“Puoi perdermi?” Con questa domanda il soggetto presenta all’altro il fantasma della propria scomparsa. “Puoi perdermi?” significa anche: quali vie, quali torsioni, pressioni, deviazioni è in grado di sopportare il desiderio? Che rapporto esso intrattiene con la mancanza e con l’angoscia, con il lutto e con la malinconia che sembrano assediarne ogni comparsa? Forse questa domanda lavora, segretamente, nei monologhi del film Teorema, licenziato da Pier Paolo Pasolini nel 1968, anno della rivolta che sancisce per il poeta la vittoria dell’imperativo neocapitalista del godimento. Di fronte all’annuncio dell’imminente partenza dell’Ospite misterioso, giunto come un figlio insieme familiare e irriconoscibile nel cuore di una famiglia borghese, Odetta e Lucia, Paolo e Pietro tentano di saturare con la parola la faglia che l’apparizione del dio figlio e demone ha prodotto nella finzione dell’ordine, dell’identità.
Sullo schermo, ad uno ad uno, i membri della famiglia soccomberanno alla sua irruzione e al suo abbandono, incapaci di attraversarne la potenza. Il misterioso volto di Terrence Stamp, come uno spettro di celluloide, rimane ad interrogarci sulla possibilità di farne esperienza, di accogliere, del desiderio, persino la scomparsa. È questa interrogazione che lavora nel testo di Fabio Domenico Palumbo Fantasmi. Scritti di psicopolitica, pubblicato per Eutimia. Tornando su una serie di recensioni pubblicate su “Fata Morgana Web”, Palumbo, ripresentandosi sul luogo della scrittura, segue tra le pagine le trame del desiderio – il suo tramare – nell’epoca in cui la frattura che esso incarna appare totalmente saturata dal Reale del godimento capitalista.
Come il corpo misterioso dell’Ospite in Teorema poteva essere scoperto solo da uno sguardo che «segue gli sguardi che lo guardano» (Pasolini 1998, p. 907), Deleuze, Fisher, Žižek, Recalcati (e gli innumerevoli altri che punteggiano il testo) divengono sguardi prossimi e differenti che permettono di intravedere ciò che si nasconde nel «crinale psico-politico della contemporaneità» (Palumbo 2023a, p. 78).
Tra la «produzione desiderante» deleuziana, l’interrogazione sulla possibilità di un «desiderio postumano» sviluppata da Žižek, la voce di un «desiderio senza nome» che chiama dalle pagine di Mark Fisher e «il fantasma del desiderio» che anima i lavori di Recalcati, Palumbo apre uno iato in cui diviene percepibile ciò che infesta il desiderio contemporaneo. Il lavorio della mancanza – il suo ripensamento – si fa strada tra le pagine per interrompere la coincidenza di desiderio e godimento, lasciando aperta la tensione che abita al cuore del desiderio e del soggetto.
L’operazione tentata da Palumbo è dunque duplice: pensare una nuova hauntologia, in grado, derridianamente, di destabilizzare – a partire dall’interrogazione fondamentale su quale sia, nell’apparentemente continuo presente del capitale, il suo tempo – il nesso tra desiderio e presenza, e scovare le tracce di una nuova «politica del desiderio» che, inscindibile da una nuova erotica, non pretenda di saturare l’assenza attraverso un’inesausta ingestione di feticci, ma risponda alla dialettica dell’erranza e del ritorno su cui – in un movimento insieme di rotazione e rivoluzione – la «deviazione fondamentale» (ivi, p. 15) del desiderio si articola e si produce.
Tra due asserzioni – una deleuziana: «Il desiderio non manca di nulla», l’altra lacaniana: «Non cedere sul proprio desiderio» – si sviluppa la possibilità di tale ripensamento. Il «campo di forze che, attorno all’attrattore del desiderio, orienta un insieme di questioni politiche, etiche, estetiche» (ivi, p. 33) dischiuso dalla filosofia deleuziana impone una riflessione sulla potenza affermativa del desiderio, che nella tensione tra istinto e istituzione rivela il suo duplice volto. Se da un lato essa prefigura la prospettiva anedipica dell’Antiedipo, che rischia di fornire (secondo la critica žižekiana a Deleuze che l’autore discute) una forte base teoretica al capitalismo attuale garantendo la saldatura tra virtuale, produzione desiderante, godimento e capitalismo, dall’altro, nel carattere sempre indiretto e obliquo della soddisfazione che perverte plasticamente il bisogno fino a produrlo, il desiderio si configura come detour potenzialmente infinito che consegna l’istituzione, chiamata a rispondere alle esigenze sempre eccedenti dell’umano, al movimento infinito della giustizia.
