Si dice che di un libro letto da adolescenti si ricordi, più che la trama, lo svolgimento, i personaggi, quello che potremmo definire tanto “temperatura emotiva” quanto “odore”, “aroma”, “alone”. Autori come Mallo – ma anche Carlos Fonseca, di recente uscito con Austral, e, prima di lui, Roberto Bolaño – orientano la scrittura fin da subito al fine di descrivere con quanta più precisione possibile l’alone, il respiro, la temperatura. Sicché abbiamo romanzi sterminati costituiti da microstorie che affacciano su macrocosmi, come per esempio I detective selvaggi (Bolaño) o testi come Il libro di tutti gli amori di Mallo.
Pensiamo, prima di addentrarci nell’ultimo progetto di A. F. Mallo, a Maggie Nelson che sceglie un tema, un (s)oggetto e lavora di riferimenti per descriverne una fenomenologia: così Bluets (un libro sul colore blu) o Pathemata (un libro sul dolore). Eguale discorso per Il libro di tutti gli amori.
Come importa poco cosa scriva Mallo nei paragrafi del suo libro – insomma il contenuto vale meno del respiro, del sapore complessivo, come dicevamo – importa poco stabilire una trama che possa orientare nella lettura. Diremo, solo perché il presente discorso sia ordinato, che Il libro di tutti gli amori muove in tre direzioni parallele, gemellate e cronologicamente scisse.
Abbiamo paragrafi con tono saggistico che descrivono diverse sfumature dell’amore in relazione alle discipline (che sia la psicologia, il cinema, l’antropologia). Abbiamo la vicenda di una scrittrice che, a Venezia, registra i segnali di un mondo sull’orlo del collasso. E poi abbiamo il collasso: definito il “Grande Blackout” dalla coppia (“lei” e “lui”) che si intervalla alla narrazione con dialoghi metafisici. Sono, i due, dei survivor. La fine dell’Antropocene non è stata, a quanto pare, totale deflagrazione, sopravvissuto com’è l’amore.
Una tesi semplice, che in altre mani sarebbe sfociata nel banale. Qui è romanticismo puro, ed è romanticismo perché c’è rispetto e distanza. Come dice Salinger, si diventa sentimentali quando si guarda alle cose con più tenerezza di quanto non faccia Dio. Lo sguardo di Mallo non è enfatico, non è sensazionalistico. Gli incontri col berbero e il cieco, come l’anno sabbatico del marito, prof di liceo (sezione veneziana), i dialoghi lirici e gli inserti saggistici producono una tensione verso e non un affondo all’interno dell’oggetto selezionato, ossia l’amore. Questo discostarsi lieve, questa premura, questo pudore, salvano il romanzo, scongiurano il rischio, tanto è il rispetto di Mallo, la dedizione.
Inscritto nella tradizione postmoderna di lingua spagnola, Mallo fa uso dell’intertestualità, ma in un modo che resta diegetico. Si parla, nel Libro di tutti gli amori, di intertestualità non perché cambi il font o ci siano inserti giornalistici, bensì perché la voce narrante, adattandosi alle scene descritte, muta. Lirismo per i dialoghi dei due survivor; clinico nei blocchi enciclopedici; narrativa classica nelle parti veneziane. È un abiurare, una rinuncia tipicamente postmoderna al narratore fisso. Infatti, benché nel libro di Mallo la voce narrante sia una terza focalizzata, non interferisce mai, non “si sente”, perché in tutto sovrapposta ora all’enciclopedia dell’amore, ora alla scrittrice a Venezia.
I dialoghi tra i due sopravvissuti hanno un tono lirico e metafisico. Scelta ottima, forse la sola possibile. Innanzitutto, Mallo capisce che per parlare d’amore occorre fondere i registri (e quindi abbiamo un testo che è a un tempo narrativa, teatro e saggio) ma capisce anche che l’unico modo per non scivolare nel sentimentale, o nel banale, è rendere inintelligibile – o non del tutto comprensibile – il dialogo tra i due innamorati dopo la fine del mondo. La sfera semantica in cui si immettono i due amanti è necessariamente “autistica”, incomprensibile a chi non la abita, solo comprensibile ai soggetti parlati dal linguaggio autonomo del loro sentimento.
Echi di Carver che, nel celebre racconto Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?, sintetizzava il sentimento nell’immagine di un vecchio steso sul lettino d’ospedale dopo un incidente d’auto, incapace di volgere lo sguardo sulla moglie accanto a lui, con cui convive e che vede da cinquant’anni. Il procedimento di Mallo è speculare, ma giunge allo stesso risultato, alla stessa forza di sintesi poetica: dove Mallo costruisce il sentimento in una molteplicità di tracce, Carver lo condensa in un’immagine. Come a dire che l’infinitamente grande coincide con l’infinitamente piccolo: si arriva allo stesso respiro, allo stesso sapore.
La sezione di Venezia ha un tono, invece, che ricorda le parabole kafkiane. Non solo perché Mallo descrive scene che serbano grottesco, anomalia e realismo magico, ma anche perché, lo si deve ricordare, il racconto della coppia è preludio al Blackout, e quindi, in un certo senso, non può che essere una parabola: lo è giocoforza per la prossimità con un evento singolare.
