L’inconscio è esagerato. Non lo contieni, non c’è modo di addomesticarlo. Ma questo vuol dire che l’inconscio è originario. Il problema nasce dal fatto che cerchiamo di capire l’inconscio a partire dal conscio, di cui rappresenterebbe appunto la parte non cosciente. La grande scoperta di Freud, una scoperta sempre rimossa perché inaccettabile per la presunzione dell’io, è invece che all’inizio non c’è il soggetto umano, al contrario, all’inizio c’è l’inconscio, di cui l’Io non è che una debole e sempre sul punto di soccombere manifestazione locale: in questo ribaltamento radicale rispetto alla tradizione metafisica consiste «la rivoluzione copernicana di Freud, che intende spiegare l’identico [cioè appunto il soggetto in quanto identità di sé a sé] mediante l’opposto e non viceversa, come fa la metafisica, l’opposto con l’identico: […] La differenza, l’eccesso non è un attributo dell’identità, ma la qualifica dell’opposto» (Perniola 2023, p. 21), cioè appunto dell’inconscio in quanto permanente e ineliminabile «opposto» della soggettività cosciente.

È questo l’insuperabile «conflitto eccessivo» che disarticola definitivamente l’orgoglio del soggetto. Va ribadito che, come mette bene in luce Perniola, si tratta di un conflitto che non conoscerà mai soluzione. L’inconscio non vuole prendere il posto del conscio, piuttosto la soggettività umana è questo stesso conflitto eccessivo. In questo senso Freud non propone affatto una visione in cui l’inconscio scalza via la coscienza, piuttosto scopre che la soggettività umana non è altro che questo stesso conflitto eccessivo, esagerato:

L’opposto si rivela così incoercibile. La ripulsa che la coscienza compie nei suoi confronti non fa che accrescere l’impotenza di questa: cacciato dallo spazio della presenza coscienziale, esso diventa fisicamente operante. Per la prima volta nella filosofia occidentale l’opposto prevale sull’identico senza prenderne il posto (come nella dialettica hegeliana del servo e del signore), senza snaturarsi in una forza metastorica (come nel concetto nietzschiano di vita), ma anzi potenziando il suo carattere radicalmente differente. […] esiste almeno un caso in cui l’opposto, restando tale, vince sull’identico (ivi, p. 25).

Per questo l’inconscio è l’«opposto», perché non è riconducibile all’identico, perché rappresenta una potenza che il soggetto non potrà mai addomesticare. Una potenza che, e non poteva essere diversamente, appare del tutto evidente nell’ingovernabile campo della sessualità: «È chiaro che il conflitto eccessivo individuato da Freud intercorre tra la pulsione sessuale e l’Io che si difende da essa» (ivi, p. 35). È allora tutto in questo eccessivo che risiede il senso del libro di Perniola: quello fra coscienza, e quindi il soggetto, e l’inconscio è un conflitto eccessivo, che non si può mai risolvere. Non c’è pace in vista per questo conflitto. Ora è evidente che una visione del genere è del tutto inaccettabile per la visione che la modernità occidentale che, almeno da Cartesio in poi, pensa di sé d’essere una potenza sovrana che da un lato controlla sé stessa attraverso il controllo del corpo, dall’altro controlla la natura come oggetto a disposizione della decisione del soggetto. Contro questa immagine, oggi più forte che mai (l’homo œconomicus del capitalismo globale è la sua realizzazione più aggiornata), Freud propone una immagine completamente diversa: il conflitto di sé con sé – l’identità è intrinsecamente fratturata (la «faglia beante» di cui parlerà il più freudiano degli psicoanalisti, Jacques Lacan) – non è un caso eccezionale, al contrario, la soggettività umana è costantemente attraversata da un conflitto eccessivo, di fatto coincide con questo stesso conflitto.

