Come noto, Il cinema secondo Hitchcock sarebbe “il più bel libro di cinema di tutti i tempi”. Difficile negare che lo sia, o che almeno possa ambire ad esserlo, a patto di chiarire che cosa intendiamo con un “libro di cinema”. Dentro questa categoria ci sono tante cose diverse: saggi, raccolte di recensioni, memoir, analisi di film, dizionari, enciclopedie, storia del cinema, monografie d’autore, studi accademici. Il fatto che in questo caso ci troviamo di fronte a una serratissima intervista tra due autori, o tra un cinefilo e l’oggetto della sua stima, o ancora tra un critico e un regista (inizialmente reticente), è il fattore che cambia le carte in tavola.
Ed è curioso che questo semplice atto – un’intervista lunga e circostanziata che, una volta sbobinata, appare come un’avventura teorica – abbia stimolato il bisogno di farne un episodio epocale della cinefilia e della passione per il cinema. Pensiamo a Hitchcock/Truffaut, il documentario del 2015 diretto da Kent Jones. E pensiamo anche a questa nuova edizione deluxe de Il Saggiatore, illustrata con fotogrammi tratti dai film del regista inglese, scatti dal set, ritratti e locandine, e tanti altri materiali limpidi e affascinanti.
Tutti questi apparati paratestuali mitizzano l’intervista – che è un paratesto per eccellenza – e la trasformano in testo. Un po’ come fu l’idea stessa del volume, ab origine, nel 1962, che raccoglieva un dialogo (ricordiamolo) in due lingue, francese e inglese, gestito da una traduttrice. Si può studiare un volume come Il cinema secondo Hitchcock? Chi in tutti questi anni lo ha inserito in un programma d’esame non ha certo inteso spingere gli studenti a ripetere a pappagallo le frasi dell’autore britannico, caso mai a osservare un assedio critico: come un interprete non si accontenta di offrire una propria lettura analitica dei film di un regista e come cerca maieuticamente (o qua e là insidiosamente) di costringere l’autore a riflettere su sé stesso. A operare teoricamente su sé stesso. Svelando talvolta l’intentio auctoris già consapevole dietro scelte linguistiche, tecniche ed estetiche, o altrove facendone accogliere a mezza bocca il lavoro critico dell’altro.
In questo senso il volume è un unicum, per la sua originalità progettuale, pur all’interno di un genere giornalistico che nasce con l’informazione stessa (l’intervista appunto). Per i più giovani, leggere o rileggere Il cinema secondo Hitchcock è anche una lezione: la lavorazione del film, la produzione e il set, le operazioni sul testo e sugli attori sono elementi imprescindibili per il lavoro critico e interpretativo. Citando il volume, spesso ci si è dimenticati di quanto spazio Truffaut conceda a Hitchcock, e Hitchcock insista nel prendersi, sulla storia dei film, senza la quale questo racconto a due voci sarebbe monco, e l’istantanea perfezione della conversazione risulterebbe legnosa. Fare un film è il romanzo, poi c’è il discorso.
Talvolta sembra che Truffaut e Hitchcock parlino di sé stessi. In fondo, alcune delle chiavi di lettura teorica su quest’ultimo sono perfettamente all’opera anche per iscritto: una tensione omoerotica irriducibile, una ginofobia piuttosto tangibile (con alcune dichiarazioni hitchcockiane oggi poco ricevibili, ma forse anche ieri), una ricerca del senso che sembra ossessione di verità per Truffaut e masquerade narrativa per Hitchcock: l’intero suo cinema è dedicato al tema filosofico della morte e della mortalità senza che mai venga affermato a chiare lettere.
Del volume si ricordano normalmente alcuni exploits esegetici (La finestra sul cortile come film sul voyeurismo, La donna che visse due volte sulla necrofilia, l’adattamento derubricato a freddura sulle capre che masticano, e soprattutto l’esemplare ragionamento sulla differenza suspense/sorpresa), ma è invece nella perenne negoziazione su chi detiene il potere interpretativo che si gioca la sfida tra due che si sforzano di apparire come gentlemen.
Se la critica è polemos, non possiamo credere che Il cinema secondo Hitchcock sia una passeggiata fatta di gesti cortesi. Certo, la cinefilia è amore (oppure odio, non qui), e Hitchcock è un oggetto amoroso per eccellenza, forse il territorio estetico su cui si è giocata la battaglia decisiva per la politique des auteurs. Ma sarebbe superficiale negare tra le pieghe del volume una piccola grande lotta sulla titolarità del senso da dare al cinema, al suo potere ideale, alle sue latenze perturbanti, al suo immaginario irriducibile.
François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock (Edizione deluxe), Il Saggiatore, Milano 2023.