Di fronte al fenomeno della guerra lottai contro la guerra, parlai, scrissi contro la guerra,
propagandai tra gli operai il sentimento di avversione alla guerra europea.
Quando molti di coloro che seggono su questi banchi erano per la guerra a favore dell’Austria,
a favore della Germania cogli Imperi centrali,
quando taluno che siede al banco del Governo – l’onorevole Labriola – tuonava
perché l’Italia scendesse immediatamente in campo a favore degli Imperi centrali,
e facesse un boccone della Savoia e di Nizza, io modestamente,
assai più modestamente dell’onorevole Labriola,
ma con maggiore coerenza, rimasi al mio posto e dissi: No!

Francesco Misiano, Il disertore.

Tutto comincia – e non smette di cominciare, oggi come allora – con quel “No!”, un no definitivo alla guerra. Nel caso di Misiano si tratta di un “No!” alla partecipazione italiana alla Prima guerra mondiale, una guerra che causò la morte di circa 650.000 mila giovani italiani e provocò mezzo milione di mutilati, oltre a centinaia di migliaia di morti fra i civili. Francesco Misiano (Ardore, Reggio Calabria, 1884 – Mosca 1936) pronunciò quel “No!” davanti alla Camera dei deputati il 12 luglio 1920 durante la discussione sulla richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui avanzata dal procuratore del Re a Bari per la sua diserzione durante la Grande Guerra.

Misiano, infatti, dopo essere stato arruolato continuò a proclamare la sua contrarietà alla guerra (per la sua opposizione lo rinchiusero anche in un manicomio; evidentemente bisogna essere pazzi per dire no alla guerra); alla fine, nel 1916, diserta e scappa in Svizzera. Nel dopoguerra, e proprio per la sua coerente e tenace opposizione alla guerra, viene eletto deputato nelle fila del Partito Socialista: «Dichiaro subito» – così esordisce Misiano – «che non mi riconosco colpevole. So di avere agito secondo la mia coscienza, in perfetta coerenza coi miei principi. Io sono internazionalista. Da quando ho avuto l’uso della ragione e la possibilità di comprendere quella che è la costituzione della nostra società non ho potuto pensare diversamente» (Misiano 2024, p. 45). Misiano è un “internazionalista”, e quindi non riconosce la realtà degli stati borghesi, come si diceva allora, che si muovono guerra gli uni contro gli altri. Una guerra che evidentemente non era negli interessi di quelli che la combatterono, e ci morirono a milioni. Per questa ragione, insiste Misiano, ed è una precisazione decisiva, che vale allora al suo tempo come al nostro, bisogna comunque sabotare la guerra:

Quando sorse la parola del partito socialista che la nostra organizzazione politica doveva battersi per impedire la guerra a favore degli imperi centrali minacciando la rivoluzione, io fui tra coloro che dissero: Non solo minacciare la rivoluzione nel caso di intervento a favore degli Imperi centrali, ma minacciarla anche in caso di intervento a favore dell’Intesa.
Quando sorse la formula, che il nostro partito espresse per bocca di Costantino Lazzari: “Non adesione alla guerra, ma non sabotaggio della guerra” a me parve che questa formula non fosse stata quella che occorreva per l’azione dei veri rivoluzionari.
Fui tra coloro che disapprovarono questa formula. Meglio il sabotaggio della guerra se la guerra è contro gli interessi del popolo; meglio incunearsi contro la guerra con atteggiamento fermo piuttosto che lasciarla passare, travolgente e massacrante le masse popolari (ivi, pp. 47-48).

La guerra – a partire dalla Prima guerra mondiale – ossia il massacro dei soldati e dei civili, non è nell’interesse di chi ci muore e rimane mutilato. Per questa ragione Misiano, con assoluta coerenza, disertò, perché andare a combattere avrebbe voluto dire accettare una guerra assolutamente contraria agli interessi di coloro che l’avrebbero combattuta. Perché Misiano è un “internazionalista”. Misiano, cioè, aveva un motivo nobilissimo per disertare. Tuttavia il gesto radicale di quell’uomo che ebbe il coraggio di dire “No!” ad un massacro senza senso, è più forte delle sue ragioni. Perché quel “No!” non vale solo per una guerra ingiusta, ma forse – è questo il pensiero che Il disertore non può non farci venire in mente – anche per una guerra giusta. Proviamo a cambiare guerra, e la potenza di quel “No!” aumenta ancora. La guerra di cui, con discrezione e imbarazzo, ci permettiamo di evocare è quella terribile che si sta combattendo proprio in queste stesse ore, e da quasi tre anni, in Ucraina. Come potremmo giudicare qualcuno che disertasse, oggi, in Ucraina?

«Non andare in un luogo dove si ha il dovere di essere presente», così il Vocabolario online Treccani definisce il verbo disertare. Il punto in questione è tutto nella natura di quel «dovere di essere presente». Di quale “dovere” stiamo parlando? Per provare a capire quale sia la posta in gioco immaginiamo di essere una donna (la componente femminile dell’esercito ucraino è di circa il 20% del totale) o un uomo ucraini richiamati a combattere al fronte contro l’aggressione russa cominciata nel febbraio 2022. Nell’aprile di quest’anno il parlamento ucraino «ha abbassato da 27 a 25 anni l’età minima per l’arruolamento». La nuova legge «obbliga inoltre i cittadini dai 18 ai 60 anni a portare con sé i documenti di registrazione militare durante il periodo di mobilitazione e a presentarli su richiesta dei dipendenti dell’ufficio di registrazione e arruolamento militare, della polizia e delle guardie di frontiera». L’ulteriore conseguenza di questo provvedimento è che ora «per i cittadini ucraini in età di leva diventa impossibile ottenere il rinnovo del passaporto anche se si trovano all’estero senza uno specifico certificato di assolvimento degli obblighi militari: aspetto che mira a colpire gli 800 mila maschi in età compresa tra 18 e 60 anni che Kiev valuta si trovino in Europa con lo status di rifugiati».

