È un giorno nuvoloso di ottobre del 2019: mi trovo a Londra, all’interno di una delle sale di lettura della British Library e sto consultando dei testi che mi saranno utili per la stesura di questo libro. Durante la ricerca mi imbatto in uno strano libro, carico di suggestioni: una edizione del 1972 di uno dei testi classici del “Siglo de Oro” spagnolo, la Comedia famosa del Rey San Sebastian, scritta da Luis Vélez de Guevara. Opera famosa per gli studiosi del Seicento spagnolo, ma di fatto lontana dalla mia ricerca. Eppure, una serie di elementi mi spingono a consultare il testo: anzitutto la casa editrice, il cui nome è Aguirre, come il titolo di uno dei film più famosi di Herzog; poi l’anno, il 1972, che guarda caso è anche l’anno di uscita di quel film; infine, il nome del curatore dell’edizione, che sorprendentemente si chiama Werner Herzog.

Un caso di omonimia, certo, ma una strana omonimia, visto che tra l’altro il vero nome del regista tedesco non è Herzog, ma Stipetić. Herzog è un titolo nobiliare in tedesco, ma è soprattutto il cognome di un alpinista leggendario, Maurice Herzog, che il 3 giugno 1950 conquistò la cima dell’Annapurna, nel massiccio dell’Himalaya, in Nepal. Strani corto circuiti tra due figure dell’eccesso, due percorsi di vita in cui l’azione è sempre caratterizzata da una lotta tra il desiderio o l’ossessione e un mondo che vi si oppone, radicalmente (È questo il tema portante del libro che lo stesso Maurice Herzog scrisse per raccontare l’impresa:  Annapurna. Il primo 8000, M. Herzog 2016).

In queste combinazioni, in questi incroci si apre una spirale, un vortice di identità, fittizie, in cui storie e personaggi si sovrappongono, si condensano e biforcano nel tempo. Il personaggio che è il protagonista della Comedia, inoltre, è una figura simbolo della cultura portoghese, il re Sebastiano I, scomparso nella battaglia di Alcazarquivir nel 1578, persa dall’esercito portoghese contro le forze marocchine. Sebastiano morì in battaglia, il suo corpo non fu mai ritrovato, ma una leggenda afferma che le sue ultime parole annunciavano il suo ritorno e la ritrovata grandezza del Portogallo. Da quel momento il sovrano diventerà allora una figura mitica, un simbolo di un tempo-a-venire, di un passato che riscatterà il presente, il simbolo di un anacronismo che continua ancora oggi ad agire all’interno della cultura portoghese. Sono innumerevoli infatti le opere (letterarie, teatrali, pittoriche, ecc.) che raccontano le gesta di Sebastiano o che ne immaginano il ritorno, o l’effetto della profezia nelle generazioni e nei secoli successivi.

Ma è stato il cinema a fare di Sebastiano un’immagine particolare, un emblema che si basa su uno spazio invisibile, presente senza esserlo veramente, su una oscurità fondante, che sta dietro, sotto o a lato dell’immagine stessa: basti pensare ai film dedicati alla figura di Sebastiano, come Il quinto impero – Ieri come oggi (2007) di Manoel de Oliveira, o Quem és tu? (2001) di João Botelho, in cui il re scomparso diventa forma del cinema come mistero, come ambivalenza, forma che va al di là del suo spazio visibile. Un anacronismo, una sopravvivenza, un corto circuito tra presente e passato, o tra più passati. Ecco che il libro trovato per caso, anziché essere rubricato come un errore di consultazione, diventa paradossalmente la chiave di un percorso, di una lettura del cinema di Herzog appunto come una delle forme di un cinema dell’anacronismo, capace di creare immagini contemporanee a partire dalla loro temporalità, dal loro rapporto aperto con il passato. È un percorso che ovviamente va qui introdotto.

