«What is the truth?» «Nothing matters». È quello che succede quando metti tutto in un bagel: i tuoi sogni, le tue speranze, tutte le razze dei cani del mondo e i semi di papavero. Everything Everywhere All at Once (da qui in avanti abbreviato in EEAAO) ruota intorno al tentativo dei personaggi di mettere ordine nelle loro vite, strette nelle maglie di una società che alza quotidianamente l’asticella delle aspettative e ci costringe ad affannarci sempre più per non soccombere.

Il film, scritto e diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert (noti anche come “Daniels”), si sviluppa nell’arco di una giornata qualsiasi della famiglia Wang: Evelyn (Michelle Yeoh) e Waymond (Ke Huy Quan), immigrati cinesi, alle soglie del divorzio, gestiscono una lavanderia a gettoni finita nel mirino dell’IRS [ovvero la Internal Revenue Service, agenzia governativa impegnata nella riscossione tributi e nel film incarnata nel personaggio di Deirdre Beaubeirdre (Jamie Lee Curtis)]; in occasione del capodanno cinese, si unisce alla famiglia Gong Gong (James Hong), il padre di Evelyn, dopo un lungo viaggio da Hong Kong. La figlia adolescente, Joy (Stephanie Hsu), vorrebbe approfittare di questa situazione per fare coming out con il nonno, presentandogli la fidanzata Becky, ma quando l’occasione giusta sembra finalmente giungere, Evelyn si intromette appellandola semplicemente come “una cara amica”. Il mondo della famiglia Wang è nel caos: mentre Evelyn cerca di mantenere un equilibrio tra tutte le difficoltà economiche e affettive che caratterizzano il suo quotidiano, Alpha Waymond (proveniente da un universo parallelo) irrompe nella sua vita e le affida un compito importante: sconfiggere Jobu Tupaki, un essere che attinge al tutto di ogni universo per alimentare il suo everything bagel con l’obiettivo di distruggere qualsiasi realtà esistente.

Jorge Luis Borges, nel racconto Il giardino dai sentieri che si biforcano (1941) scrive: «[il suo antenato] non credeva in un tempo uniforme, assoluto. Credeva in infinite serie di tempi, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che si avvicinano, si biforcano, si intersecano o si ignorano per secoli, abbraccia tutte le possibilità», anticipando di più di dieci anni gli studi di Hugh Everett III che, nel 1957, rielabora le teorie della meccanica quantistica dando luogo a quella che più tardi verrà definita “interpretazione a molti mondi”: ogni possibilità di evento si manifesta come reale aprendo un universo parallelo. Il risultato è che, da qualche parte, tra gli infiniti universi esistenti, ogni variabile scaturita dalle nostre azioni si sta avverando.

Il multiverso diventa quindi nodo centrale nello sviluppo di EEAAO. Evelyn, infatti, per portare ordine nel suo universo, può accedere a tutte le ramificazioni della sua vita e attingere alle migliaia di capacità acquisite nelle realtà parallele per combattere – e sconfiggere – Jobu Tupaki (nonché la versione nichilista della figlia, Joy). Jobu si trova everywhere ed Evelyn, per riuscire a chiudere questo bagel che assorbe ogni cosa (con evidente allusione, anche visiva, ai buchi neri), non ha altra scelta se non interagire con qualsiasi altra versione di sé, con ogni frammento sparso in tutti gli universi possibili, in modo da far collassare il tutto nel niente.

Un viaggio multidimensionale che condurrà madre e figlia lontano, nello spazio e nel tempo. Attraverso numerosi flashback, infatti, riusciamo a ricostruire il percorso che ha condotto Evelyn in quel preciso luogo e in quel preciso momento: lei, come Jobu, è tutto e niente, legata alle tradizioni di un Paese che ha lasciato da (troppo) giovane, trapiantata nella cultura americana alla quale sente di dover dimostrare costantemente la sua adeguatezza, appassionata di film bollywoodiani, responsabile di una lavanderia sull’orlo del fallimento, sposata con un uomo premuroso ma appiattito dalle difficoltà della vita e con una figlia distaccata che con la famiglia sembra aver poco da spartire.

“Cosa sarebbe successo se” è la domanda che la protagonista si pone per tutto il corso del film e le variabili che risultano da ogni scelta ci vengono mostrate nelle forme più disparate, compreso un universo in cui non c’è vita e le due donne non sono altro che pietre che dialogano, poggiate accanto a un burrone. “Sono rimasta intrappolata in questo stato per così tanto… sentendo e provando tutto… Speravo che tu avresti visto qualcosa che mi era sfuggito… che mi avresti convinta che c’è un’altra strada”, dichiara Jobu, chiarendo finalmente le sue intenzioni: il bagel non serve a distruggere il multiverso, ma le serve a sparire per sempre. Sentire tutto per sentire, finalmente, niente.