Proviamo a immaginare, di questo si parla quando si ragiona di disertare, di essere una donna o un uomo ucraini che rientra in questa fascia di età (il governo ucraino, nonostante le pressioni delle nazioni occidentali, resiste ad abbassare a 18 anni l’età per essere obbligatoriamente arruolati), e che quindi in qualunque momento può essere arruolato e mandato al fronte. Qui non è in questione, ovviamente, se la guerra ucraina sia una guerra “giusta” – in base al senso comune e al diritto internazionale è una guerra assolutamente giusta – perché l’Ucraina si sta difendendo da una terribile e non provocata aggressione russa. Qui però non ci interessa il diritto, la guerra “giusta” (perché anche la guerra più giusta non smette di essere una guerra, e quindi di essere assurda e comunque ingiusta), ci interessa la vita delle singole persone, ad esempio di una di quelle ottocentomila persone scappate all’estero per non combattere. Stiamo parlando di corpi uccisi, feriti, mutilati. Stime attendibili riportano, dall’inizio del conflitto fino al settembre 2024, le cifre di circa 80 mila morti e 400 mila feriti ucraini e un’altra, anche se meno precisa, di 200 mila morti e 400 mila feriti fra i russi.

Delle centinaia di migliaia di feriti ucraini circa un quarto è rimasto mutilato, ossia ha perso braccia o gambe, uno o entrambi gli occhi, ha subito incurabili lesioni al cervello, per non parlare dei traumi psicologici. Immaginiamo di essere un uomo ucraino mobilitabile. Immaginiamo anche di essere un sincero patriota, che non vuole in alcun modo vivere sotto la dittatura di Mosca, un uomo che ama la sua terra. Ma proviamo anche a immaginare quello a cui va incontro chi vada a combattere; proviamo ad esempio a immaginare gli effetti sul corpo umano di una esplosione di una mina antiuomo fra le gambe (circa il 30% del territorio ucraino è stato minato; si ritiene che la rimozione completa delle mine richiederà secoli per essere completata). Oppure proviamo a immaginare quello che si prova ad essere costantemente sotto la minaccia dei droni FPV (First-person view), i droni suicidi che controllano notte e giorno il terreno di battaglia, e che quando avvistano un bersaglio gli si avventano contro esplodendo insieme ad esso. È questa la terribile realtà che si prospetta per ogni donna e uomo mobilitabile. Era questo il futuro a cui sarebbe andato incontro Misiano:

Ebbene voi oggi potete dirmi che quella era una necessaria violenza; ma noi vi rimproveriamo di aver con la forza imposto la guerra a tutto il popolo italiano. Voi la imponeste, onorevole Salandra [il primo ministro che fece entrare l’Italia in guerra nel 1915], a Camera chiusa, e foste una piccola minoranza che stabiliste che migliaia di uomini, che mezzo milione di uomini andassero a lasciare la vita per questa vostra decisione. A questa vostra decisione non potevo curvarmi e mi ribellavo. Io dicevo: Perché, perché dovrei dare la mia vita solo perché voi lo decidete senza interrogarmi, voi che mi gettate in prigione per il mio pensiero, che mi perseguitate negli affetti della mia famiglia, che mi troncate ogni libertà personale? Che cosa volete? Volete il mio corpo? Prendetevelo; ma contro la mia volontà, ma facendo un atto di violenza (ivi, pp. 58-59).

Misiano aveva un nobile e bellissimo motivo per non andare a farsi ammazzare – come invece accadde a centinaia di migliaia di suoi coetanei – sul Carso: con tutta evidenza quella non era la sua guerra, e in più non credeva, come socialista, agli stati nazionali, alla sacralità dei confini e all’amore per la patria. Tuttavia il suo “No!” vale per tutte le guerre, anche quando la guerra è una giusta guerra di difesa, com’è il caso della guerra in Ucraina. Misiano era un uomo coraggioso (si batté valorosamente con gli spartachisti durante la rivoluzione tedesca del 1918-19), il suo non era il “No!” di un vigliacco. Ma era e rimane un “No!” assoluto alla guerra, alla sua insensatezza. Ecco perché ci interessa ancora il suo “No!”, e ci interessa più delle sue motivazioni. Proviamo infine a metterci nei panni di un uomo o una donna ucraini chiamati a difendere, come si diceva allora e si dice ancora, la sua patria. Qual è il suo dovere? Quello di andare a farsi ammazzare, oppure, come disse quel giorno Misiano, «il dovere di disertare» (ivi, p. 62)? Cosa faremmo, noi, se ci trovassimo nella situazione in cui si trovano oggi le donne e gli uomini ucraini? Esiste un coraggio dell’eroismo, ma esiste anche un coraggio della vigliaccheria.

Francesco Misiano, Il disertore, a cura di Luca Salza, Cronopio, Napoli 2024.

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