Iniziava così un testo di Deleuze uscito su Poesie nel 1946 dal titolo Parole e profili. Un testo che è anche una dichiarazione d’intenti sul fare filosofia:
Ma la filosofia ci insegna a spogliare cose ed esseri d’ogni senso peggiorativo: dobbiamo rendere conto e basta, descrivere, semplicemente, senza che nulla dipenda dalla nostra approvazione o dal nostro biasimo. Ciò basti ad introdurre a un mondo poco piacevole (ibidem).
Potrebbe essere questa una recensione anacronistica dell’ultimo libro di Franco “Bifo” Berardi, Disertate (Timeo, 2023), apertura su di un mondo che non si fatica certo a definire “poco piacevole”, se non addirittura disperante. Infatti, se il testo di Bifo si presenta innanzitutto come uno scritto d’occasione – un libro sulla diserzione in un clima, quello europeo, mediaticamente invaso dalla guerra russo-ucraina – la portata del testo è forse assieme più ampia e più intensa. Più ampia perché chi si aspettava un testo sulla diserzione da una guerra particolare rimarrà in parte deluso; più intensa perché ciò che sembra preoccupare Bifo – e noi assieme a lui – è in realtà un tappeto sonoro che irrita ormai da decenni l’intreccio pubblico delle nostre esistenze: «Quel che cercavo, scrivendo, è una diversa interpretazione della depressione, della disperazione, della passività, dell’esaurimento» (ivi, p. 9). Così si tratta di descrivere il modo di stare assieme di due concetti che sono anche due affetti: disperazione e diserzione.
Innanzitutto, il primo gesto di Bifo è quello di collocarsi all’interno di una tradizione che – da Spinoza fino a Deleuze e Guattari – a una metafisica della volontà preferisce un’etica basata sugli affetti. Quegli stessi affetti che sono anche fonte di conoscenza negli incontri – piacevoli o spiacevoli che siano – che intervengono a mantenere o a irritare la trama del nostro universo di senso. È lo stesso Bifo a dichiararlo implicitamente, quando scrive che:
la disperazione […] non è una malattia: è una forma di conoscenza, la sola che non rimuova l’evidenza. Ma allora dobbiamo chiederci: come può la disperazione dell’intelligenza coesistere con la vita buona? Com’è possibile creare felicità in un’esistenza collettiva perennemente esposta all’abisso? La mia risposta è una sola: disertando (ivi, p. 14).
Se la diserzione è allora una risposta alla domanda “come vivere una vita buona?”, essa si pone come alternativa a quel pathos ascetico, che Bifo chiama «stoico», che promette di trasformare il soggetto che siamo in un altro – stesso – soggetto umano, bloccando di fatto ogni forma del divenire-altrimenti. Così la diserzione pare essere qualcosa di radicalmente differente da una cura di sé che non sia anche e soprattutto una cura del cosmo.
È così che, se lo «stoicismo è una scelta inevitabilmente individuale», il libro di Bifo ha a cuore soprattutto un’«etica pubblica» (p. 16) che sappia affinare i sensi per toccare il caos. Non per nasconderlo con un gesto, ma per renderlo sensibile al contatto con la pelle. Ecco allora svelato il legame tra disperazione e diserzione: nel momento in cui la disperazione non è più solamente una condizione patologica, ma una fonte di conoscenza e un accesso sensibile al caos, possiamo iniziare a pensare una nuova etica pubblica all’altezza del presente e – perché no? – dell’avvenire. Un’etica che non sia più segnata da volontà, responsabilità e ascesi individuale, tutti concetti di questo mondo di senso, dal quale il disperato non desidera altro che disertare; ma che sia invece in grado di riconoscere nel disgusto un carattere assieme estetico e di rottura. Bifo infatti scrive che in
movimenti come Fridays for Future, la radice della rivolta non ha un carattere unicamente morale, ma anche e – credo – soprattutto estetico: il disgusto per il sovra-consumo soffocante, per la bruttezza della plastica dilagante, per il cinismo di coloro che hanno subito la lunga esposizione al dominio neo-liberale (ivi, p. 43).
È solo in questo senso, allora, che si può affermare che «la percezione estetica ridefinisce la sfera politica ed etica», perché l’«estetica è la scienza della percezione del piacere e della sofferenza, scienza trans-monadica che studia ciò che rende possibile l’empatia» (ibidem).
