Dan Savio, chi era costui? L’ennesimo Carneade della musica applicata, destinato a non comparire nelle storie della musica occidentale, né tantomeno in un monumento cinematografico. Ma figurarsi: in Italia i documentari dedicati ai musicisti (classici o pop) sono in genere fatti postumi da registi poco noti; mentre in America un autore come Martin Scorsese realizza No direction home nel 2005, quando Bob Dylan è ancora in piena attività. Ci sono state delle miniserie su Modugno e su De André, ma il carattere di fiction televisiva non sembra monumentalizzare i personaggi, semmai ridurli a una dimensione “biopica” che minimizza e provincializza i meriti artistici e la dimensione sovralocale. L’unico italiano di valore internazionale sembra essere stato Pavarotti, non a caso protagonista di un film americano diretto da Ron Howard; eppure, quel Dan Savio

Se a Mahmood, con la sua trovata di battere le mani nel brano Soldi, è riuscito di far cantare la sua canzone a Nanni Moretti, allo sconosciuto Dan Savio riesce qualcosa di più clamoroso nel 1964: far fischiettare la sua colonna sonora a tutti gli spettatori del western di Bob Robertson Per un pugno di dollari. Il 45 giri viene pubblicato dalla RCA a furor di popolo, che però leggendo la cover scopre la sconcertante verità: l’americano Dan Savio è in realtà il romanissimo Ennio Morricone (diplomato al conservatorio di Santa Cecilia), l’americano Bob Robertson è il suo compagno delle elementari Sergio Leone, e solo Clint Eastwood si chiama davvero Clint Eastwood. E siccome questo Morricone (classe 1928) è anche l’arrangiatore ufficiale della RCA, l’Italia gli deve il sound degli anni Sessanta: Sapore di sale (sempre nel fatidico ’64), Il mondo, Pinne fucile ed occhiali imprimono il suo marchio di fabbrica nella memoria collettiva, nel sentimento di un’epoca. Quando Bong Joon-ho inserisce dentro Parasite la canzone di Gianni Morandi In ginocchio da te, sta omaggiando non solo l’interprete ma anche l’autore della musica, che è poi l’autore della colonna sonora del relativo film (sempre nel fatidico 1964). Insomma, Morricone ha inventato contemporaneamente lo spaghetti western e il musicarello: generi a basso costo, eppure prodotti da esportazione, alfieri vernacolari del made in Italy.

Giuseppe Tornatore è dunque il primo a riempire un vuoto filmografico tutto italiano; e se a Peter Jackson servono otto ore per mostrarci l’ultima session dei Beatles, a lui ne bastano meno di tre per riassumere 92 anni di una vita in cui stanno dentro non solo un centinaio di composizioni di musica colta ma anche più di 500 colonne sonore tra film e serie tv, fra cui una sessantina di film vincitori di premi, e un totale approssimativo di settanta milioni di dischi venduti nel mondo. Una consacrazione che è anche un’autoconsacrazione, visto che molti film di Tornatore hanno le musiche di Morricone, a cominciare dal premio Oscar Nuovo Cinema Paradiso. In un documentario così veloce molti argomenti sono solo accennati, ad esempio la religiosità (c’è una collana della Piemme dedicata ai libri della Bibbia in cui compaiono i Salmi «scelti e letti da Ennio Morricone») e la passione per gli scacchi (una cosa in comune con Kubrick, che lo voleva per Arancia meccanica); alcuni argomenti non diventano domande esplicite, ad esempio l’orientamento politico (una curiosità legittima, visto che Morricone ha composto la marcia rivoluzionaria di Allonsanfàn, quella di Queimada ripresa da I Cannibali, nonché i brani di Sacco e Vanzetti cantati da Joan Baez); e aleggiano nomi che sembrano provenire da un universo musicale parallelo, tipo Petrassi e Cage.

 

Nel 1959 il compositore americano John Cage, un allievo di Schönberg già noto (in un ambito specialistico ma internazionale) per le sue composizioni al “piano preparato” e per la partitura vuota di 4’33”, si presenta al quiz di Mike Bongiorno Lascia o raddoppia? come esperto di funghi: i telespettatori italiani assistono allibiti a una performance musicale d’avanguardia, priva di strumenti tradizionali e priva di melodie. Ma nel 1958 Ennio – assieme all’amico Franco Evangelisti, che poi lo tirerà dentro al gruppo Nuova Consonanza – era stato a Darmstadt, la città tedesca sede dal 1946 dei “Corsi estivi di composizione per la Nuova Musica” (in quel periodo molto influenzati da Pierre Boulez), e aveva assistito ad una performance di Cage; l’immediata reazione ironica si trasforma inconsciamente in una riflessione sul valore del silenzio e dei rumori, sicché dopo abbiamo la sirena della polizia di Marsiglia che si trasforma nella linea musicale di Se telefonando (canzone per Mina su testo di Maurizio Costanzo), il rumore di latta che rotola nell’arrangiamento del brano di Gianni Meccia Il barattolo, e anche l’incipit rumoristico di C’era una volta il West. L’avanguardia viene metabolizzata e restituita a nuova fruibilità, un po’ nello stesso periodo degli ultimi Beatles e dei primi Pink Floyd (quelli di Pow R. Toc H., da leggere “Power to Cage”).

