La figura del mostro, che incarna un’alterità capace di oltrepassare i limiti di ciò che è considerato naturale all’interno di una società, è senz’altro al centro del cinema di Guillermo Del Toro. Scegliendo di volta in volta di adottare la prospettiva della creatura mostruosa, invece di quella delle sue controparti umane, il cineasta messicano ci invita a empatizzare con personaggi emarginati, la cui sola presenza è in grado di mettere in discussione i valori dominanti del mondo. Il mito fondativo di questo processo di umanizzazione del mostro, nato in risposta alla disumanizzazione della società moderna, è certamente il Frankenstein di Mary Shelley: l’approdo di Del Toro all’adattamento cinematografico dell’opera – presentato in concorso all’82° edizione della Mostra del Cinema di Venezia – si inserisce dunque in maniera del tutto coerente nella poetica del regista.
Questo adattamento è stato da sempre un’ossessione per Del Toro – come il Don Chisciotte per Gilliam – al punto che le sue opere possono essere lette come continue reinterpretazioni del mito, ora finalmente affrontato in maniera diretta. Il regista ha a lungo desiderato di entrare nel mondo di Frankenstein, e durante la visione del film si ha la sensazione che voglia rimanervi, complice anche l’eccessiva durata dell’opera (nel 2020 aveva infatti dichiarato che il progetto avrebbe previsto più film). Ma andiamo con ordine.
Dal romanzo di Mary Shelley, Del Toro riprende la struttura narrativa, proponendo un racconto a scatole cinesi con tre livelli di narratori – il Preludio, la storia di Victor Frankenstein e quella del mostro. Allo stesso tempo, si ispira all’interpretazione della creatura data da Christopher Lee nei film britannici della Hammer (1957-1974), dove il mostro appare più vivo e simile all’umano, discostandosi così dalla versione di James Whale (1931), che ha generato lo stereotipo predominante nelle rappresentazioni successive. In questo modo, Del Toro ci presenta il suo personale «complesso di Frankenstein» (Cutchins, Perry 2018): l’esperienza che ognuno ha dei numerosi adattamenti dell’intreccio di Frankenstein, resi possibili dalla sopravvivenza del mostro nella cultura popolare.
Focalizzandosi sulla creatura – la cui vicenda occupa la seconda parte del film – e modificando i dettagli della backstory del personaggio di Frankenstein, Del Toro realizza un «movimento di avvicinamento» (Sanders 2006) del romanzo al nostro presente. Così, in questa nuova versione, Frankenstein, interpretato da Oscar Isaac, non è spinto unicamente dall’ambizione di sfidare la morte, ma diventa anche il padre tiranno del mostro, specchio del genitore che lui stesso ha avuto. Altri dettagli derivano da accenni simbolici già presenti nel romanzo originale, qui ripresi ma non realmente approfonditi. È il caso della scelta di affidare a Mia Goth sia il ruolo della madre di Frankenstein sia quello della sua amata Elizabeth, soluzione che sembra riecheggiare uno degli incubi raccontati nel libro da Frankenstein:
Dormii, sì, ma fui turbato dagli incubi più mostruosi. Vedevo Elizabeth, piena di vita, camminare nelle strade di Ingolstadt. Sorpreso e felice, l’abbracciavo; ma mentre posavo un primo bacio sulle sue labbra, queste si facevano livide, del colore della morte, i lineamenti cambiavano e mi trovavo a tenere tra le braccia il cadavere di mia madre; un sudario le copriva il corpo e vedevo i vermi strisciare nelle pieghe del tessuto.
Il mostro, invece, non è più una creatura dalla forza sublime, animata da una violenza irrazionale, ma il portatore di una purezza di spirito superiore a quella umana. Per condurre la storia dalla parte del mostro, Del Toro lo trasforma in una figura d’innocenza assoluta, mentre il dottore, in quanto il suo antagonista, è ridotto a incarnazione della sola malvagità. Ne consegue un appiattimento non solo sul piano della scrittura, ma anche su quello della performance: la recitazione monocorde di Isaac e la corporeità asettica di Jacob Elordi ne sono esempio.
Senza dubbio, il successo riscosso dal film alla sua presentazione dimostra che Del Toro continua ad essere un grande interprete dei desideri della contemporaneità: cattivi facilmente identificabili, vittime libere da colpe, la necessità di perdono. Resta però il dubbio se questa ultima versione della creatura, nella sua perfezione senza ombre, possa ancora dirci qualcosa sulla nostra, invece, mostruosa umanità.
Riferimenti bibliografici
J. Sanders, Adaptation and Appropriation. The New Critical Idiom, Routledge, New York 2006.
M. Shelley, Frankenstein, ossia Il moderno Prometeo, Mondadori, Milano 2016.
D.R. Cutchins, D.R. Perry, Adapting Frankenstein. The monster’s eternal lives in popular culture, Manchester University Press, Manchester 2018.
Frankenstein. Soggetto: dal romanzo Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Shelley; regia: Guillermo del Toro; sceneggiatura: Guillermo del Toro; fotografia: Dan Laustsen; interpreti: Oscar Isaac, Jacob Elordi, Mia Goth, Christoph Waltz, Felix Kammerer, Lars Mikkelsen, David Bradley, Charles Dance; produzione: Double Dare You!; distribuzione: Netflix; origine: Stati Uniti d’America; anno: 2025.