Questo significa, sul piano terapeutico, che la psicoanalisi in quanto tentativo di cura – la talking cure secondo l’azzecata formula di Bertha Pappenheim (quella del celeberrimo caso di Anna O.) – non mira a risolvere il conflitto, che in quanto eccessivo non può mai essere risolto. La psicoanalisi non mira al raggiungimento dell’equilibrio, quanto piuttosto a renderlo abitabile e produttivo (questo Perniola è molto vicino alle tesi di Deleuze e Guattari esposte nell’AntiEdipo). Il conflitto è eccessivo, appunto, cioè irrisolvibile. In questo senso Perniola spiega bene come il concetto di catarsi, inizialmente usato da Breuer e Freud per figurarsi la soluzione del conflitto psichico, sia in realtà del tutto inadeguato per dare conto di quello stesso conflitto. Così, se all’inizio:

Breuer e Freud riproducono […] la teoria della catarsi, della purificazione dall’opposto che fin da Aristotele aveva avuto il compito di ricuperare l’alterità e la differenza nello spazio omogeneo dell’identità e della presenza: la messa in scena terapeutica del trauma e la sua espressione verbale ricalcano fedelmente la teoria aristotelica della tragedia come imitazione di un’azione che purifica l’anima dalle passioni. […] Il metodo catartico è appunto la prosecuzione del progetto fondamentale dell’estetica: il tentativo di abolire l’esperienza dell’opposizione, concedendole un’espressione parziale e fortemente riduttiva che la concilia completamente con l’identità. Tale pretesa tuttavia è illusoria: da un lato tutta l’esperienza artistica moderna rivela l’irriducibilità di un eccesso non suscettibile di contemplazione disinteressata, dall’altro la stessa esperienza clinica costringe presto Freud ad abbandonare il metodo catartico per la sua inefficienza. L’opposto, tanto sotto l’aspetto artistico quanto sotto l’aspetto patologico, infrange irrimediabilmente tutti i tentativi compiuti dalla metafisica per renderlo “ammissibile a corte” (ivi, pp. 29-30).

L’opposto non è assimilabile, rimane opposto (non è altro che l’opposizione), non potrà mai imparare le buone maniere e stare seduto composto a tavola. È evidente quanto questa visione dell’umano possa essere disturbante, e per questo la psicoanalisi è sempre sotto attacco, perché rappresenta un modo di intendere l’umano completamente contrario a quello che invece privilegia la performance, il controllo di sé, la ricerca dell’equilibrio. In questo modo «all’identità viene così sottratta la qualifica teologica di primo termine, principio e fondamento. L’opposizione eccessiva non è un esito particolare che sorge in seguito al funzionamento anomalo delle capacità reattive dinanzi al trauma, ma il punto di partenza, il trauma stesso» (ivi, p. 31). Ecco il punto, che rovescia completamente il modo consueto, e accomodante, di raccontare il trauma. Non è che si dà il caso di un incontro doloroso e questo, a sua volta, causa un trauma, come se il trauma fosse soltanto un caso sfortunato; al contrario, la soggettività umana – in quanto abitata da un «conflitto eccessivo» – è il trauma stesso. Secondo la visione banale e accomodante della psicoanalisi la cura analitica consiste nel ricordare il trauma in modo da poterlo prima elaborare e poi infine superare; secondo la visione di Freud, invece, la soggettività è il trauma stesso. In questo senso il trauma è insuperabile: di conseguenza «l’intero ambito dell’esperienza è perciò il luogo di una lotta che non conosce soste o armistizi, ma soltanto compromessi provvisori» (ivi, p. 69).