Lo scopo di un’introduzione è infatti quello di fornire al lettore una guida iniziale, una serie di strumenti, di parole chiave che gli permetteranno di orientarsi all’interno del testo. Dunque la prima domanda da porre è: che cos’è questo libro? Il titolo già costituisce un’indicazione preziosa, in fondo: si tratta di un testo sul cinema di Werner Herzog. Ma l’idea che lo anima vuole essere ancora più specifica – o forse più ampia: l’idea alla base di questo testo è quella cioè di sviluppare un percorso che non si limiti alla monografia sul grande regista tedesco (ce ne sono molte e di pregevoli, sia in Italia che all’estero, ovviamente), ma che affronti il cinema di Herzog come grande territorio in cui si agitano questioni, temi e problemi che riguardano l’immagine contemporanea, che ne interrogano il senso e le possibilità. Questo libro non ha dunque l’obiettivo di ricostruire il percorso artistico di Herzog, né di evidenziarne i passaggi, le figure ricorrenti, il rapporto tra il cinema di fiction e il documentario, o le molte tematiche che ne caratterizzano la poetica.

Si tratta, questo sì, di riprenderne l’idea di cinema, affrontarla e pensarla all’interno di un orizzonte teorico particolare, instaurando un dialogo inedito, come si vedrà; un dialogo con alcuni concetti che provengono da una delle teorie dell’immagine più dirompenti del Novecento, quella di Aby Warburg. Strano connubio, si dirà: cosa c’entra il percorso di uno dei più eretici tra gli storici e teorici dell’arte con quello di un regista fuori dai canoni come Herzog? Ancora: perché instaurare una sorta di dialogo, un percorso fatto di confronti e incroci anziché un percorso genealogico, cronologicamente orientato sul cinema herzoghiano? In parte perché, come si è detto prima, esistono moltissime monografie sul cinema di Herzog che ne ripercorrono i temi e le forme, sia dal punto di vista cronologico (dagli esordi fino alle ultime opere), sia attraverso tagli particolari, sguardi mirati su alcuni aspetti del corpus dei suoi film. In questa pratica della ricerca vibra costante una visione teleologica, che legge l’autore come strumento di un piano trascendente, e gli nega la possibilità creativa delle svolte improvvise, trattando i vari traguardi della sua attività come pure e semplici fasi di passaggio. In secondo luogo, ed è la ragione più importante, è Herzog stesso a suggerire di leggere i propri film come parte di un corpus appunto organico, in cui le singole opere sono possibilità, esplorazioni, approfondimenti, deviazioni e variazioni di una ricerca coerente, di una serie di questioni che hanno al centro, come vedremo, il problema dell’immagine:

Tutti i miei film esprimono un comune sentimento nei confronti della vita e in questo senso costituiscono un tutt’uno. Sono in relazione reciproca come le membra di un enorme corpo e, se visti insieme, compongono un unico film con molte dimensioni diverse piuttosto che una mera catena di film (Herzog, Cronin  2014, p. 90).

Ed è proprio in questo senso che i film di Herzog compariranno nelle pagine che seguono: come parti di un percorso dalle molte facce, come forme che in modi diversi affrontano le stesse questioni, le stesse ossessioni e in particolare una, quella della quest per eccellenza: la ricerca delle immagini necessarie, le sole in grado di dire la contemporaneità. Non si tratta dunque di ricostruire un percorso cronologico dell’opera del regista, ma di creare connessioni non previste tra i suoi film, tra immagini diverse che costantemente dialogano tra loro, proprio per metterne in evidenza, come vedremo, la loro capacità di essere uno spazio per il pensiero. Herzog e Warburg diventano allora i personaggi di un racconto che costantemente li fa lavorare insieme, da una parte per evidenziare linee interpretative nuove, ed è il primo obiettivo di questo percorso; dall’altra perché a partire da questa prospettiva è possibile allargare l’ipotesi che sottende a tutto il lavoro (quella del cinema dell’anacronismo) non solo al regista tedesco, ma ad una serie di autori che hanno attraversato la storia del cinema, con sguardi e percorsi anche molto diversi, ma accomunati proprio da questa urgenza: quella di pensare il cinema come arte che lega insieme e rimette in movimento passato e presente.

