La Seconda guerra mondiale è terminata settantotto anni fa. Troppi, se si pensa che la data ufficiale di fine è il 1945, cioè nella prima metà del Novecento, e che l’avvio di tutti i processi politici, storici e sociali che l’hanno causata va cercato nel ventennio precedente. Troppo pochi, se si pensa che alcune generazioni del Novecento l’hanno vissuta direttamente, mentre altre l’hanno vissuta indirettamente attraverso quelle rappresentazioni collettive (oggi rappresentazioni sociali) che Émile Durkheim intende come elaborazioni intellettuali e simboliche di un fatto sociale, sedimentate, condivise e alla base dell’agire degli individui. In questo caso specifico, rappresentazioni orientate a scongiurare nel presente e nel futuro la «colpa metafisica» che il filosofo e psichiatra tedesco Karl Jaspers (1946) descrive come l’annientamento di un principio di solidarietà che porta a tollerare ingiustizie e malvagità verso i propri simili.

Le rappresentazioni collettive sulla Seconda guerra mondiale sono corroborate anche dalle narrazioni audiovisive: la fotografia (dai reportage di Lee Miller, Robert Capa, Margaret Bourke-White alle miniature contemporanee di Paolo Ventura), il cinema (dal neorealismo a Terrence Malick, Steven Spielberg, Christopher Nolan, ecc.) e le serie TV (Band of Brothers del 2001, Catch-22 del 2019, ecc.). Quest’ultime persino in grado di raggiungere le generazioni dei centennials e degli screenagers. Tali narrazioni si configurano come racconti della guerra nel suo corso (eventi, battaglie, personaggi), racconti sulle sue conseguenze (ricostruzioni sociali e morali), racconti distopici o ucronici (un futuro negativo o una realtà alternativa).

La terza tipologia di racconto sembra ben adattarsi al mondo della serialità che negli ultimi anni ha dato vita a The Man in the High Castle (2015-2019, Prime Video), SS-GB (2017, BBC One), Il complotto contro l’America (2020, HBO), Hunters (2020-2023, Prime Video). Mescolando ucronia e distopia, lo scenario immaginato è quello di un mondo in cui Hitler è vivo, i nazisti vincono la guerra, il Reich si estende a livello mondiale, gli alleati vengono dominati o si dichiarano neutrali. I racconti si fondano su un sentimento di paura, quello del «“male assoluto” incarnato dal nazionalsocialismo [che] continua tuttora ad alimentare gli incubi più inquietanti dell’Occidente» (Trocini 2022, p. 106), e su un senso di colpa, quello di non fare abbastanza per impedire il ripetersi di brutalità.

È di questa paura e di questa colpa che si caratterizzano le due stagioni di Hunters, serie TV scritta e ideata da David Weil per Amazon Studios. Il racconto di Weil ha radici nella sua infanzia a Long Island circondato dai ricordi e dai moniti della nonna sopravvissuta ai campi di concentramento. Per contrastare il senso di colpa metafisica, lo showrunner ha sentito il dovere di diffondere consapevolezza su un evento storico che può essere simbolo di qualsiasi forma di persecuzione o ferocia:

Holocaust denial has metastasised throughout the world in the last 10 years. […] The number of people who have never heard of the Holocaust or who have heard of it but think it didn’t happen is shocking. The point of this series is to carry on my grandmother’s story and teach people the truth (Kendall 2020).

Hunters racconta le vicende di un gruppo di cacciatori di nazisti reclutati dal benefattore e filantropo ebreo Meyer Offerman (interpretato da Al Pacino, in nuovi panni rispetto alla sua identità italo-americana), personaggi che sarebbero stati delle prede nella Germania nazista e che invece agiscono come feroci predatori nell’America della seconda metà degli anni settanta. Gli ebrei del gruppo sono: il giovane nerd Jonah coinvolto in seguito all’omicidio della nonna; l’attore di B-movie Lonny Flash; i sopravvissuti Mindy e Murray Markowitz; la finta suora ed ex agente dell’MI6 Sister Harriet. I non ebrei sono: la black panther Roxy Jones; il nippoamericano veterano del Vietnam Joe Mizushima; l’agente dell’FBI afroamericana lesbica Millie Morris. Prima la paura: i cacciatori scoprono che Hitler – interpretato da un somigliantissimo Udo Kier – è in Argentina con Eva Braun e progetta il Quarto Reich, evento più che realizzabile in un mondo pieno di vecchi nazisti e di nuovi menti traviate (lo dimostra l’orribile e psicopatico personaggio di Travis). Poi la colpa: sono disposti a compiere azioni deplorevoli per impedirlo.

