Secondo una leggenda, le montagne dell’estremo nord ovest dell’Iran, al confine con la Turchia, sono popolate da orsi. Risulta dunque pericoloso avventurarsi lungo quei sentieri. Tuttavia, l’anziano signore che allerta Jafar Panahi, poco dopo gli confida che in realtà gli orsi non esistono, non ci sono su quelle montagne e addentrarsi è sicuro. Eppure, nonostante la mancanza di animali famelici, il confine risulta luogo ostile, battuto e controllato da un nemico invisibile. Nel suo ultimo film, presentato in concorso alla Mostra del cinema, Jafar Panahi mostra un paese fatto di spazi e orizzonti solo apparentemente sconfinati, in cui i personaggi sono intrappolati dalle maglie del regime e da un sistema di valori e regole che, mascherato da tradizione, cela all’interno dei meccanismi di potere un’esponenziale indole alla violenza e alla sopraffazione.
Gli orsi non esistono si apre con un piano sequenza: la macchina da presa, attraverso una panoramica, segue una donna, Zara, uscire da un bar in cui lavora e incontrarsi con un uomo, Bakhtiyar. Quello che scopriremo essere il suo compagno le dà un passaporto falsificato, necessario per scappare dal paese e andare a Parigi. L’uomo però non è riuscito a far preparare in tempo il proprio documento, quindi Zara dovrà andare da sola. Ne segue una breve discussione, la donna rientra nel locale. “Taglia”, sentiamo fuori campo. Uno zoom all’indietro rivela uno schermo del computer, attraverso il quale lo spettatore stava vedendo la scena. Viene mostrato Panahi, davanti allo schermo, che parla in videochiamata con il proprio assistente, dandogli indicazioni sulle direttive da dare agli attori. Il regista, infatti, non è a Teheran con la propria troupe a girare il film, dal momento che il governo gli ha proibito di realizzare film e di lasciare il paese per i prossimi vent’anni. Panahi si trova in un villaggio di confine e segue la lavorazione a distanza. Parallelamente, alla storia di “fiction” che il regista sta realizzando, nel villaggio in cui è ospitato si consuma una storia d’amore “proibita” tra due giovani ragazzi, che vorrebbero scappare oltre il confine lasciandosi alle spalle le restrizioni imposte dalle proprie famiglie e da tradizioni centenarie che limitano la libertà di scelta dell’individuo.
Panahi torna sulle montagne dove ha girato Tre volti (2018), film che partiva da una sorta di inchiesta condotta per scoprire il grado di verità e di manipolazione dell’immagine, un filmato in cui una ragazza inscena un suicidio come grido di aiuto, per riflettere ancora una volta sul labile confine che separa il grado di messa in scena della realtà e il grado di verosimiglianza della finzione. L’immagine fotografica che ritrae assieme i due giovani fidanzati, che forse Panahi ha scattato inconsapevole della gravità della situazione, può essere una prova incontrovertibile del loro amore e quindi della loro colpa? In mancanza di quella possono entrambi definirsi assolti? Se da una parte c’è un regime di finzione, dietro un grande spirito di cordialità e di ospitalità si cela una crescente diffidenza pronta a sfociare in intimidazione, dall’altra, la storia di “fiction” che vede i due innamorati in fuga per l’Europa vorrebbe essere un documentario sulla situazione dei due giovani, Zara e Bakhtiyar, “realmente” intenzionati a fuggire dall’Iran.
“Tu non sai filmare la realtà”, urla Zara direttamente in camera, rivolgendosi quindi esplicitamente a Panahi, accusandolo di voler cercare un lieto fine. La narrazione prevede infatti che i due riescano ad ottenere i passaporti e a fuggire insieme. Nella realtà o finzione in cui sono immerse le due storie, l’unica cosa certa rimane la mancanza di un lieto fine. La costruzione del film rispecchia lo stato di “cattività” a cui il regista è costretto: gli è impossibile abbandonare il paese, nei limiti della realtà e nelle aperture consentite dalla fantasia, costretto a bloccarsi sempre sulla soglia.
Gli orsi non esistono. Regia: Jafar Panahi; sceneggiatura: Jafar Panahi; interpreti: Jafar Panahi, Naser Hashemi, Vahid Mobaseri, Bakhtiar Panjeei, Mina Kavani, Reza Heydari; produzione: JP Production (Jafar Panahi); origine: Iran; durata: 107′; anno: 2022.