I personaggi di un racconto o di un romanzo: non è casuale l’analogia. Non solamente Herzog è paragonabile ad un grande romanziere, ma è il suo personaggio stesso (come regista, come autore, come attore, come voce), che si presenta come frutto di un lavoro di scrittura e di riscrittura. Le sue sceneggiature sono opere letterarie, assolutamente lontane dai codici della sceneggiatura cinematografica; le sue apparizioni come attore per altri registi deviano dal percorso del suo cinema, entrano in uno strano corto circuito con la sua attività di regista. Il suo stesso nome è di fatto un nom de plume. Per proseguire in questa direzione dunque occorre sperimentare una metodologia di lavoro, che è quella che sottostà al percorso che svilupperemo qui. Anziché ricostruire cronologicamente il lungo e complesso corpus di opere che Herzog ha disseminato nel corso di quasi sessanta anni di attività, il testo lavorerà su dei concetti che provengono dalle ricerche di Warburg, ma che, proprio attraverso Herzog possono essere ripensati cinematograficamente.

Lo sviluppo del progetto di questo libro non sarebbe stato possibile senza i mesi preziosi passati presso il Warburg Institute di Londra (settembre-novembre 2019), dove ho potuto attingere a parte del ricchissimo materiale della biblioteca, ancora oggi strutturata secondo il progetto del suo fondatore. La biblioteca è infatti articolata in quattro piani (più un seminterrato, che contiene riviste e l’archivio Warburg). Ogni piano è dedicato ad una parola chiave: Immagine, Parola, Orientamento e Azione, che costituiscono le principali divisioni della Biblioteca dell’Istituto e che racchiudono il suo scopo: studiare la tenacia dei simboli e delle immagini nell’arte e nell’architettura europea (Immagine, primo piano); la persistenza di motivi e forme nelle lingue e nelle letterature occidentali (Parola, secondo piano); la graduale transizione, nel pensiero occidentale, dalle credenze magiche alla religione, alla scienza e alla filosofia (Orientamento, terzo e quarto piano) e la sopravvivenza e trasformazione di antichi modelli nei costumi sociali e nelle istituzioni politiche (Azione, quarto piano). La catalogazione dei libri segue quella che Warburg stesso chiamava la «regola del buon vicinato». Un codice non corrisponde ad un solo testo, ma accomuna più libri. Chi ricerca un testo ne incontra sempre anche altri, che sono appunto vicini, legati tra loro da connessioni spesso non convenzionali.

Il criterio di catalogazione segue dunque un criterio che è anche un metodo di ricerca: quello che lavora per accostamenti inediti, per letture incrociate, montaggi concettuali e visivi, derive e digressioni. Si tratta di un criterio che non può prevedere in anticipo quali percorsi si apriranno, quali immagini entreranno in rapporto. È questo il metodo che abbiamo utilizzato in questo libro, il cui obiettivo è quello di porre una serie di domande sul cinema e sull’immagine attraverso il confronto continuo tra il cinema di Herzog e i concetti di Warburg. I vari capitoli del testo sono come i piani della biblioteca londinese: spazi dove immagini e concetti si ritrovano insieme, con l’obiettivo di aprire uno spazio per il pensiero. È l’apertura di un percorso, che naturalmente va oltre i personaggi di questo particolare romanzo, perché in un itinerario come questo si tratta sempre di sviluppare la questione che lo sottende: interrogare il cinema contemporaneo a partire dalla sua capacità di essere un cinema dell’anacronismo.

Riferimenti bibliografici
M. Herzog, Annapurna. Il primo 8000, Garzanti, Milano 2016.
W. Herzog, P. Cronin, Incontri alla fine del mondo. Conversazioni su cinema e vita, a cura di F. Cattaneo, Minimum Fax, Roma 2014.

Daniele Dottorini, Werner Herzog. L’anacronismo delle immagini, Pellegrini Editore, Cosenza 2022.

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