S’intitola Etty la nuova serie in sei episodi di Hagai Levi, presentata a Venezia 82. Ed è un’operazione intellettuale di rara complessità teorica e politica. Prodotta da Arte France, scritta e diretta interamente dal regista, sceneggiatore e showrunner israeliano, la serie affronta gli ultimi anni di vita di Etty Hillesum, intellettuale olandese di origine ebraica i cui diari (1941-1943), pubblicati in Italia da Adelphi, sono una delle testimonianze più luminose dello sterminio degli ebrei europei durante la Seconda guerra mondiale. Non un altro diario di Anne Frank: gli scritti di Hillesum costituiscono una ricerca spirituale e, allo stesso tempo, carnale della propria identità femminile ed ebraica; un confronto serrato con Dio e la sua immanenza, con la sofferenza e la necessità di preservare l’umanità nel cuore della barbarie; un’occasione per riflettere, filosoficamente, su come si costruisce (e, implicitamente, si abita, spesso in modo inconsapevole) una società fondata sull’odio. L’evoluzione interiore di Hillesum si dipana pagina dopo pagina, mentre cresce, lenta e inesorabile, la persecuzione nazista nei Paesi Bassi. Fino alla deportazione ad Auschwitz nel 1943, dove lei stessa, assieme a tutta la sua famiglia, sarà uccisa dai nazisti.
Levi adotta il formato dei diari come struttura portante dell’architettura seriale: una narrazione intimista che, solo gradualmente, rivela una generica occupazione di Amsterdam (da parte di chi? E quando?) come sfondo della storia. Allo spettatore, del resto, viene rivelata l’origine ebraica della protagonista solo a metà del secondo episodio, in un progressivo svelamento che mantiene il rispetto filologico dei diari verso la lenta rivelazione dello stesso contesto di odio e violenza in cui questi sono stati scritti. Tuttavia, la scelta più radicale consiste nel ricollocare la vicenda in una sorta di temporalità sospesa tra storia e presente: un presente distopico acutamente privato di qualsiasi dimensione tecnologica che possa far appigliare lo spettatore a elementi contestuali. Il risultato è uno spiazzamento percettivo che fa fluttuare la narrazione in uno spazio-tempo indefinito: grazie all’utilizzo di scenografie e costumi in bilico tra un’estetica vintage un po’ hipster e il modernismo architettonico olandese, lo spettatore perde qualsiasi riferimento cronologico di un mondo che sfugge alle coordinate storiche tradizionali. Questa strategia – certamente anomala per gli standard seriali contemporanei, dove nell’episodio pilota deve necessariamente “accadere qualcosa” – genera curiosità e mantiene alta l’attenzione attraverso un bilanciamento sottile tra analisi verticale (lo scavo nella psicologia di Etty) e sviluppo orizzontale (il graduale disvelamento del contesto).
Il nucleo teorico della serie risiede nella relazione tra Etty Hillesum e Julius Spier, psicologo tedesco che la introduce alla psicochirologia – disciplina ibrida tra psicoanalisi e chiromanzia, oggi considerata pseudoscientifica ma abbastanza popolare tra gli ambienti intellettuali tedeschi e olandesi tra le due guerre. Questo rapporto intenso e complesso sblocca la personalità di Hillesum, catalizzando la sua trasformazione interiore verso un’accettazione di sé stessa, una presa di maggiori responsabilità all’interno del contesto familiare, un decentramento della sua personalità narcisista e una maggiore compassione e sensibilità nei confronti dell’altro. Le sedute analitiche, così come le chiacchierate tra Etty e il suo amico Klaas, costituiscono certamente l’elemento di maggiore contemporaneità della serie. Le lunghissime scene dialogate, caratteristica distintiva di tutta l’opera di Levi – pensiamo a BeTipul, The Affair, ma anche Scenes from a Marriage – servono, così, a rendere politicamente l’urgenza delle parole già presenti nei diari. I diari di Hillesum non sono soltanto un’opera letteraria di pregevolissima fattura, o un documento di rilevanza storica eccezionale: sono, per Levi, soprattutto uno strumento per leggere il presente che ci circonda, oggi. Qui e ora.
L’autore, che ha già esplorato il dispositivo psicoanalitico nel racconto seriale in diverse occasioni, sembra suggerirci che la psicoanalisi e la sua evoluzione storica possano offrire strumenti interpretativi per il presente. Il riferimento implicito è alle teorie di Wilhelm Reich sulla repressione sessuale come fondamento della psicologia di massa del nazifascismo: l’operazione di “sblocco” che Spier attua su Hillesum diventa metafora della necessità di svincolarsi dalle logiche autoritarie e patriarcali del fascismo – non solo quello storico, ma soprattutto nelle forme che questo assume nel contemporaneo. L’intenzione di Levi è chiaramente politica: universalizzare i diari di Hillesum per renderli rilevanti nel presente, cercando nelle sue parole un possibile antidoto alle cicliche eclissi dei lumi di cui è piena la storia.
Utilizzare la Shoah come paradigma interpretativo del contemporaneo solleva questioni teoriche complesse. Secondo la cosiddetta Legge di Godwin, a mano a mano che una discussione su un forum online si prolunga, le probabilità di un paragone riguardante i nazisti, o Hitler, si avvicinano a 1. Se letta nell’ottica di una superficiale reductio ad Hitlerum, l’operazione di Levi rischia di apparire riduzionista, se non propriamente revisionista. Eppure, la serie non cade mai nella trappola del paragone sterile, didattico, didascalico. La sua riflessione verte piuttosto sulle condizioni di marginalità e repressione che caratterizzano tutte le società fondate sull’odio, sul modo in cui esse riducono a una condizione subumana i soggetti più vulnerabili, sulle strategie di costruzione di una retorica dell’indifferenza. La dimensione metaforica, mai letterale, preserva fino in fondo la complessità dell’operazione teorica: come quella montagna di biciclette accatastate che ci ricorda, in un corto circuito tra presente e passato, i mucchi di oggetti requisiti agli ebrei ancora visibili, oggi, nel museo di Auschwitz.
Etty, insomma, dimostra come sia possibile affrontare una vicenda peculiare della storia della Shoah senza cadere nella sacralizzazione o nella banalizzazione. Trovando invece una terza via che passa attraverso la riflessione psicoanalitica, la dislocazione temporale, la rilettura filosofica della storia. Con l’intenzione, più che di documentare, di agire politicamente nel presente in cui viviamo. Un’operazione provocatoria, di rara intelligenza formale e sensibilità etica, che conferma Hagai Levi come uno degli autori più importanti del panorama seriale contemporaneo.
Etty (ep. 1-6). Regia: Hagai Levi; sceneggiatura: Hagai Levi; fotografia: Martijn van Broekhuizen; montaggio: Yael Hersonski, Neta Dvorkis, Asaf Korman; interpreti: Julia Windischbauer, Sebastian Koch, Leopold Witte, Gijs Naber, Claire Bender, Evgenia Dodina; musiche: Volker Bertelmann, Raffael Seyfried, Ben Winkler; produzione: Les Films du Poisson, Komplizen Serien, Topkapi Series, Quiddity, Sheleg, Arte FRANCE; origine: Francia, Germania, Paesi Bassi; durata: 327’; anno: 2025.