Dettagli e ossessioni di un grande racconto universale

di SARA MARTIN

Game of Thrones, l’ottava stagione. 

GOT 8

Winterfell, 8 x 1.

L’attesa è finita. Dopo un anno e mezzo Game of Thrones, la storia di tutte le storie, è tornato con gli ultimi, definitivi, sei episodi. Uno show televisivo unico, probabilmente irripetibile, che scardina ogni nuova e vecchia regola di fruizione. In un’epoca di binge watching, di possibilità pressoché infinite di visione (scelgo quando, quanto e dove voglio guardare), la serie targata HBO ci impone – lei e solo lei – di puntare la sveglia nel cuore della notte per guardare un episodio sincronizzati con il resto del mondo. È uno spettacolo collettivo; vuole essere visto qui e ora. Game of Thrones è una serie imponente per più ragioni, una delle più importanti è la “moltiplicazione dell’abbondanza”. Come ha osservato Luca Barra sulla rivista online “Il Mulino”, «tutto, in Game of Thrones, è (anche) troppo. Eccessivo nella forma, certo, ma soprattutto nella quantità, così da stimolare l’interesse di ogni tipo di spettatore, e a ciascuno lasciare qualche cosa». Moltissimi i personaggi e i percorsi narrativi, con continui e ripetuti colpi di scena e ribaltamenti, moltissimi gli spazi, gli attraversamenti, gli spostamenti. E moltissime le possibili linee interpretative: quella del rapporto con la letteratura o con i generi, la chiave della storia delle religioni o delle tecniche militari, oppure quella della storia sociale ed economica, o ancora l’indagine delle strategie di marketing o delle dinamiche del fandom generato dalla serie. L’abbondanza di questa serie ci impone di compiere delle scelte, guidati da mappe reali o concettuali.

Le mappe di Game of Thrones sono innanzitutto quelle dei titoli di testa che rimandano a più ampi processi di world-building, orientamento e appropriazione “dal basso”, tipici delle narrazioni seriali contemporanee: la sequenza di apertura di ogni episodio, come hanno scritto Marta Boni e Valentina Re nel volume Game of Thrones. Una mappa per immaginare mondi, «si articola seguendo fiumi e strade, sorvolando città, rasentando monumenti, montagne e alberi. Ogni elemento cresce in tre dimensioni, componendo quello che assomiglia a un modellino […], un paesaggio di automi artigianalmente costruiti con i materiali che caratterizzano il mondo della serie: metallo, legno, pietra, rame e cuoio…». I titoli di testa di “Winterfell” (primo episodio dell’ottava stagione) posizionano nuovamente lo spettatore nello spazio e nel tempo in cui deve essere, gli consentono di entrare nel racconto con gli strumenti necessari per non smarrirsi. Nelle passate stagioni l’esplorazione della mappa di Westeros partiva sempre da Approdo del Re, la capitale dei sette regni, il luogo di detenzione del potere; ora la lotta per il trono non è più una priorità, ora è la lotta contro gli “Estranei” la priorità. Il modello tridimensionale ci mostra il Nord reso vulnerabile dalla Barriera distrutta dal Re della Notte. Ci si coalizza per sopravvivere e per contenere l’avanzata del diverso, dell’altro, dell’estraneo.

Le mappe sono disegnate su papiri, sono costruite su modellini tridimensionali, sono intarsiate nei marmi dei pavimenti di sontuosi palazzi e sono anche cucite negli abiti dei personaggi della saga. Come si diceva poc’anzi, l’eccesso di Game of Thrones chiede allo spettatore di compiere delle scelte. L’osservazione dell’involucro che riveste i corpi dei tanti personaggi è una delle tante possibili. Osservare e capire i costumi della serie non è solo uno studio dello stile visivo: gli abiti sono anche narrazione, incidono nella determinazione dei personaggi e della storia, nella resa dei sentimenti e delle emozioni che in essi circolano. Come scrive lo storico dell’arte Carlo Arturo Quintavalle, «la progettazione del design del corpo, cioè dell’abito, è anche progettazione della scena, dei comportamenti, è progettazione delle maschere, dei costumi, dei travestimenti che i singoli vogliono assumere entro un contesto mutevole e i cui mutamenti peraltro essi stessi vogliono contribuire a modellare».

L’ossessione per il dettaglio è esasperata nell’universo di Game of Thrones. Se consideriamo, solo per fare un esempio, che per sviluppare la lingua Dothraki, la produzione HBO ha ingaggiato David J. Pearson, “un creatore di lingue professionale”, comprendiamo anche con chiarezza l’investimento produttivo nel settore dedicato alla scenografia e al costume della serie. Gli abiti realizzati per i numerosi personaggi della saga, in particolar modo quelli femminili, raccontano storie, alludono a possibili sviluppi futuri nascosti fra le pieghe dei drappeggi, nei ricami, nei monili. In Game of Thrones coerenza e realismo sono necessari per fidelizzare lo spettatore e passano attraverso la cura del particolare. Dopo aver trangugiato 68 episodi (e a 5 dalla fine) abbiamo scoperto, per esempio, che i costumi di Daenerys Targaryen, con l’avanzare della storia, si sono ricoperti di pieghe sempre più piccole a mimare le scaglie dei draghi. Comprendiamo che la pelliccia bianca che indossa quando arriva al Nord con Jon Snow non solo è funzionale alla solennità che chiede il momento del racconto, ma è cucita e lavorata con intenzionale richiamo alla pelle striata delle due bestie fantastiche di cui è madre premurosa e affettuosa.

