Nel tempo dell’economia finanziaria, del lavoro immateriale, del cloud, delle relazioni virtuali sui social, che cos’è, davvero, un corpo umano? Più propriamente, di che cosa è fatto un corpo? Di carne e sangue, risponderà un materialista intransigente, di che cos’altro deve essere fatto? È vero, sicuramente, non c’è corpo senza carne e sangue (anche se sempre più carne e sangue saranno artificiali; il futuro della nostra specie è OGM), non potrebbe essere diversamente; tuttavia forse carne e sangue non bastano a fare di un corpo animale un corpo umano, cioè un corpo capace di partecipare alle attività tipicamente umane come ad esempio andare al cinema, raccontare una storia attorno al fuoco di notte, innamorarsi, pregare, leggere un libro, giocare con una playstation, rapinare una banca e così via. Allora carne e sangue, ma anche qualcos’altro. Si tratta di un problema rilevante perché per immaginare una politica in grado di affrontare i problemi del presente occorre anche immaginare una antropologia che sia adeguata a questi tempi. E quindi, di nuovo, di che è fatto il corpo umano?

Roberto Finelli affronta questo problema (insieme a molti altri, a cui accenneremo soltanto), nel suo ultimo libro, Per un nuovo materialismo. Presupposti antropologici ed etico-politici (Rosenberg & Sellier, 2018). Si tratta di un libro ambizioso, come esplicita lo stesso titolo, che fa i conti, in particolare, con la psicoanalisi. È un merito di Finelli prendere sul serio l’immagine che la psicoanalisi restituisce della natura umana. Parlare oggi di “natura umana” così come se ne sarebbe potuto parlare prima di Freud non è solo ingenuo, ma anche semplicemente sbagliato. Finelli deve occuparsi della psicoanalisi perché l’obiettivo del suo libro è provare a «ricongiungere vita e politica» (ivi, p. 9), cioè appunto biologia (la natura umana) e cultura (la politica). Vita e politica che nel nostro tempo, invece, si allontanano sempre di più.

Per Finelli, infatti, il mondo contemporaneo è segnato da uno «svuotamento del mondo del concreto da parte di un vettore impersonale di realtà, qual è l’accumulazione di ricchezza astratta, che consegna il nostro modo di vivere sociale e la nostra esistenza personale a un elevato grado di esteriorità e di superficializzazione» (ivi, p. 13). È questa la posta in gioco: una vita umana che non sia resa del tutto incorporea e artificiale. Si tratta allora di immaginare una politica che sia capace di restituire un corpo, cioè una vita, all’esistenza umana. Ma corpo significa desideri, emozioni, affetti. Di questo si occupa appunto la psicoanalisi, la pratica del corpo inconscio, al di qua del linguaggio e della ragione.

Partiamo, per esempio, dalla ricostruzione del volto di questa donna, della specie Homo sapiens, vissuta circa 50.000 anni fa in quella che oggi è la Francia. Ci chiediamo, in particolare, che c’era dietro quell’ampia fronte? Che pensieri, che paure, che speranze si potevano trovare in quello sguardo? Per provare a rispondere a questa domanda Finelli, come abbiamo detto, ricorre alla psicoanalisi. Ma a quale psicoanalisi?Tutto questo libro è contro la psicoanalisi lacaniana. In particolare per Finelli Lacan (insieme a Heidegger) è all’origine di una immagine profondamente distorta della natura umana, che ha «infatti costretto l’antropologia del soggetto umano a sacrificare, sul versante dell’interlocuzione linguistica e simbolica con l’Altro da sé, ogni riferimento ai dati sensoriali e corporei dell’esperire, generando in tal modo una cultura congelata in un orizzonte segnico-ermeneutico autistico, disincarnato e autoreferenziale» (ivi, p. 17).

Si comprende allora perché il libro sia così interessante, in quanto cerca di “fare i conti” con la stagione – che è stata filosofica ma anche e soprattutto economica – del primato della comunicazione e del virtuale. Una stagione, in realtà, che nonostante tutto l’impegno dei tanti realismi in circolazione, non è affatto finita, ma anzi è più forte che mai. Per questa ragione la questione di cosa sia un corpo è così rilevante, perché è intorno al corpo che si stabilisce quale sarà la politica del futuro. Come infatti aveva da ultimo compreso Foucault, la politica oggigiorno si occupa soprattutto dei corpi.