Procede il racconto, senza ambizioni di intreccio, con questa struttura sinfonica tripartita, nella costante tensione verso l’irraggiungibile – ma intuibile, sembra dire Mallo – verità dell’amore. Per entrare nel merito del romanzo, ne analizzeremo tre estratti, che appartengono rispettivamente alla linea del post-Blackout (“lei” e “lui”); all’enciclopedia amorosa e al pre-Blackout (la Scrittrice a Venezia).
Lui le disse: Ieri, quando ho raccolto quella chiocciola, grande e arancione come un sole in movimento, che tentava di nascondersi nell’erba, e l’ho messa sul palmo della tua mano, ti si è arrampicata fino ai polpastrelli, aggrappandosi alle impronte digitali come se ci fosse cresciuta dentro. L’hai osservata e non hai detto nulla.
Lei gli disse: Anche le mie orecchie nascondono una chiocciola, unica cavità del mio corpo che la tua lingua non ha ancora esplorato (Mallo 2025, p. 9).
È l’armonia col mondo. Certo, il discorso amoroso è autistico quasi per costituzione, ma intrattiene con la struttura che lo sottende un rapporto di pace. Allo stesso modo, si può sostenere il contrario, che l’amore sia un’alleanza contro la brutalità del mondo, un microcosmo partigiano. Ma i due aspetti non faticano a coesistere. L’unica cavità del corpo che la lingua di lui non ha di lei esplorato: le orecchie. La donna che si fonde con la natura non è qui cliché eterosessuale, ma definizione dell’amante/amato/amata come costituita e costituente del mondo naturale; mondo naturale che ovviamente prescinde dagli individui, tranne per l’amato, che agli occhi dell’amata è a un tempo singolarità diacronica e prosecuzione di un movimento trascendente, ovvero quello del mondo.
Lui le disse: Tu e io non siamo nulla.
Lei rispose: È meglio essere nulla, in un mondo che ha l’unica ambizione di essere tutto (ivi, p. 10).
È la società. In un mondo che fagocita, nel consumo prima di tutto dei corpi, nel loro abuso, il mondo vuole ingrandirsi, riempirsi, tracimare; ed è nell’inanità – catalizzatrice di lotta, attrito – che l’amore trova la sua dimensione e il suo grado ontologico più alto. La sparizione in un insieme di cose e cose e cose. Il nascondersi, lo sparire laddove tutto è presenza, ma presenza sempre opaca, gratuita, mentre l’amore serba in seno – anche illusoria – la necessità.
«Il viso di una persona non esiste in sé e per sé, il viso esiste solo quando viene illuminato dalla luce», ha detto Alfred Hitchcock […] le piante, che se potessero crescere liberamente, impacchetterebbero la nostra sfera. O l’abbraccio, in cos’altro consiste abbracciare se non nell’impacchettare l’altro, nel dargli una forma sconosciuta a tutti, tranne che a te... […] (Amore pacchetto) (ibidem).
È Lacan. L’impacchettamento come fagocitazione dell’Altro. Quel desiderio di far proprio l’amato che si coniuga alla Legge, che è legge del non-tutto, e quindi del rispetto assoluto di un fatto semplice: l’alterità dell’altro. Finché l’altro amato ci sfugge, finché di lui resta qualcosa che non riusciamo a simbolizzare, a fare nostro, l’amore è vivo.
[…] che se ne vadano perché «il Grande Blackout sta per arrivare e voi dovete essere pronti», conclude, prima di tornare da quelli del suo gruppo, senza dar loro occasione di chiedergli che cosa sia questo Grande Blackout, e come e dove dovrebbe manifestarsi. […] vedono un uomo anziano, magro e canuto, con una giacca blu a doppio petto con i bottoni dorati e una cravatta bordeaux, armato di un megafono, che coordina le operazioni di trasporto di opere d’arte dai vari padiglioni. Una moltitudine di sculture, tele, schermi video e fotografie, soprattutto fotografie, viene depositata da una folla di uomini e donne nello spiazzo dei vecchi giardini, opere che immediatamente il folto gruppo circonda e ammira, anche se non per molto. L’uomo con la giacca blu dai bottoni dorati estrae varie taniche di combustibile da una buca, le porge agli uomini e alle donne senza dare ordini, non dispone nulla in particolare, forse perché sa che il vero potere, degno di un monarca o di un dio, sta nel far sapere di possedere la forza e decidere di non esercitarla, rimandarla all’infinito, lasciare che esista soltanto come possibilità o sogno. […] Centinaia di persone in silenzio attorno a un bagliore che rivaleggia con il sole. Per un attimo addirittura lo eclissa (ivi, p. 162).
È il preludio (finale). La Scrittrice e il marito sono l’amore che non ha avuto successo, l’amore secco, arido che, perdendo, sconfiggendosi, fa finire il mondo nell’eclissi del sole: mentre la Biennale si svuota e, negletta, anche l’arte muore. A rimanere, dopo il fallimento di un amore, un amore resistente – quello dei superstiti “lei” e “lui” – un amore che è lotta partigiana.
Augustìn Fernandez Mallo, Il libro di tutti gli amori, Utopia, Milano 2025.