Producendo empiricamente (humianamente) nel dato i percorsi non-lineari del desiderio, ogni istituzione appare così aperta ad una virtualità che ne impedisce la perfetta coincidenza. La negazione della mancanza, che – come afferma Palumbo recensendo il testo The Dark Precursor. Deleuze and Artistic Research – conduce la contemporaneità sulla soglia tra compulsione e depressione, trova nella filosofia deleuziana l’orizzonte, insieme, di un pericoloso avvicinamento al giogo del capitale e il suo scarto.
Tra un desiderio che ha definitivamente espulso la mancanza e un desiderio che diviene, di fronte alla «lenta cancellazione del futuro» (Fisher 2013, p. 11) ad opera del realismo capitalista, fissazione del passato nell’eterno presente di una ripetizione identica e ininterrotta, si installano le immagini-desiderio del cinema. Se è sul campo di battaglia del desiderio che si gioca la contemporaneità, il suo attraversamento non potrà che imporre il rischio dell’incontro con le «passioni tristi» che lo permeano, con le immagini che lo incarnano. La «mancanza della mancanza» (Palumbo 2023a, p. 77) che spinge Justine, nel film Melancholia, a mandare in frantumi la propria vita apparentemente perfetta; lo sfaldamento della memoria che rivela, attraverso i corpi-cyborg di Westword e Blade runner, il «vuoto della soggettività» (ivi, p. 64) che – nella prospettiva žižekiana – inaugura un ripensamento dell’umano che non rinunci, oltre ogni illusione di autenticità, all’im-proprietà del desiderio; la de-mondificazione e la “crisi dell’agentività” che – per Fisher – mostrano al soggetto, attraverso le immagini di Lynch o Kubrik, l’“alieno” che sempre egli è a se stesso e che il mondo non può che essere, lasciano apparire un’eccedenza in grado di prodursi, come un resto, nell’amministrazione dell’eccesso sancita dall’imperativo del godimento.
Se – secondo la prospettiva delineata da Palumbo a partire dal testo Crisi di valore di Fabio Vighi – la produzione capitalista di plus-godere si configura come scatenamento di una jouissance senza-fondo per cui ogni sacrificio reso sull’altare del mercato risulta insufficiente; se l’anedonia depressiva indagata da Fisher e le «nuove malinconie» analizzate da Massimo Recalcati appaiono come denegazione dell’assenza dell’Altro che trasforma il soggetto del desiderio in oggetto di godimento del capitale (non è, forse, ciò che appare nelle immagini di Salò?), occorrerà liberare il vuoto che alimenta la “produzione desiderante” non per abbandonarsi, masochisticamente, alla sua promessa, ma per scorgere nella fantasmagoria del capitale, nel feticismo del mercato la spettralità di ciò che ri-venendo (ancora un detour) installa in essi una frattura. Tra eccesso di desiderio e mancanza desiderante si produce un altro vuoto, un altro tempo, un’altra economia.
L’illusione che sia possibile colmare – o, ricorda Recalcati, «consumare» – il vuoto risulta inscindibile, secondo la prospettiva tracciata da Gianluca Solla e discussa da Palumbo, dalla promessa della sempre possibile estinzione del debito, della sua riduzione alla perfetta equivalenza, allo zero, che alimenta il culto del capitale. Liberare il vuoto vorrà dire, allora, fare spazio per ciò che non può darsi che in perdita, per ciò che, della vita, non può essere dovuto, ma solo “debito”. Nella posizione impensabile di chi dona ciò che non possiede, il soggetto appare consegnato a un debito assoluto estraneo ad ogni simmetria, ad ogni illusione retributiva su cui l’amministrazione dell’esistenza si esercita. All’economia libidica del rimborso e dello scambio è possibile opporre l’economia, paradossalmente an-economica, del desiderio.
Se, scrive Palumbo recensendo il testo dedicato da Bruno Moroncini al Simposio platonico, non si dà amore che nell’impossibilità dell’amore, nella contingenza che lega, al di là di qualunque possesso o garanzia, desiderio e godimento; se è solo nell’impossibilità dell’estinzione di un debito che non coincide più con la propria produzione economica che si dà l’interruzione dell’ordine del valore e del profitto e si apre lo spazio dell’alterità e della differenza al centro del soggetto, solo abitando desiderio e mondo come un inabitabile sarà possibile accedere a ciò che, accadendo, trasforma la contingenza in destino, la malinconia in potenza generatrice.
