C’è ancora spazio, c’è ancora tempo per il “cristallo” oggi, per le sue sfaccettature, la sua profondità veggente, come in preda a un rivedersi dentro il fiammeggiare dei propri elementi primevi, nel ronzio costante dei punti costituenti l’immagine, il basso continuo che scandisce i tempi della materia cinematografica. Appare, laconico e vibrante in “Orizzonti” Estrany riu di Jaume Claret Muxart, storia, anzi rapsodia di una famiglia spagnola in gita in Germania seguendo il corso del Danubio, il suo mistero oblungo, tutto acustico, tutto icastico: come un brusio che viene da profondità mitteleuropee, da silenzi ottusi, solitudini refrattarie. La famiglia, padre architetto, madre attrice teatrale e tre figli maschi, procede in bicicletta – salite ripide, lunghi falsopiani, discese rese volatili, lucenti dalla musica, antifona estasiante, sublime di quello che sarà il viaggio – facendo tappa in campeggi e pensioni di fortuna, alla ricerca di luoghi architettonici topici (non certo tipici), apparentemente anonimi, ma che in effetti trasudano plastiche, inferenze tutte iconografiche, qualcosa di simile a quella dialettica che Benjamin rinveniva nelle “rovine”.
Siamo dalla parte di Antonioni, per la centralità che la prossemica, l’architettura ha nel suo cinema: tutto un palinsesto di elementi – case, cimase, colonne, strade – di luoghi espressivi (come attanti cinematografici), anche di eterotopoie che brulicano dando vita al cristallo. Immagini dunque viventi sulla base dell’inorganico in cui i soggetti non sono che parte di un’occulta sinfonia, di un’ontologia plastica, estetica. Ma non solo Antonioni, referente fin troppo abusato, spesso anche frainteso: mi viene da pensare a Serra, Bi Gan, a Weerasethakul, all’estetizzazione delle cose ruvide da parte di una regista come Helena Wittmann, autrice di due “viaggi” essenziali nel panorama del cinema contemporaneo come Drift, ammirato a Venezia nella Settimana della Critica di qualche anno fa, e Human Flower of Flesh, passato a Locarno nel 2022, apoteosi di trasparenze inquiete, ipnotismi, apnee interminabili. E di apnee in questo Estrany riu ce ne sono: apnee proprie – di corpi nudi, diafani, levigati che nuotano nel murmure sordo dell’acqua, sullo sfondo torbido del letto del fiume – e apnee in senso più ampio, dentro l’atmosfera immobile e trepidante dell’immagine, del sonoro, in cui si muove o molto più spesso sta fermo a contemplare le cose, il fiume, se stesso, Dìdac, protagonista del film, per quanto in realtà Muxart sembra decentrare in continuazione lo sguardo della macchina da presa, sembra distrarsi come un bambino o un adolescente (della stessa età di Dìdac) che da una cosa passa all’altra e poi ancora a un’altra perdendosi infine sul fiume, nel sogno dell’immagine, nel sopore della propria immaginazione, incontrando sagome, personaggi o semplicemente inventando fantasmi. È un “dispositivo della distrazione” questo film, anzi della divagazione, Deleuze direbbe deterritorializzazione: isole di senso sul Danubio, di sensi, atmosfere che si susseguono trasudando luce, suoni, musica. In una delle sequenze più belle Dìdac si avvicina a suo padre che suona al pianoforte e insieme eseguono l’Adagio dal concerto in re minore BWV n. 974 di Bach, che era il motivo fondante di quel capolavoro che è Undine di Petzold. E non è detto che Muxart non avesse in mente anche questo archetipo del recente cinema tedesco quando ha messo su il suo film magnificamente divagatorio, tanto da spostare alla fine il suo sguardo, dimenticato Dìdac in amore con i suoi fantasmi, sul suo fratello minore – un altro universo, un altro film potrebbe cominciare a partire da questo volto – su un cielo tutto suonato piuttosto che mostrato.
Estrany riu (Strange river). Regia: Jaume Claret Muxart; sceneggiatura: Jaume Claret Muxart, Meritxell Colell; fotografia: Pablo Paloma; montaggio: Maria Castan de Manuel, Meritxell Colell; musiche: JNika Son; interpreti: Jan Monter, Nausicaa Bonnín, Francesco Wenz, Jordi Oriol, Bernat Solé, Roc Colell; produzione: YZuZú Cinema, Miramemira, Schuldenberg Films; origine: Spagna, Germania; durata: 106’; anno: 2025.