Con un pizzico di arguzia, il libro che Francesco Bergamo dedica alle cartografie dei paesaggi sonori si apre con una citazione di Rainer Maria Rilke, rintracciabile nel volume intitolato, in traduzione italiana, Del poeta: «Chi dovesse scrivere la storia del paesaggio si troverebbe subito senza soccorso, in balia di una cosa che a lui è incomprensibile, estranea, lontana. Ché noi siamo abituati alle forme umane, e il paesaggio non ne ha una». Tuttavia, impegnarsi nell’analisi del disegno del paesaggio sonoro — sondando il terreno sul quale si incontrano, con molteplici risultati, segno grafico e suono — significa, precisamente, non limitarsi a “scrivere” la storia del paesaggio, né ricorrere necessariamente a “forme umane”. Piuttosto, la questione di comprensibilità posta da una categoria così sfuggente come quella di “paesaggio” può essere affrontata, innanzitutto, attraverso un percorso inter- o trans-mediale, e questo prima ancora di tentarne la verbalizzazione all’interno delle maglie di un processo logico-discorsivo.

Per essere più precisi, parlare di soundscape sulle tracce di quanto proposto, originariamente, dal compositore canadese Raymond Murray Schafer in The Tuning of the World (1977) — significa parlare anche della critica di questo concetto — raccogliendo, ad esempio le obiezioni poste da Tim Ingold nel 2011 — secondo una tensione epistemologica e conoscitiva mai sopita, che anche Bergamo fa propria, intitolando “Against the soundscape” (Bergamo 2018, pp. 30-33) il paragrafo conclusivo del primo capitolo, dedicato alla rimessa in discussione globale del framework teorico-metodologico in uso.

Bergamo concorda con Ingold sulla necessità di evitare l’abuso del suffisso –scape (fenomeno che, invece, è sempre più evidente in diversi ambiti di ricerca), anche perché l’uso del termine soundscape a proposito del “paesaggio sonoro” oscura il fatto che di lightscape, e non di “pittura” o “arti visive”, si dovrebbe parlare quando la rappresentazione del paesaggio è più marcatamente visual.

Anche l’attributo “sonoro” non è sempre valido, in presenza di possibilità che si possono definire, da un lato, come più “acustiche” (cioè legate alla dimensione dell’ascolto, più che a quella dell’emissione sonora) o, dall’altro, usando il prefisso “oto” (quando al centro dell’esperienza del paesaggio sonoro vi sia la dimensione auricolare). Di primaria importanza anche l’adozione del lessico deleuziano, attraverso il quale le nozioni di “ambiente” e “territorio”, così come sono sviluppate a partire da Mille plateaux (1980), intervengono a ridefinire quella di “paesaggio”, mostrando quelle articolazioni interne che possono efficacemente contrastare l’opacità e, al tempo stesso, la mancanza di precisione di quest’ultima definizione.

Alla luce di queste considerazioni, è forse una conseguenza inevitabile che il secondo capitolo non sia dedicato tanto a un approfondimento teorico, quanto a una tipologia delle diverse rappresentazioni sonore censite dall’autore, a significare non soltanto il primato dell’esperienza del paesaggio sulla sua elaborazione discorsiva, ma anche la singolare e talvolta idiosincratica rilevanza di ogni occasione critica. Francesco Bergamo difende con nettezza questa opzione alla fine del primo capitolo:

Il primo problema che si pone a chi si accinga a rappresentare, a descrivere o a disegnare, riguarda il cosa rappresentare. E il cosa non designa soltanto una porzione di realtà, ma anche e soprattutto la sua configurazione e la sua struttura, che variano a seconda del dominio cui afferiscono le intenzioni del rappresentatore (ivi, p. 33).

Se in queste parole sembra affiorare una certa fiducia nell’intenzionalità autoriale, i singoli case studies sembrano, d’altra parte, fornire un’elaborazione più approfondita di questo principio metodologico e critico. Francesco Bergamo ne propone una prima e sommaria tripartizione: rappresentazioni del suono e attraverso il suono; rappresentazioni mediante field recording; rappresentazioni mediante sonificazione.