Per Finelli si tratta di “fare i conti” con il linguaggio (impersonato dalla stagione filosofica del linguistic turn e della linguistica come scienza guida di tutte le scienze sociali, compresa naturalmente l’antropologia), nel senso che si tratta di affermare il primato del corpo biologico sul linguaggio e il simbolico. Freud contro Lacan, appunto, il giovane uomo ripreso in un momento di relax nella fotografia qui accanto. Più specificamente, si tratta di rimarcare che «il linguaggio non è funzione o dimensione dell’inconscio» (ivi, p. 49). L’inconscio sarebbe al di qua del linguaggio, questo è il punto che più sta a cuore a Finelli; nell’inconscio risiede il fondo non linguistico, originario, tutto corporeo dell’umano. Così il punto da rimarcare è come per Freud «la profondità, il luogo di senso, della vita degli esseri umani, non sia di natura linguistica, bensì di natura quantitativo-affettiva, intessuta di pulsioni e dinamiche non verbali. Con la conseguenza che il linguaggio non è il luogo del senso – il linguaggio non dà senso» (ivi, p. 64).

La mossa teorica di Finelli consiste quindi nello spostare la dimensione originaria del senso dal linguaggio al corpo. In generale questa mossa vorrebbe permettere di individuare nel corpo un solido fondamento per il “nuovo” materialismo che Finelli prova a delineare. All’inizio non c’è il linguaggio, all’inizio c’è il corpo. Per Finelli è questa l’acquisizione fondamentale che possiamo ricavare da Freud. Tuttavia questa mossa produce un effetto paradossale. Il linguaggio, come abbiamo appena visto, “non dà senso”, al contrario, riprende il senso del corpo. Ma allora, che cos’è, propriamente, un corpo? La risposta di Finelli consiste nel ribadire la originaria «natura simbolica dell’essere umano» (ivi, p. 33). Più in particolare, «l’essere umano è in primo luogo simbolo in sé medesimo, simbolo a sé stesso» (ibidem). Una soluzione sorprendente, perché per togliere senso al linguaggio Finelli è costretto a trasformare il corpo in una specie di linguaggio. Ma allora in che modo si può intendere questa come una forma di materialismo?

Un corpo è un corpo proprio perché non significa nulla, perché è soltanto un corpo. Se il corpo significasse qualcosa, anche a sé stesso, allora sarebbe proiettato oltre di sé (verso il suo senso, appunto), cioè non coinciderebbe con sé stesso. Un corpo del senso è un corpo della trascendenza. Ma dove c’è trascendenza non può esserci materia né materialismo. Qui torna di nuovo la questione del linguaggio, cioè la posizione rispetto alla psicoanalisi. In effetti Jaques Lacan non si è mai posto altra questione che quella del reale, cioè appunto di un corpo senza senso. Fin dal celebre Seminario sulla “Lettera rubata” del 1956, Lacan non ha fatto altro, come analista e come “filosofo”, che provare a pensare una via d’uscita dal senso e dal linguaggio.

Lacan, nonostante un persistente luogo comune, non è il teorico del “tutto è linguaggio”, al contrario, è il pensatore della via di fuga dal linguaggio. D’altronde la talking cure, la terapia analitica, può essere curativa solo a condizione di non essere un’ermeneutica, cioè appunto una terapia del senso. In effetti ogni interpretazione richiama un’altra interpretazione, in quella catena infinita che Peirce (un teorico della semiosi indispensabile per pensare il materialismo) chiama “semiosi illimitata”. Per Lacan è evidente, e detto in modo esplicito, che la “semiosi illimitata” è la malattia, non la cura. Questa può consistere solo nel suo arresto. Il reale di cui Lacan non fa che occuparsi non è altro che questo arresto.