Tra il deleuziano «il desiderio non manca di nulla» e la lacaniana ingiunzione a non «cedere sul proprio desiderio», si produce un terzo. Al desiderio «ni-ente manca»: non vi può essere mancanza, laddove non si possiede nulla. L’appuntamento con il proprio desiderio – e la possibilità di non cedere di fronte ad esso – sfugge ad ogni metafisica dell’assenza quanto ad ogni logica referenziale della mancanza. Puoi perdermi? Significa allora “non puoi che perdermi”, ma nella mia richiesta, nella mia domanda, sta il segno di un impossibile, che è il detour infinito del desiderio, «il movimento infinito che attiene alla vita stessa» (Solla 2018, p. 120).
È forse questo il tratto pasoliniano del volume di Palumbo: la rinuncia allo spettro dell’autorità paterna, l’introduzione, nel godimento stesso, di una contraddizione inemendabile, e, nonostante tutto, l’apertura incessante di una «lacuna nell’essere» (Pasolini 1999a, p. 2177) che, né origine assente né oggetto propriamente mancante, non è che il ritmo materiale del desiderio, la possibilità impossibile di desiderare ancora. Che desiderio e che godimento si delineano, dunque, a partire dal debito assoluto che noi stessi sempre siamo? Che malinconia è quella che si trattiene tra assenza e mancanza, che non è che l’eccedenza tra due?
Nell’epoca dell’apparente impossibilità del lutto, della fissazione “nostalgico-formale” di ciò che è perduto nel tentativo di incatenarne lo spettro, è possibile immaginare una malinconia che faccia i conti con il lutto senza rinunciare a quella parte che, dell’oggetto del desiderio, resta indimenticabile, perché immemorabile. Tra le voci degli “angeli sconsolati” che dai brani di Burial evocano lo spettro di «eventi mai realmente accaduti e futuri che non si sono mai realizzati» (Fisher 2013, p. 47) e lo sguardo dell’Angelo della storia benjaminiano, trascinato dalla tempesta del progresso e rivolto a ciò che, del passato, non passa, un altro futuro, un futuro anteriore che si presenta come a-venire, permette di sperimentare un desiderio che, rifiutando di rinunciare al futuro e attraversando lo spettro di ciò che resta sepolto nelle promesse – quelle realizzate e quelle deluse – della modernità, insiste sulla soglia dell’ancora.
Che sia “debito assoluto” – differenza che consegna la vita a ciò che in essa è impagabile; che sia “amore” – quell’“occasione” che apre l’Uno alla sua estimità; che sia “godimento altro” – ciò che, nella prospettiva recalcatiana sposata dall’autore, «tiene infinitamente aperta la relazione con l’alterità» destituendo «la pretesa del godimento (fallico) di esaurire il campo della jouissance» (Palumbo 2023b, p. 61), il nostro desiderio, ci ricorda Palumbo invertendo la celebre formula di Fisher, non ha ancora smesso di avere un nome. Questo nome, forse inconoscibile come un nome segreto, è il nome impronunciabile di un’eccedenza in scarto su ogni eccesso, di un resto «senza equivalente possibile» (Solla 2018, p. 155) al senza-fondo. È nome di qualcosa che sempre si sottrae al sigillo della parola “fine”, perché il «desiderio viaggia in tutti gli spaziotempi possibili» (Palumbo 2023a, p. 57).
Riferimenti bibliografici
M. Fisher, Spettri della mia vita. Scritti su depressione, hautologia e futuri perduti, Minimum Fax, Roma 2013.
B. Moroncini, La morte del poeta. Potere e storia d’Italia in Pier Paolo Pasolini, Cronopio, Napoli 2019.
F. Palumbo, Jeanne d’Arc allo Specchio. Del femminile assoluto, in “K. Revue trans-européenne de philosophie et arts”, Les larmes de Jeanne d’Arc, 11, 2023b.
P. P. Pasolini, Mario Soldati. Lo smeraldo, in Saggi sulla letteratura e sull’arte II, Milano, Mondadori 1999a.
Id., Scritti corsari, in Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999b.
Id., Teorema, in Romanzi e Racconti II, Milano, Mondadori 1998.
G. Solla, Il debito assoluto, l’economia della vita, Edizioni Ets, Pisa 2018.
Fabio Domenico Palumbo, Fantasmi. Scritti di psicopolitica, Eutimia – La scuola di Pitagora, Napoli 2023.