Com’è logico, si tratta di categorie fra loro sovrapponibili, anche se i casi di intersezione, in quanto tali, sono periferici rispetto all’analisi di Bergamo; anche la tendenza, ancora assai florida, all’ibridazione del field recording e di generi musicali convenzionalmente più strutturati non è oggetto precipuo dell’analisi. Vi sono, per contro, alcune annotazioni assai interessanti rispetto all’evoluzione stessa della pratica del field recording, che è, per fare un esempio, tanto frequente per gli spazi urbani e metropolitani quanto per gli spazi deserti o semi-deserti, non concentrandosi, invece, se non sporadicamente, su altri tipi di paesaggi.

In ogni caso, sembrano essere di maggiore interesse due degli esempi delle pratiche di sonificazione, perché dischiudono un certo potenziale per le ricerche presenti e future. The Place Where You Go To Listen di John Luther Adams è un’installazione permanente presso il Museum of the North di Fairbanks, in Alaska. Traduzione di Naalagiaġvik, luogo in cui la poetessa e sciamana inuit Uvanuk, vissuta nel diciottesimo secolo, aveva affermato di poter ascoltare il respiro del mondo, Adams ha proposto una complessa elaborazione sonora e luminosa del field recording in tempo reale del paesaggio fuori dal museo.

Trattandosi di «un dispositivo che articola un discorso stratificato e complesso, che trascende le facoltà sensoriali umane e non consente di comprendere ciò che rappresenta mediante un’unica immagine statica»— o anche un solo flusso sonoro — «l’installazione di John Luther Adams avvicina il punto d’ascolto del visitatore a qualcosa di simile all’orecchio impossibile, assoluto e disincarnato, che Gilles Deleuze desiderava» (ivi, p. 49).

Contrastando, a tal proposito, ogni interpretazione forte dell’autorialità, l’installazione di John Luther Adams apre alle cartografie sonore del presente e alle loro potenzialità future, tema al quale è dedicato il terzo e ultimo capitolo del libro. Tra algoritmi e big data, sembra tuttavia che l’orecchio disincarnato cui si guarda con favore — in quanto rappresentazione di un limite che può riconfigurare integralmente l’attuale panorama teorico-critico, operativo e performativo — possa essere a sua volta superato, dimidiando anche lo stesso potenziale di mediazione della critica, dal passaggio di consegne all’inumano e post-umano.

Come avverte Bergamo, l’accettazione passiva di questi processi, «significherebbe rinunciare a immaginare il futuro»; più concretamente, significherebbe anche rinunciare ad una comprensione articolata, e non ingenua, del compito stesso della cartografia:

Poiché realizzare mappe e atlanti visuali, sonori, olfattivi, gustativi e tattili significa costruire modelli, qualsiasi mappa sonora […] non può che essere auspicabile, anche se si rivela capace di suscitare nuove questioni senza assolvere completamente al proprio compito oggettivante (ivi, p. 70).

Il secondo esempio di sonificazione è ancora più intrigante: il progetto di Andrea Polli, Heat and the Heartbeat of the City, online dal 2004, elabora i dati relativi al clima nell’area del Central Park di New York, orientando la ricezione uditiva verso una riflessione sul cosiddetto “riscaldamento globale”. Bergamo suggerisce una possibile interpretazione del progetto di Polli nei termini degli Iperoggetti (2013) di Timothy Morton, in quanto Heat and the Heartbeat è «invisibile e inaudibile, sfuggente, viscoso e non-locale» (ivi, p. 45).

Anche se l’autore non approfondisce questa possibile diramazione teorico-critica, è inevitabile pensare all’opera di Morton — autore capitale per la comprensione della contemporaneità e, insieme, di una storia che travalica i confini della storia umana — come punto di ripartenza per una riflessione dove l’ecologia (tra l’altro invocata nei lavori di Schafer, Luther Adams e molti altri) non si faccia ricomprendere dai limiti dell’elaborazione discorsiva, ma diventi sempre più una pratica performativa.

Riferimenti bibliografici
F. Bergamo, Il disegno del paesaggio sonoro, Mimesis, Milano 2018. 
T. Ingold, Being Alive. Essays on Movement, Knowledge and Description, Routledge, Londra/New York 2011.
T. Morton, Iperoggetti, Not, Roma 2018.
M. Schafer, Il Paesaggio Sonoro. Un libro di storia, di musica, di ecologia, LIM, Lucca 1985.

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