Ma in fondo, si dirà, qual è il punto in questione, fra Freud e Lacan? Perché sarebbe così importante sapere se il linguaggio viene prima o dopo il corpo? Proviamo a discutere sulla base di due opzioni: il corpo precede il linguaggio, cioè il senso incarnato, la parola, la biologia, la politica. In questo caso una politica del concreto non può che partire da questo corpo “originario”, che per Finelli è un corpo contemporaneamente pre-linguistico benché di per sé “simbolico”, ma anche originariamente proiettato verso «l’esistenza dell’altro che è parimenti condizione primaria della riproduzione della nostra esistenza» (ivi, p. 61). Secondo l’altra opzione, invece, il corpo umano si forma a partire dall’incontro con la dimensione simbolica esterna; prima il linguaggio, poi il corpo. Questa visione vede nel linguaggio la caratteristica specifica dell’umano in quanto umano, come il dispositivo biologico-politico che produce l’umano (Agamben lo chiama appunto “macchina antropogenica”). In effetti è da osservare che insistere sulla originaria relazione con l’altro non basta a qualificare un animale come umano, dal momento che la propensione verso l’altro è presente, in grado più o meno marcato, almeno in tutti i mammiferi, ma anche in molti altri animali.

L’umano è umano non perché ha un corpo, o perché è un essere relazionale, è tale perché parla. Freud, come noto, assegna al linguaggio un ruolo fondamentale, sia in senso clinico (l’analisi dei lapsus e dei sogni è un’analisi linguistica), sia in senso antropogenico: la coscienza è coscienza linguistica, è coscienza di sé che è possibile solo perché è mediata dal linguaggio. Allo stesso tempo Freud, almeno in alcuni suoi lavori, quelli più “ottocenteschi”, separa nettamente la dimensione inconscia da quella linguistica, come se esistesse dentro l’umano un residuo della belva originaria. Invece per Lacan l’inconscio è inserito nel corpo umano dall’altro, è il residuo interno incompreso e incomprensibile della relazione esterna con l’altro. Quando Lacan dice che «l’inconscio è strutturato come un linguaggio» sta appunto dicendo che l’inconscio individuale è il resto interno della relazione con l’altro. È in questo senso che definisce l’umano malato di linguaggio, in quanto il linguaggio/inconscio insedia nell’umano la trascendenza, il desiderio, l’allontanamento dal corpo, o tutto quello che Finelli vorrebbe curare mediante un ritorno al corpo concreto.

Ecco il punto finale, quello più interessante ma anche più problematico di questo libro. Finelli usa largamente la psicoanalisi per sostenere le sue tesi; tuttavia sembra che quest’ultima abbia come obiettivo permettere di pensare un corpo armonico, che non sia né «tutto-corpo» né «tutto-mente» (ivi, p. 217). Infatti per Finelli per un verso si tratta di evitare il «tutto-corpo», preda di una «esaltazione corriva di un dilagare pulsionale che non viene mediato dalla funzione contenitrice della mente, qual è per eccellenza l’antropologia proposta da Nietzsche (oggi riproposta dall’anarchismo pulsionale di Deleuze)»; dall’altro, però, è da evitare anche la «sciagurata celebrazione di un pensiero che sarebbe tutto solo perché affrancato dalle emozioni» (ibidem).

La scelta di Finelli è radicale, e d’un colpo solo si sbarazza, sostanzialmente, di tutta la filosofia del Novecento (appunto, da Nietzsche a Deleuze passando per Foucault) ma anche, e forse soprattutto, di tutta l’arte moderna, che invece non ha fatto altro che mostrare un corpo frammentato, inadeguato e in fondo radicalmente disarmonico (si pensi solo a Joyce e a Francis Bacon passando per i tagli di Fontana, per non parlare del cinema di Antonioni). Chiudiamo queste note, a proposito di un libro che pone problemi ineludibili, con una domanda: quanto è materialista il “nuovo” materialismo di Finelli? Il Lacan del “c’è dell’Uno” del Seminario XIX, cioè di un corpo tutto e solo corporeo, senza altro e senza desideri, oppure un corpo “mediato dalla funzione contenitrice della mente”.

Riferimenti bibliografici
R. Finelli, Per un nuovo materialismo. Presupposti antropologici ed etico-politici, Rosenberg & Sellier, Torino 2018.

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