Quella che rende possibile l’empatia, tuttavia, sembra oggi una scienza impossibile. E se pure è vero che, seguendo la disperazione come si segue una virtù possiamo certamente toccare e conoscere un reale quotidianamente rimosso, ciò con cui un simile reale ci costringe a fare i conti è una crisi di panico, un’esposizione a un caos cognitivamente non organizzabile. Esiste un modo per curare questo panico che ci assale, a partire da eventi ingovernabili che ci coinvolgono collettivamente e che si susseguono sempre più rapidi nel nostro presente? Si pensi alla pandemia da SARS CoV-2, alla guerra russo-ucraina, o al riscaldamento globale: tutti movimenti che per Bifo fanno segno verso la psico-deflazione.
Ma se tutto questo sembra essere inevitabile e la possibilità di una vita felice pare essere definitivamente compromessa, ecco allora che Bifo introduce il suo personale credo quia absurdum: proprio perché una simile condizione ci espone all’inimmaginabile, ecco allora che dobbiamo provare a immaginarla; proprio perché un simile caos disorganizzato è per noi insensibile – non siamo cognitivamente capaci di organizzarlo e dotarlo di senso – ecco allora che va cercata una linea di fuga per rendere possibile un contatto. È come se Bifo, in un contesto segnato dal collasso, dalla catastrofe e dal panico generalizzato, avesse provato, a poco più di cinquant’anni dalla pubblicazione de L’anti-Edipo, a rispondere a una seconda esigenza deleuziano-guattariana, alternativa o in composizione rispetto a quella semplicemente affermativa che viene solitamente rintracciata nei loro testi:
Le macchine desideranti ci danno un organismo; ma in seno a questa produzione, nella sua stessa produzione, il corpo soffre d’essere così organizzato, di non avere un’altra organizzazione, o assolutamente nessuna organizzazione. […] Il corpo pieno senza organi è l’improduttivo, lo sterile, l’ingenerato, l’incommensurabile. […] Il desiderio infatti desidera anche questo, la morte, poiché il corpo pieno della morte è il suo motore immobile. […] È il corpo senza immagine (Deleuze, Guattari 2002, pp. 9-10).
Ecco allora che la rassegnazione disperata alla quale Bifo si riferisce sembra essere, in questo senso anti-edipico, quella di colui che soffre dell’organizzazione dell’organismo. Eppure, non avevamo scritto poco sopra che a farci soffrire e disperare era un caos inorganizzabile? Ebbene, un simile impossibilità di organizzazione si dà sempre a partire da un’immagine, da un’organizzazione definitiva e stabilita, che appare come cognitivamente inaggirabile. Una volta posta l’immagine di mondo interno e familiare, di un mondo identitario nel quale quotidianamente abitiamo, a farci soffrire è il primato di un essere che ha ormai divorato ogni nulla attorno a sé. A farci disperare è la stasi di quello stesso essere, un essere-per-noi che non è altro che l’anticamera del privato e della proprietà. Già, perché fuori di noi, attorno a noi e forse anche attraverso di noi, tutto muta, si trasforma, cambia. Ma in questa trasformazione è probabile che noi – l’essere che siamo attorno al focolare – non saremo più implicati. È questo il genere di consapevolezza alla quale Bifo fa segno quando scrive: «Ciò di cui c’è bisogno è un movimento di riattivazione dell’erotismo collettivo, di rimodellazione delle attese del mondo. Ma che vita sappiamo immaginare nei tempi del collasso psicotico dell’Occidente?» (ivi, p. 213).
Si tratterà forse di un lavoro svolto a partire dai fantasmi. Perché se è vero che quella del collasso, della psico-deflazione, del panico e della paranoia generalizzati è innanzitutto un’immagine, una prospettiva sul mondo, allora «non appena c’è produzione di immagini, i fantasmi scioperano» (Deleuze, Guattari 2021b, p. 245). E cos’è la diserzione dal mondo se non uno sciopero dei fantasmi del desiderio?
Riferimenti bibliografici
G. Deleuze, Parole e profili, in G. Deleuze, Lettere e altri testi, Giometti&Antonello, Macerata 2021.
G. Deleuze, F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 2002.
G. Deleuze, F. Guattari, Conversazioni sull’Anti-Edipo con Raymond Bellour, in G. Deleuze, Lettere e altri testi, Giometti&Antonello, Macerata 2021.
F. “Bifo” Berardi, Disertate, Timeo, Como 2023.