante intreccio di livelli: la narrazione in terza persona è interrotta da interventi diretti al pubblico, dall’uso di didascalie che anticipano gli eventi e da momenti in cui i personaggi assumono una funzione palesemente esplicativa, ironica e sarcastica. Questo meccanismo, nel teatro brechtiano, mira a rendere lo spettatore consapevole del carattere artificiale della rappresentazione impedendogli di accettarla passivamente: un effetto di straniamento che contrasta l’identificazione emotiva e sollecita una partecipazione critica.
Molto simile è quello che accade in M, dove la configurazione enunciativa precedentemente descritta — l’intreccio straniante tra racconto e commento, l’interpellazione diretta dello spettatore, il tono sarcastico e grottesco — funziona come strumento di distanziamento critico: scongiura l’immedesimazione passiva, sollecita una riflessione attiva sulle dinamiche di ascesa del fascismo e, di fatto, promuove un confronto con l’oggi e con il perdurare di alcune meccaniche di potere. In questo senso, la serie si configura come un dispositivo critico che chiama in causa, provoca, interroga e sfida l’osservatore; un dispositivo che a tratti risuona come un monito, attuale e inquietante, esattamente come l’epilogo che, di nuovo Brecht, pone a conclusione del suo già citato dramma: «E voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancor fecondo» (1963).
Riferimenti bibliografici
B. Brecht, La resistibile ascesa di Arturo Ui, traduzione di M. Carpitella, Einaudi, Torino 1963.
Id., Scritti teatrali, traduzione di E. Castellani, R. Fertonani, R. Mertens, Einaudi, Torino 2001.
F. Casetti, Dentro lo sguardo. Il film e il suo spettatore, Bompiani, Milano 1986.