Et incarnatus est

In una scena essenziale di Passion (1982) – scena madre, si sarebbe detto un tempo – Hanna Schygulla nella stanza di un albergo è invitata da Jerzy, il regista del film, a osservarsi, guardarsi: sullo schermo di un televisore analogico la sua immagine accoppiata alla voce altra di un soprano interpreta l’aria Et incarnatus est della Messa in Do minore di Mozart. La voce del soprano si incarna lì nel volto dell’attrice tedesca, dialoga dallo schermo tv col volto di lei ritratto nello schermo cinema, con la resistenza di lei a guardarsi e riguardarsi, col tentativo di disincarnarsi dall’immagine filmata e rimediata nel video, la messa in scena del lavoro, dall’esprimersi del volto come lavoro. Chi lavora al cinema? Hanna o Isabelle Huppert, operaia, nel film? I gesti dell’amore e i gesti del lavoro sono una forma di contatto o una paradossale sublimazione, una finzione situata tra differenza e ripetizione? In fondo, come recitano i dialoghi del film, perché il film accada, la distanza tra amore e lavoro deve farsi nulla.

Il film deve farsi vista, il suono deve farsi vista, i corpi reincarnarsi in gesti o attese di gesti, le voci mediare e ri-mediarsi nello spazio asincrono del suono del film, disaccoppiandosi ai parlanti, traducendosi nel cinema di Godard come intervallo tra tempo e azione. Tra forme dell’incarnazione in immagine e senso, in memoria e suono. Eucaristia laica, comunione intellettuale ed emotiva richiesta al lavoro di chi guarda, allo spettatore infine.

Della finzione possibile, del corpo plausibile

La fiction è lo sguardo e il testo è l’espressione di questo sguardo, la sua didascalia. La fiction è, in realtà, l’espressione del documento, il documento è l’impressione. L’impressione e l’espressione sono come due momenti differenti della stessa cosa; direi che l’impressione dipende da questo momento. Ma, quando si ha bisogno di guardare ad un documento, allora ci si esprime. E si tratta di fiction, ma la fiction è reale quanto il documento, è un momento diverso della realtà (J-L. Godard).

Il film che sarebbe interessante fare oggi sarebbe un misto che mostrasse in che cosa due gesti, il gesto di un amante e il gesto di un esquimese potrebbero assomigliarsi. Sarebbero dei documenti a partire dai quali si potrebbe immaginare una fiction che assumesse come base reale e scientifica questi documenti (J-L. Godard).

Questi due frammenti testuali, due estratti, in forma di citazione formano per così dire la scena della proto-Histoire(sdu cinéma (1988-1998). Il testo è stato pubblicato nel 1982, lo stesso anno di Passion. Tuttavia, la scena ha luogo nelle conferenze di Montreal del 1978. Essa prevede le proiezioni di estratti di film diversi, scelti da Godard, e illuminati da un’introduzione, accostati tra loro, confrontati ad un film, appunto di Godard: letti come premessa, riletti come archeologia, proiettati nel futuro dei possibili che un’immagine inesausta può produrre. La scena rimanda alla materialità di rulli, alla localizzazione di corpi e parole. Rimanda alla table de montage de l’histoire(s) allora a venire, oggi presenza cardinale, nella scena delle immagini di quanto è stato cinema, del come delle immagini in movimento rilette nell’alveo delle arti visive e culmine problematico  di queste, nel rimodellamento del movimento come presa e cifra del mondo. Rimanda, infine, e soprattutto, ad un contrappunto di gesti e alla definizione e riproposizione del gesto come potenza e come evidenza: il gesto ritratto, il gesto del montaggio, qui inteso in senso lato, il gesto come orizzonte di corpi e fatti, il gesto come documento e finzione, come immagine azione, per un verso, come immagine contrazione, il regime dell’attesa la cui curva-tempo si fa ansa e ansia della narrazione, del récit come delle sua ineventualità in quanto forma spaziale e temporale di un atto.

