Avatar (Cameron, 2009).

Dai “Cahiers du cinéma” di Bazin e Doniol-Valcroze fino ai casi di Cannes 2017, da Delluc ed Epstein fino a Bastardi senza gloria (2009) di Tarantino: quello che Menarini traccia nel suo ultimo volume è sicuramente un atlante complesso e frastagliato delle varie forme sia della critica che della cinefilia che si sono succedute nel corso della storia del cinema. Nonostante una breve parentesi sulle origini della cinefilia e della critica a livello internazionale, rintracciate nella nozione di cinéphile valorizzata dagli esponenti della Prima Avanguardia Francese, Menarini concentra il proprio sguardo soprattutto sui profondi cambiamenti della critica e della cinefilia in seguito alle grandi trasformazioni tecnologiche ed informatiche dell’era postmoderna.

Dal peer to peer fino alla critica industriale, concernente i discorsi sul blockbuster per antonomasia, Avatar (2009) di Cameron, l’esperienza critica-cinefila ha dovuto rinegoziare continuamente con le novità tecnologiche e con l’iconismo sempre più sfrenato. I social network, i blog, i forum sono divenuti il pendant dei cineclub e delle cinemateche degli anni sessanta; la distanza tra l’esperto e l’amatore, tra il critico e il cinefilo, è divenuta indiscernibile, così come si è assopita la differenza tra il critico cinematografico e quello televisivo in seguito a serie televisive di successo mondiale come The Young Pope (2016) di Sorrentino.

Nondimeno, la creazione di transmedia storytelling, volte ad essere reificate sulle varie piattaforme mediali che oggigiorno dominano il nostro ambiente sociale, non ha portato solamente all’annullamento della distanza tra il critico e il cinefilo, ma anche alla de-istituzionalizzazione della critica, alla perdita della propria autorevolezza in senso istituzionale, «quella che parlava da uno-a-molti (bottom down) secondo la logica dell’erudito nella comunità». Vincolata per sua stessa natura al lettore, e quindi al mercato, la critica cinematografica internazionale ha dovuto adottare strategie di adattamento per ovviare a quella che Menarini definisce la cultura della gamification, promuovendo forme di critica ludica come le stellette, le palline, i voti per rendere il testo filmico il più accessibile possibile al pubblico.

Se da un lato la critica contemporanea ha acquisito importanti modalità di socializzazione culturale, la perdita di autorevolezza istituzionale la colloca quasi all’opposto della più alta espressione di critica cinematografica del Novecento, ossia “gli anni Cahiers” di Bazin (1951-1958), spartiacque ineludibile per qualsiasi critico. Oltre ad un’antologica storicizzazione delle varie espressioni della critica e della cinefilia internazionali, di cui ora tratteremo, Il discorso e lo sguardo presenta anche note recensioni di alcuni dei più celebri critici italiani (Alberto Farassino, Tullio Kezich e Callisto Cosulich) e alcune analisi critiche dello stesso Menarini su tre film importanti degli anni duemila, volte a sottolineare la complessità dell’analisi delle varie matericità del testo filmico sia in ambito accademico, mediante la disciplina dell’analisi del film, che in ambito giornalistico.

Anche se, storicamente, la pratica cinefila vive anche senza la critica, Menarini sottolinea più volte come le due esperienze abbiano sempre e comunque un rapporto di coalescenza, basato, soprattutto, sul fatto che entrambe considerino la visione di un film come l’esperienza intellettuale più alta. Sebbene già negli anni dieci, in alcune riviste francesi, apparisse il termine cinématophile, tocca a Delluc, tra la fine degli anni dieci e la prima parte degli anni venti, meritarsi l’appellativo di primo e vero cinefilo. Oltre a primo cinefilo, Delluc può essere considerato anche il padre della critica, anche se alcuni storici assegnano tale ruolo a Émile Vuillermoz, inventore della forma-recensione moderna. Ma l’incapacità, sia di Delluc che di Vuillermoz, di svincolarsi dall’idea di cinema come mezzo per veicolare idee progressiste dal punto di vista sociale, o utili dal punto di vista morale o religioso, li relega entrambi ad un’idea di critica e di cinefilia in senso classico.

Diversamente, la cinefilia moderna rifiuta tale idea, prevedendo la «liberazione della cultura cinematografica dai vincoli del contenuto, per fondare invece un pantheon di autori a partire dal primato della messa in scena, dunque del gesto cinematografico per eccellenza, lo stile». A partire, soprattutto, dai saggi più polemici di Truffaut, la critica moderna e la cinefilia moderna trovano, per la prima volta, un terreno di coincidenza nel nobilitare la cultura dei film, nell’affiancare gusti fino ad allora considerati antitetici, nell’aprire furiosi dibattiti estetici su singoli film e su singoli cineasti. Grazie ai jeunes turcs dei “Cahiers du cinéma”, l’intero sistema si trasforma: dai cineclub ai festival, dalle riviste alla didattica, dalla conservazione alla programmazione. Dopo la morte di Bazin, però, i “Cahiers du cinéma” entrarono in fibrillazione, soprattutto durante gli anni di direzione di Rohmer. I primi dissapori all’interno della rivista scossero l’intero panorama internazionale, sia critico che cinefilo, sfociando nella nascita della cinefilia militante, contraddistinta da una forte politicizzazione dell’attività critica; in Italia soprattutto “Ombre rosse” di Fofi mescolava l’amore per il western con la militanza politica.