La prima stagione, ambientata quasi interamente a New York, introduce la loro missione descritta da Offerman come necessaria e motivata:

Per migliaia di anni, da Masada a Monaco, siamo stati massacrati. […] Siamo sopravvissuti alla guerra, siamo sopravvissuti al più grande sterminio di massa della storia moderna e arrivati a casa scopriamo che gli autori di tutto questo sono i nostri vicini. Allora, dimmi… che cosa dovremmo fare? Stringergli la mano? Chiudere un occhio? Dimenticare? No. Il più grande unico dono degli ebrei è la nostra capacità mnemonica e grazie alla nostra memoria sappiamo che questa è sopravvivenza, non è omicidio. […] Occhio per occhio. Non lo facciamo perché lo vogliamo ma perché non abbiamo scelta. Dobbiamo instillare la paura, inviare il messaggio, farglielo sapere: non uno di più, mai di più.

La caccia si fonda su un fatto storico: molti nazisti si sono reinventati in Sud e Nord America. Si pensi all’Operazione Paperclip che ha trasformato centinaia di scienziati tedeschi, più o meno ferventi sostenitori del nazionalsocialismo, più o meno coinvolti in crimini di guerra, in celebrità americane. Se qualche anno fa la questione è tornata alla ribalta con il volume I nazisti della porta accanto. Come l’America divenne un porto sicuro per gli uomini di Hitler (2017) di Eric Lichtblau, già nel 1967 veniva pubblicato Gli assassini sono tra noi di Simon Wiesenthal, sopravvissuto ai campi, fondatore nel 1947 del Centro di documentazione ebraica e passato alla storia come il vero cacciatore di nazisti. Wiesenthal, infatti, ha dedicato la propria vita a scovare criminali da processare, non per vendetta ma – recita un articolo del 1967 sul “New York Times” – per informare le generazioni future (ancora una volta un modo per combattere la colpa metafisica).

Come Wiesenthal, il personaggio di Offerman si fa promotore di un’iniziativa importante per la memoria degli ebrei. Ma a differenza di Wiesenthal, la caccia di Offerman è brutale e sanguinosa e non fa capo alla giustizia degli uomini che si è rivelata insoddisfacente: viene esplicitamente chiamato in causa il processo di Norimberga che ha coinvolto solo una ventina di imputati.

Offerman è l’anziano e saggio mentore – in particolare per Jonah, al quale instilla la colpa metafisica sin dal primo episodio intimandogli di non aver fatto nulla per salvare la nonna – che compatta il gruppo facendo leva proprio su paura e colpa. I nazisti sono rappresentati come malvagi, impenitenti e macchiati di tutte le colpe elencate da Jaspers: quella metafisica, ma anche quella criminale (i misfatti compiuti trasgredendo le leggi), quella politica (la responsabilità collettiva riguardo alle scelte e alle azioni non contrastate dello Stato), quella morale (la responsabilità individuale nell’opporsi o meno a crimini e violenze). Per i cacciatori, quindi, l’unica punizione possibile è procurare loro una morte dolorosa pari a quella causata ai milioni di ebrei sterminati in Europa.

La seconda stagione, ambientata prevalentemente in Argentina, pone l’accento sulla giustificabilità della missione, soprattutto dopo che Offerman si rivela “Il Lupo”, un criminale nazista che ha rubato l’identità a un prigioniero dei campi e che ha ucciso la nonna di Jonah dopo essere stato scoperto. Tutti i cacciatori fanno i conti con la cieca fiducia riposta nell’ipocrita leader e con le azioni compiute in suo nome. In più, la missione del gruppo è completata – Hitler è catturato e processato – ma i personaggi si sono macchiati delle stesse colpe delle loro prede: non hanno avuto scrupoli a fare del male ai propri simili; hanno commesso reati e delitti; sono corresponsabili delle scelte della comunità a cui appartengono; hanno fatto poco per fermare ulteriori atrocità. Sebbene il finale di Hunters possa risultare catartico (Hitler è condannato e incarcerato), in verità non estingue la paura e la colpa facendo intuire che qualsiasi ideologia continua a sopravvivere a prescindere dal suo creatore.

Riferimenti bibliografici
É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Editori Riuniti, Roma 1996.
M. Gervasini, Se continua così. Cinema e fantascienza distopica, Mimesis, Milano-Udine 2022.
K. Jaspers, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, Raffaello Cortina, Milano 1996.
P. Kendall, Al Pacino vs Nazis: the true story that inspired new Amazon series Hunters, in “The Telegraph”, 15 Febbraio 2020.
F. Trocini, Il fascino del verosimile. Ipotesi controfattuali e narrazioni ucroniche, in Il futuro capovolto. Per una mappa degli immaginari distopici del XXI secolo, a cura di D. Palano, EDUCatt, Milano 2022 (Ebook).
Relentless Nazi-Hunter, in “New York Times”, March 3, 1967, in “Holocaust Encyclopedia”.

Hunters. Ideatore: David Weil; interpreti: Al Pacino, Jennifer Jason Leigh, Logan Lerman, Jerrika Hinton, Lena Olin, Josh Radnor, Tiffany Boone, Carol Kane, Louis Ozawa, Kate Mulvany, Greg Austin; produzione: Amazon Studios, Monkeypaw Productions, Halcyon Studios; origine: Stati Uniti d’America; anno: 2020-2023.

Share