È proprio questo tema del compromesso provvisorio quello decisivo da un punto di vista etico e politico, perché quel poco che del soggetto rimane di “autonomo” – cioè il suo spazio d’azione “libero” – si concentra in questo «spazio intermedio» inteso appunto come appunto «formazione di compromesso» (ivi, p. 16). L’azione possibile, infatti, non è né quella assolutamente spontanea e libera del soggetto identico a sé, il cogito cartesiano ad esempio, ma neanche quella priva di ogni autonomia mossa solo dall’inconscio in quanto opposto. L’umano non è né nel medesimo (dove vale il vuoto principio di identità A = A), ma nemmeno nella pura differenza che dissolve ogni sostanza (è evidente, seppure del tutto rielaborato, l’eco della Scienza della logica in queste pagine). Si tratta allora di figurarsi un’azione che da un lato sia cosciente del fatto che non è sovrana, dal momento che è sempre limitata dal «conflitto eccessivo» con le pulsioni inconsce, ma che, dall’altro, sappia imparare a usare queste stesse pulsioni per immaginare mondi diversi da quelli consolidati, quei mondi a cui il dispositivo sociale cerca sempre di ricondurre (invano) l’ingovernabile potenza dell’inconscio.

Per Perniola è l’arguzia, che assume la forma del motto di spirito, dove questo incontro intrinsecamente conflittuale può infine realizzarsi. Nell’arguzia, infatti, parla l’inconscio, ma – diversamente da quanto succede nell’incomprensibile e individuale sogno  – in un modo intersoggettivo: «Il processo psichico dell’arguzia si compie soltanto quando il motto è compreso da una terza persona: essa è [come dice Freud] “la più sociale di tutte le funzioni psichiche che mirano al profitto del piacere”. La società onirica isola gli individui anche quando fa sognare loro lo stesso sogno, perché […] “il sogno è un prodotto psichico assolutamente asociale”; l’arguzia invece garantisce una socialità indiretta che si costituisce sul rifiuto di un condizionamento psichico comune» (ivi, p. 99). In effetti il sogno, per Perniola, è una forma di compromesso che, diversamente dall’arguzia, finisce per neutralizzare l’inconscio opposto: «Il sogno nasce dunque da un compromesso tra questi due desideri: il sistema preconscio-cosciente permette l’appagamento del desiderio rimosso e nel frattempo soddisfa il proprio desiderio di sonno» (ivi, p. 62). Si sogna, in sostanza, per continuare a dormire, ossia per continuare a relegare l’inconscio nell’ambito innocuo del sonno. La posta in gioco dell’inconscio, invece, è nel portare il «conflitto eccessivo» alla luce del sole. Si tratta di sognare quando si è svegli, non quando il sogno serve solo a disturbare il sonno.

È solo nell’arguzia che la politica, in quanto immaginazione sociale del possibile, si permette di rappresentare il nuovo; quel nuovo che è il principale prodotto del meccanismo opposto dell’inconscio. Un nuovo che è allo stesso tempo politico, ma anche ed inestricabilmente etico (che cos’è la libertà se non l’esperienza del nuovo rispetto alle condizioni date?) ed estetico, dal momento che prende la forma di un gesto in sé compiuto, a suo modo perfetto. In questo senso è libera solo una società che non solo non teme il «conflitto eccessivo», ma anche anzi gli lascia libero corso affinché possa sempre di nuovo immaginare nuove forme di vita.

L’arguzia […] adopera i meccanismi di compromesso soltanto per quel minimo indispensabile che consente la liberazione dell’energia investita nella rimozione dell’opposto, scopre un significato segreto che sovverte l’affinità apparente che presuppone, adempie la sua funzione proprio facendo risaltare l’eccessività del conflitto che ha finto di mediare. Essa è in fondo la risposta più adeguata dell’opposizione all’oppressione esercitata dall’identità nelle società oniriche e tendenziose, perché si avvale dei suoi stessi mezzi per scopi contrari. Opportunamente generalizzata ed estesa anche ad altri tipi di segni non linguistici, può diventare uno strumento rivoluzionario fondamentale (ivi, p. 99).

Mario Perniola, Freud, l’inconscio come opposto (1892-1905), Mimesis, Milano 2023.

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