Divenuto in breve tempo il miglior incasso a livello mondiale per la A24 (casa di produzione che firma, tra gli altri, Moonlight e The Lighthouse) il film ha ricevuto numerosi riconoscimenti (ad oggi 2 Golden Globe, 4 SAG Award, 1 Bafta e 7 Oscar). I due registi, noti per aver diretto il grottesco Swiss Army Man, lavorano al progetto dal 2010 e assistono nel frattempo all’uscita di titoli di successo (Spider-Man: Un nuovo universo, 2018, è solo un esempio) che hanno il multiverso al centro della narrazione: «It was a little upsetting because we were like, “Oh shit, everyone’s going to beat us to this thing we’ve been working on”», dichiarano in un’intervista.

Everything Everywhere All at Once, tuttavia, va oltre le produzioni che sfruttano le potenzialità degli universi multipli: in un approccio multi-genere, il film si sviluppa tra fantascienza, commedia drammatica, arti marziali, supereroi, dove abbondano citazioni cinematografiche esplicite (dal disneyano Ratatouille a In the Mood for Love di Kar-Wai) e implicite (Matrix, su tutti, ma anche il bagel ispirato forse al donut che caratterizza la serie animata The Simpson). La colonna sonora, realizzata dai Son Lux (gruppo musicale post-rock/electronica), abbraccia quasi l’intera pellicola accompagnando il pubblico in questo viaggio psichedelico sottolineato dal ritmo frenetico del montaggio.

Non è un caso che in alcune sequenze emerga con forza l’estetica del videoclip: il duo, infatti, inizia la propria carriera dirigendo video musicali nei quali è già possibile riscontrare tematiche e pattern visivi che tornano poi anche nel loro cinema (pensiamo, ad esempio, alle dinamiche familiari mostrate in Simple Song dei The Shins o all’ibridazione dei formati video messa in scena per Tongues dei Joywave). Ne risulta un pastiche che restituisce visivamente il caos del multiverso tra passato e futuro alla fine risolto in un ordine rassicurante del qui e ora.

EEAAO è in fondo un inno all’amore, un ritorno alla gentilezza, un invito al riconoscere l’altr* come soggetto complesso, all’incrocio tra mondi, culturali, affettivi, sociali. In una realtà sempre più disumanizzata, dove la burocrazia gestisce le nostre vite, già schiacciate dalla performatività e dalla misura del successo, il film di Daniels ci ricorda che per cambiare il mondo è fondamentale “partire da sé”, o meglio da noi, aprendoci a una relazione empatica con ogni individuo che, in qualsiasi universo, sta affrontando una storia unica e piena di difficoltà.

Ci invita a riconoscere la disillusione e l’apatia come sentimenti tipici nella contemporaneità e tuttavia superabili mediante un percorso di trasformazione che avviene attraverso il dialogo con l’altr*. Evelyn sconfigge Jobu Tupaki nel momento in cui abbatte le sue aspettative e accoglie la figlia nella sua complessità; Joy, dal canto suo, lascia andare Jobu quando si rende conto che la madre non la vuole più ingabbiare ma può essere ciò che è, liberamente, senza dover nascondere la sé più intima e profonda. In questo terreno comune, le due donne riusciranno a godersi insieme qualche “minima particella di tempo in cui tutto ha davvero senso”.

Riferimenti bibliografici
L. Borges, Finzioni, Adelphi, Milano 2015.
C. Lee, The Everything Bagel of Influences Behind Everything Everywhere All at Once, in “Vulture”, 13 aprile 2022 (https://www.vulture.com/2022/04/everything-everywhere-all-at-onces-influences-explained.html).
R. Menarini, Cinema e fantascienza, Archetipolibri, Bologna 2012.

Everything Everywhere All at Once. Regia: Daniel Kwan, Daniel Scheinert; sceneggiatura: Daniel Kwan, Daniel Scheinert; fotografia: Larkin Seiple; montaggio: Paul Rogers; interpreti: Michelle Yeoh, Ke Huy Quan, Stephanie Hsu, James Hong, Jamie Lee Curtis, Tallie Medel, Jenny Slate, Harry Shun Jr., Biff Wiff; produzione: A24, AGBO, IAC Films, Year of the Rat; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Stati Uniti d’America; durata: 140′; anno: 2022.

Share