In Une veritable histoire du cinéma, testo di Godard trascritto a partire da quel ciclo di lezioni conferenza tenute a Montréal nel 1978, Nanuk risuscita in Godard un curioso refrain culturale: l’analisi del movimento, il film come pratica possibile di una narrazione del movimento. Felix Régnault commentando Nanuk l’esquimese (Flaherty, 1922), ne aveva apprezzato la fedeltà cinematografica della riproduzione dei passi, la cadenza del camminare sul ghiaccio: era il movimento come marker culturale della razza, segno, evidence filmabile e analizzabile. Ma anche l’ipotesi di un realismo elementare ed essenzialista al tempo stesso, di una lettura dell’azione filmica ancora nella cifra dell’«analogon».

Il movimento figurato di Godard, invece, diversamente, manifestava la volontà opposta: filmare il gesto per ritrovare l’universale, ripensare il gesto del movimento per richiamare l’immagine alla sua condizione di leggibilità, nei fuochi molteplici dello sguardo. Gesti e segni da comparare, la possibilità del film come documento, la sinossi. Se la fotografia è, secondo una felice espressione di James Clifford, «the present becoming the past», il film sembra ingaggiare, nella rappresentazione del movimento, nella diacronia formale e strutturale tra movimento in tempo reale e tempo della narrazione, una sfida all’avvenire – avvenire dell’azione filmata, avvenire del gesto, avvenire narrativo di un tempo situato, sia set o field, che accade nel tempo.

Nell’esperienza della visione del film, infatti, si gioca una partita tra pre-visione dello spettatore, lusinga dell’anticipazione percettiva, e montaggio soggettivo delle immagini trascorse; doppio vincolo della costruzione del senso: vedo il gesto nel suo compiersi anche quando il gesto si sospende, rivedo quel gesto tra altri, mentre ulteriori movimenti, posture, azioni accadono narrativamente e temporalmente dinanzi ai miei occhi, nella ripetizione come definizione e misura, come arresto, prova alla ricerca della forma come idea, come accadeva con il corpo di Jagger in One Plus One (1968). Vedere  quindi come esperienza temporale, oltre che spaziale. Vedere appunto la finzione documentaria di un gesto, la sua partecipazione volontaria alla ripresa, vedere lo scarto, la flagranza dell’inatteso, dell’imprevisto: ecco la fiction come momento diverso della realtà, come sublimazione e momento in senso fisico, nell’accezione della fisica classica, quasi. La finzione come sceneggiatura in atto di chi vede, di chi è dinanzi allo schermo.

Vedere il mondo comunque: vedere una sceneggiatura

1983: Scénario de passion, prodotto dalla televisione svizzera, è realizzato da Godard subito dopo Passion. Al lavoro dinanzi allo schermo Godard mette in scena l’idea di sceneggiatura. Il percorso del possibile, il movimento dello schermo bianco farsi immagine e suono, superficie dove il riflesso e l’ombra del corpo del regista abita e agita il popolo delle immagini azioni possibili del film. Le incarnazioni dei suoni, dei corpi attori, dei gesti, delle superfici mobili del film – immagini editate e inedite – convocate  come immagini del possibile mettono in azione il film stesso come processo. La fabbrica dei gesti del lavoro e la fabbrica dei gesti dell’amore diventano risonanza: si incarnano nell’apparenza di un tableau vivant di Ingres, si incarnavano nel diegetico degli amori e dei tradimenti di Hanna e Jerzy, come di Michel e Isabelle, in Passion. Si facevano quadro di senso e inquadratura, memoria del quadro come pittura, necessità del quadro come luogo di formazione dell’immagine e di racconto multiplo di suono e senso, vista e intensità, azione attesa e azione compresa nello spazio dello schermo.

La pedagogia dell’immagine godardiana come ricordava Deleuze in L’immagine-movimento, ancora nel 1983, fa sì che tale funzione, quella del quadro, si espliciti e ne divenga superficie opaca, satura di informazioni, o semplicemente ridotta all’insieme vuoto, alla schermo bianco mallarmeano che Scénario de passion evoca ed esplicita nelle parole gesto di Godard. Gesto iconico ed esplosivo, alla consolle, dinanzi allo schermo, tra suono e immagine, anticipazione del gesto archeologico de le histoire(s), del corpo Godard fatto gesto e laicamente incarnato alla moviola. «Et incarnatus est».

Jean-Luc Godard, Parigi, 3 dicembre 1930 – Rolle, 13 settembre 2022.

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