Il cinema così come la letteratura ci hanno raccontato moltissime storie di amori impossibili dovuti alle diverse appartenenze dei due amanti, sociali, culturali, religiose o etniche. Molte di queste storie si concludono con un lieto fine, oppure con una riconciliazione attraverso la morte, come in Romeo e Giulietta. In Happy Holidays (Yin’ad ‘Aliku) di Scandar Copti, premio per la Miglior sceneggiatura nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia 2024, il dramma intimo e personale diventa specchio e detonatore di un conflitto collettivo, un amore impossibile perché contaminato dal sangue della Storia. Non è più il caso o la fatalità a muovere la sorte ineluttabile dei protagonisti, come nella tragedia shakespeariana, ma le ristrettezze di un orizzonte culturale e sociale che rendono l’intimità e i rapporti umani un territorio militarizzato, sorvegliato, controllato.
Il film è ambientato ad Haifa, nel nord di Israele, una città con una cospicua minoranza araba, in particolare giovani che vengono a studiare all’Università (poco meno della metà degli iscritti sono arabi), in cui è possibile fuggire anche dalle norme sociali più tradizionaliste delle località di origine. Nell’immaginario, Haifa viene dipinta anche come un presidio multietnico e multiculturale dove la convivenza tra popoli risulta serena e pacifica. Il film traccia due linee narrative, raccontate da quattro prospettive diverse, segnate da alcune festività del calendario ebraico, che si fa dispositivo narrativo e montaggio simbolico. Si apre con un incidente in macchina durante la celebrazione del Purim e termina nel giorno di lutto dello Yom HaZikaron, dedicato a tutti coloro che sono caduti nelle guerre che lo Stato d’Israele ha dovuto affrontare per sopravvivere e mantenere la propria indipendenza. All’interno del film però le festività, e le loro celebrazioni, non sono momenti di sospensione felice, ma inneschi che fanno emergere le tensioni e le ambivalenze della società israeliana, portando alla proiezione rituale di un conflitto che invade ogni elemento del quotidiano. Piuttosto che ricompattare il tessuto sociale, le ricorrenze religiose lo disgregano ulteriormente, creando una crepa nella narrazione ufficiale e nella memoria auto-celebrativa nazionale, attraverso cui il trauma privato si politicizza, e la comunità si rivela nella sua profonda disfunzione.
Shirley e Rami hanno una relazione sentimentale, lei è ebrea mentre lui è arabo-israeliano. Si trovano al centro di un evento che frantuma ogni possibilità di, seppur precario, equilibrio: una gravidanza inattesa. La ragazza vorrebbe tenere il bambino mentre Rami vuole che abortisca, non perché non si senta pronto per la paternità o perché non provi un sentimento profondo per Shirley, ma perché un figlio nato da una relazione interraziale non sarebbe concepibile da parte della sua famiglia. Dall’altra parte, la giovane israeliana, che apparentemente proviene da un ambiente più liberale, che prevede anche la possibilità che una donna cresca un figlio senza padre tramite la fecondazione in vitro, si scontra con la sorella, la quale le dice chiaramente che avere un figlio metà arabo non solo l’allontanerebbe per sempre dalla sua famiglia, ma che inevitabilmente le rovinerebbe la vita, così come la rovinerebbe al bimbo stesso. La ragazza più volte chiede e si chiede se quello che succede nel paese debba condizionare così la propria vita e la propria maternità. L’altra linea narrativa mostra invece l’inizio di una possibile relazione amorosa tra due giovani arabi-israeliani, Fifi e Walid. Lei è una giovane ragazza emancipata, studia lontano da casa ed ha una vita autonoma, così come una vita sessuale attiva che è in conflitto con le norme sociali patriarcali.
Nonostante Happy Holidays non sia un film incentrato direttamente sul conflitto arabo-israeliano, evidenzia alcune tensioni del sistema educativo ideologicamente orientato, soprattutto attraverso il contesto universitario di Fifi, che studia per diventare maestra, così come il ruolo della militarizzazione nella vita quotidiana, ad esempio quando la nipote di Shirley non vuole arruolarsi nell’esercito, dal momento che il servizio militare è obbligatorio al compimento dei diciotto anni. Più che prendere posizioni nette, il film mostra una società intrappolata in una contraddizione permanente, tra desiderio, dovere e sottomissione culturale, restituendo complessità alle figure femminili che non rimangono marginalizzate esclusivamente a ruolo di vittime, ma riacquisiscono agency. Il corpo femminile è lo spazio in cui si incrociano le leggi della religione, della famiglia e dello Stato, metafora di un’identità sotto assedio, schiacciate sì dal patriarcato, ma anche dalla figura materna, fondato sul controllo emotivo e la colpa. Nel finale del film sarà proprio Fifi a ribaltare questa prospettiva, unica figura in movimento mentre il resto della società rimane chiuso nella propria gabbia ideologica.
Happy Holidays. Regia: Scandar Copti; soggetto e sceneggiatura: Scandar Copti; montaggio: Scandar Copti; fotografia: Tim Kühn; scenografia: Hamada Atallah; costumi: Nan Zhou; interpreti: Manar Shehab, Toufic Danial, Shani Dahari, Meirav Memoresky; produzione: Fresco Films, Red Balloon Film, Tessalit Productions, Intramovies; distribuzione italiana: Fandango; origine: Palestina, Germania, Francia, Italia; durata: 124’; anno: 2024.