“Keep the vampires from your door / When the chips are down I’ll be around / With my undying, death-defying love for you” cantano i Frankie Goes to Hollywood in The Power of Love, leitmotiv di Estranei di Andrew Haigh. L’amore sfida la morte, la trascende, ha il potere di condurre in una dimensione altra in cui percepire nuove forme di connessione con se stessi e con l’oggetto del sentimento. Perché «se amare significa anche amarsi» allora «essere-con l’altro è una scoperta congiunta a un essere-con se stessi» (De Gaetano 2022, p. 9). Così Adam, protagonista del film, aprendosi all’amore, alla relazione con l’altro, riesce a scoprirsi, a riassemblare i frammenti della propria identità mostrandosi e raccontandosi come mai aveva avuto modo di fare prima. 

In una Londra anonima, il solitario Adam vive in un appartamento di un enorme palazzo deserto, correlativo oggettivo della sua estraneità al reale e al sociale. Un trauma ha segnato la sua esistenza: la morte dei suoi genitori, avvenuta quando era un bambino. Prima che rispetto a qualunque “altro”, il protagonista è un estraneo rispetto alla sua famiglia, cui non ha mai rivelato la sua omosessualità. Affrontare il fantasma della relazione, quindi, non può prescindere da un confronto con gli spettri familiari. È la potenza immaginifica del cinema, in quanto arte costitutivamente fantasmatica (Derrida 2002), a permettere ad Adam, sceneggiatore che sta scrivendo dei suoi genitori, di incontrarne i fantasmi quando si sposta nella sua casa d’infanzia. In questa dimensione allucinatoria, il cui accesso è mediato dal reiterarsi di simbologie metatestuali (specchi, finestre, porte che si fanno schermi cinematografici), la messa in scena rende indecidibile ogni distinzione tra reale e illusorio: le proiezioni del padre e della madre prendono corpo. Così ad Adam è concessa una forma di contatto, di prossimità fisica ed emotiva con i genitori, mediata dalla riappropriazione di un’autonarrazione che culmina nel coming out.

Da bambino il protagonista tentava la fuga da casa per sfuggire allo spettro di un rifiuto; da adulto varca la soglia dell’appartamento in cui si è rinchiuso e torna in quella stessa casa d’infanzia, che si fa «spazio-tra una esteriorizzazione del soggettivo e una interiorizzazione dell’oggettivo» (De Gaetano 2022, p. 66), per affrontare i suoi fantasmi, incarnati nelle immagini dei genitori che restano emanazioni della sua psiche. Adam, in fondo, riesce finalmente a parlare con se stesso. La rifigurazione immaginativa di un dialogo mancato, compiuto attraverso il dispositivo cinematografico, si rivela non solo il medium dell’elaborazione di un lutto, ma anche l’occasione per mettere in scena un confronto generazionale sulla percezione della queerness e le stesse posizioni del protagonista. L’obiettivo è decostruire pre-giudizi (nel senso etimologico del termine) radicati al punto da continuare a contagiare chiunque, senza differenze di epoche, età o orientamenti sessuali.  

Il pregiudizio – dalla presunzione che la sola relazione sentimentale possibile per un individuo sia quella eterosessuale con la finalità di creare una famiglia tradizionale, al considerare l’omosessualità come un incidente di percorso che genera vergogna, fino allo stigma dell’Aids – si scatena all’eclissi dell’empatia e sancisce l’estraneità del soggetto rispetto all’altro. Il dialogo, sia esso verbale o non verbale, immaginato o scritto sulla pagina di una sceneggiatura, in quanto apertura empatica all’altro (e al proprio io), invece, è una forma d’amore, quindi medium di una scoperta. “Ti voglio bene. In qualche modo, anche di più, ora che ti conosco” dice ad Adam suo padre congedandosi dal figlio, che, pronto a salutare i fantasmi dei suoi genitori, raggiunge una forma di catarsi. 

Nella prima scena del film, con una dinamica che si ripete spesso, Adam viene presentato attraverso la sovrimpressione, procedimento che sin dagli albori del cinema ha connotato la rappresentazione dell’allucinazione (Bazin 1999, p.18) e che si contrappone all’assenza di “trucchi” nella messa in scena dei fantasmi dei genitori. Questo rimarca la sua estraneità fantasmatica rispetto al mondo fenomenico in cui vive. Raggiunta la “purificazione” dai suoi spettri interiori, invece, l’immagine del protagonista prende consistenza: la stratificazione di una memoria non metabolizzata, che castrava l’espressione della sua identità, si dissolve. Adam è così libero di esperire un amore romantico con Harry, il suo unico vicino, la relazione con il quale si intreccia al viaggio di rivelazione nel passato, ne è insieme motore e naturale conseguenza.

Anche la relazione sentimentale e carnale dei due diventa occasione per riflettere sulla percezione della queerness e, questa volta, sulle diverse maniere in cui i due ragazzi vivono il pregiudizio sociale. Harry dimostra una decisa autoconsapevolezza, che si esplicita nella disinvoltura con cui discute della sua sessualità e nell’intraprendenza fisica nei confronti del vicino, che evidentemente ad Adam manca. Nonostante questo gli occhi di Harry sono velati da una mestizia provocata da un profondo sentimento di solitudine, legato al rifiuto ricevuto dalla sua famiglia. “Ci sono vampiri alla mia porta” aveva detto ad Adam quando questi si era rifiutato di farlo entrare nel suo appartamento (nella sua vita) durante il loro primo incontro. Un ulteriore rifiuto che lo conduce alla morte: successivamente Adam non intesserà una relazione con Harry, ma con il suo spettro. È il fantasma dell’amore omosessuale, proiezione del desiderio di Adam che non riesce a giungere ad espressione, e, più in generale, il fantasma della relazione (e della solitudine) “incarnatosi” per permettere al protagonista di uscire dalla sua condizione di estraneità al reale.

Se l’incontro con gli spettri familiari si risolve in una catarsi (la loro dissoluzione), la scelta di Adam di restare con il fantasma di Harry, quando ne scopre il cadavere, ne interdice però la possibilità di vivere liberamente l’amore nel mondo “reale”. Nonostante in fase di adattamento, Haigh – anche sceneggiatore del film – trasponga la relazione eterosessuale al centro del romanzo di Taichi Yamada, da cui il film è tratto, in un amore omosessuale, al fine di mettere in discussione i pregiudizi di cui si è detto, proponendo un finale in fondo punitivo ricade nei cliché della rappresentazione invisibilizzante della queerness che continua ad infestare i media. Come se l’amore omosessuale potesse essere vissuto solo nel silenzio assordante di un palazzo vuoto, in cui il sociale, la relazione con l’altro, è interdetto. 

Riferimenti bibliografici
A. Bazin, Che cos’è il cinema?, Garzanti, Milano 1999.
R. De Gaetano, Le immagini dell’amore, Marsilio, Venezia 2022.
J. Derrida, Il cinema e i suoi fantasmi, “Aut Aut”, n. 309, 2002.

Estranei. Regia: Andrew Haigh; sceneggiatura: Andrew Haigh; fotografia: Jamie D. Ramsay; montaggio: Jonathan Alberts; interpreti: Andrew Scott, Paul Mescal, Jamie Bell, Claire Foy, Carter John Grout; produzione: Film4 Productions, TSG Entertainment, Blueprint Pictures; distribuzione: Searchlight Pictures; origine: Regno Unito, Stati Uniti d’America; durata: 105′; anno: 2023.

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