Facendo interagire così fortemente la propria natura con quella delle istanze rivoluzionarie, la cinefilia ha rischiato di tramontare insieme alla fine delle lotte politiche. Le novità provenienti dal sistema televisivo, prima con l’apertura dell’etere alle concessioni private e poi con il lento affermarsi dei sistemi di registrazione e riproduzione domestica (i videoregistratori), mutarono lo scenario. Di fronte alla chiusura di molti cineclub e all’avvento di un nuovo tipo di spettatore, quello casalingo, la critica rimase spiazzata, venendo avvolta da un continuo senso di declino. Con le novità sia informatiche che tecnologiche apportate, innanzitutto, dalla televisione, la critica e la cinefilia iniziarono a trasformarsi incessantemente: dalla cinefilia magnetica degli anni ottanta fino alla seriefilia contemporanea, il panorama si complica vertiginosamente, promuovendo continue modalità sempre più a stretto contatto con la televisione.

Parallelamente alla perdita degli spettatori in sala, negli anni ottanta la critica e la cinefilia conoscono un grande successo, mediante l’esplosione dell’editoria di cinema dovuta alla sensazione che i mutamenti in atto potessero sottrarre radicamento alla cultura cinematografica. In quegli anni fanno la loro comparsa, relativamente al contesto italiano, i primi periodici specializzati di critica cinematografica come “Filmcritica”, le prime riviste specializzate di stampo accademico, le prime riviste che guardano profondamente al cinema di grande consumo, come “Ciak”, altre, invece, con un occhio cinefilo verso la programmazione della sala come “Cinema&Cinema”. Ma, dopo un rapido successo, i periodici specializzati di critica, soprattutto in Italia, entrarono in uno stallo che li attanaglia ancora oggi. L’avvento del digitale si dimostra ancor più rivoluzionario di quello della televisione.

Grazie ad una progressiva circolazione di film e ad una reperibilità non più sottoposta a vincoli spaziali, con a lato il fenomeno della pirateria, la cui deregulation ha segnato il primo decennio degli anni duemila, il mondo della critica e quello della cinefilia cambiano radicalmente ancora. Tra mediafilia e tecnofilia, la critica specializzata e la cinefilia iniziano, quasi obbligatoriamente, a negoziare con il nuovo panorama mediale. Alla crisi della stampa di settore sussegue quella che Menarini definisce cinefilia digitale, contraddistinta, per esempio, dal successo della forma-recensione sul web; dalla restaurazione della critica come pratica di giudizio immediato e misurabile; dalla disseminazione della critica come pratica quotidiana su blog, social, network e social media; dalla nascita di esperienze specifiche dei linguaggi digitali come i video-essay; la presenza sul web di sempre più numerose comunità cinefile, per le quali il primato della sala è ormai un valore superato.

Se pensassimo, però, la cinefilia digitale come l’ultimo stadio delle due pratiche di cui stiamo parlando cadremmo in errore. Come lo stesso Menarini sottolinea, le espressioni dinanzi evocate devono essere considerate come le sedimenta mediante le quali sia la critica che la cinefilia prendono spunto per trasformarsi oggi giorno, perché nell’era postmoderna ed in quella contemporanea, il rinnovo delle due pratiche è stato, ed è, davvero repentino e continuo. Nata negli anni novanta, la cinefilia digitale può essere considerata come un macro-insieme al cui interno si manifestano complessi tracciati cinefili e critici in continua frantumazione, che promuovono interrelazioni quasi indiscernibili con la mediafilia e la seriefilia in primis, così come esiste un evidente rapporto di vicinanza tra pratiche cinefile e approcci semi-legali al web, come streaming-up-to-the-bottom e streaming on demand, da cui è nato il caso Netflix.

Dunque, in seguito ai profondi mutamenti del nostro ambiente mediale, rispetto al passato la critica cinematografica a livello internazionale fa fatica a rifiutare il cinema mainstream, più commerciale, abitato da sempre più ingenti costi di produzione come nel caso dei blockbusters, o degli high-concept, considerati come propri e veri media event in grado di catalizzare l’attenzione di milioni di spettatori non solo cinefili. Volgendo uno sguardo al passato sorgono esplicitamente le differenze tra le varie cinefilie affrontate da Menarini. La critica industriale, che è una delle varie rappresentazioni della cinefilia digitale, sarebbe stata rifiutata a prescindere dai giovani critici dei “Cahiers du cinéma”, concentrati a rifiutare categoricamente la cultura ufficiale in senso lato. Così come sembra essersi smarrita l’idea di cinefilia come etica delle immagini, di cui Daney rimane il ciné-fils più rappresentativo.

Oltre alle varie differenze, Menarini mette in luce anche le affinità tra la cinefilia digitale e quella moderna, come per esempio la capacità di destabilizzare festival cinematografici, come è avvenuto lo scorso anno a Cannes con in casi di Netflix, di cui ancora si parla, Il mio Godard (2017) di Hazanavicius e Sicilian Ghost Story (2017) di Grassadonia e Piazza. Mentre il film di Hazanavicius mette in gioco lo stesso concetto di cinefilia rappresentando un periodo della vita di uno dei registi più cinefili della storia del cinema come Jean-Luc Godard, poiché nella critica di ispirazione cinefila in gioco non è mai il singolo film «ma il sintomo di una più generale idea di cinema», il film di Grassadonia e Piazza è quello che ha suscitato il maggior numero di reazioni negative a livello internazionale rappresentando un fatto realmente accaduto (il rapimento e la morte del figlio del mafioso Di Matteo) mediante un linguaggio anti-realistico, mettendo in discussione uno dei più importanti concetti di giudizio critico, il narcisismo autoriale.

Riferimenti bibliografici
R. Menarini, Il discorso e lo sguardo. Forme della critica e pratiche della cinefilia, Diabasis, Parma 2018.
L. Venzi, Nouvelle Vague. Forme, motivi, questioni, Fondazione Ente dello Spettacolo, Roma 2011.
S. Daney, Lo sguardo ostinato. Riflessioni di un cinefilo, Il Castoro, Milano 1995.

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