Facciamo un altro esempio: Sansa Stark, uno dei personaggi che maggiormente cambia e cresce nel corso delle serie, durante la prima stagione è una giovane principessa che si diletta nel ricamo e nel cucito. Indossa abiti color pastello creati da lei stessa. Quando viene strappata alla sua famiglia e vive da prigioniera ad Approdo del Re, si sforza di adeguarsi alla moda della capitale imitando Cersei Lannister, sua futura suocera. Un eloquente esempio di narrazione di questo personaggio attraverso il ricamo è la bordatura sul vestito del suo matrimonio con Tyrion Lannister nella terza stagione. L’abito ripercorre simbolicamente il percorso della ragazza, che mostra gli emblemi della sua famiglia e quelli del suo nuovo marito. Si può vedere l’influenza di sua madre, Catelyn Stark, nei pesci simbolo della Casa di Tully che nuotano intorno al suo corpo, poi il ricamo del meta-lupo Stark e, infine, il leone Lannister ricamato nella nuca. Altre decorazioni rappresentanti melograni rossi richiamano il colore distintivo della casata Lannister. Durante la lunga fuga assieme a Ditocorto da Approdo del Re, Sansa indossa un abito viola con fantasie floreali, un riflesso – forse – delle “nozza viola” (la scena della morte per avvelenamento di Joffrey in cui il colore indimenticabile del suo volto, ripreso in primissimo piano, è diventato viola-blu a causa del veleno ingurgitato). Tornata al Nord, Sansa riprende le tradizioni della sua terra. Si protegge dal freddo con una pelliccia regale ed elimina ogni elemento decorativo, abbracciando la severa austerità che contraddistingueva la madre. È la Regina del Nord.

Attraverso l’osservazione accurata del look di questi personaggi lo spettatore ha capito che la costruzione dell’universo di Game of Thrones passa soprattutto attraverso i dettagli. Monili e vesti hanno il ruolo di “organizzare le funzioni dei personaggi”. Questo show televisivo senza precedenti rielabora il concetto stesso di costume di scena, così come lo conosciamo; le vesti cessano di essere dei manufatti sartoriali per avvicinarsi all’ideale di una mappa realizzata addosso al personaggio utilizzando una palette di materiali, colori e forme eterogenee. Di questi materiali i tessuti rappresentano solo una parte. Vengono usate le fibre vegetali, le conchiglie, il legno, elementi modulari metallici, anelli, borchie, lamine, pietre preziose garze e reti. Il tessuto porta i segni di una visione arcaica e magica del mondo, dichiara la sua natura di manufatto, molto distante dalla moderna industria tessile. Siamo più vicini a un artigianato che si imparenta con l’arte che non ai processi di sartoria comunemente in uso nel cinema e nella televisione.

Perché, fra le tante cose che possono essere dette su Game of Thrones abbiamo aperto questa parentesi su un elemento – il costume – apparentemente marginale rispetto alla complessità della serie tv? Perché siamo davanti a un grande racconto, a una storia arcaica, fantastica e al contempo attuale. Perché come tutti i grandi racconti per essere afferrato ha bisogno di essere scomposto e osservato non solo nel suo insieme ma anche (e soprattutto) nei suoi dettagli. Perché, oggi, Game of Thrones è l’unico show, come i grandi avvenimenti raccontati dai media del nostro tempo, ha il potere di costringere milioni di persone a dimenticarsi di tutto, pur di entrare nella stessa ora e nello stesso giorno dentro alle trame di un racconto universale, anche se poi il primo episodio si è rivelato non entusiasmante, ma sette giorni dopo ne arriva un altro e si ricomincia da capo, non potendo far a meno di essere i primi a guardarlo e già nostalgici pensando alla fine.

Riferimenti bibliografici
L. Barra, Sotto la superficie del Trono di Spade, in “Il Mulino”, 27 giugno 2016.
S. Martin, V. Re, a cura di, Game of Thrones. Una mappa per immaginare mondi, Mimesis, Milano 2017.
C.A. Quintavalle, Trascrizioni e scene della moda, in D. Liscia Bemporad, a cura di, Il costume nell’età del rinascimento, EDIFIR, Firenze 1988.
Sito ufficiale di Michele Carragher, responsabile dei ricami degli abiti di Game of Thrones. 

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