Goffredo Petrassi (1904-2003), maestro di Morricone e anche di Boris Porena (che è uno degli intervistati del film di Tornatore), era un fondamentalista della musica colta ma non disdegnò il teatro musicale e neppure la musica da film (sebbene scritta con la mano sinistra, ovvero per far soldi): le sue colonne sonore vanno da Riso amaro (De Santis 1949) a Cronaca familiare (Zurlini 1962, storia di un complicato legame tra due fratelli); ma questa prostituzione all’industria culturale finisce con l’esperienza mortificante di La Bibbia, il kolossal di De Laurentiis per il quale Petrassi scrive una partitura che viene rifiutata dal regista John Huston. Morricone rivela a Tornatore che De Laurentiis contattò poi lui, ma anche la sua proposta viene scartata; maestro e allievo uniti nell’umiliazione della bocciatura, ma con reazioni opposte (Petrassi smette sdegnosamente, Morricone prosegue come un vero professionista free lance, fra l’altro lavorando con Zurlini per Il deserto dei Tartari). Ecco spiegato il mistero Dan Savio: a Morricone serve uno pseudonimo per non far sapere al suo maestro di essersi prostituito alla musica “applicata” o “funzionale”, di non aver mantenuto la fedeltà alla musica “pura” o “assoluta”.

Morricone fa rima con Leone e tutti e due fanno rima con “citazione”. Da Bruce Springsteen ai Metallica, il mondo del rock si appropria dei passaggi famosi e li utilizza come segnali d’intesa con un pubblico transgenerazionale e transmediale. Nanni Moretti, nell’episodio cineturistico di Caro diario, infila un sindaco che immagina di rivitalizzare le isole Eolie affidando il soundscape al maestro Morricone: “Sciòn sciòn” canta il sindaco, citando il brano di Giù la testa costruito sul nome Sean. Ma poi, in fondo, molti dei registi hollywoodiani che si dichiarano fan – nel documentario ascoltiamo Oliver Stone ma si riferisce anche di Brian De Palma e altri – quello che chiedono è una ripetizione del noto, è un Morricone che faccia il Morricone, ovvero rifaccia se stesso trasformandosi in cliché; e il loro idolo puntualmente li delude, pretendendo da se stesso più di quello che pretendono i registi. Se citazione c’è, è citazione colta: il compositore svela qua e là i suoi riferimenti, uno spettro sonoro che si estende da Palestrina a Bach fino a Stravinskij e alla musica atonale e concreta. E, svelando, si svela – attraverso il suo corpo, attraverso il suo volto, la grana della voce (che a volte si arresta sulla soglia del pianto).

Ennio Morricone è un uomo di polso: la musica è una sostanza che esce dalla mano che impugna una matita, dalla mano che impugna la bacchetta; per questo il film si apre con gli esercizi ginnici del vecchio maestro sul tappeto, dove quello che più conta è l’allenamento delle mani e delle braccia, l’agilità delle dita che servono a scrivere note e a dirigere. Ma prima ancora il film si apre con l’inquadratura di un metronomo, simbolo del ritmo, del tempo: perché la vita di un artista ha una sua metrica, un suo sviluppo e anche una conclusione che va oltre la morte. La vita del nostro è una storia a lieto fine ma anche una storia non ancora a lieto fine, visto che la posta in gioco è né più né meno che l’immortalità: Petrassi è già entrato nel canone occidentale, Dan Savio non ci entrerà mai; e Morricone? Forse l’eternità è un ritornello: sciòn sciòn sciòn…

 

Riferimenti bibliografici
L. Di Nino, Ennio Morricone. Un ritratto, Arcana, Roma 2021.
M. Dragone, Pura musica, pura visione. Ennio Morricone & Giuseppe Tornatore, Pellegrini, Cosenza 2013.
E. Morricone, A. De Rosa, Inseguendo quel suono, Mondadori, Milano 2016.
Id., S. Miceli, Composing for the cinema, Scarecrow Press, Maryland 2013.
Id., G. Tornatore, Ennio un maestro, Harper Collins, Milano 2018.

Ennio. Regia: Giuseppe Tornatore; sceneggiatura: Giuseppe Tornatore; fotografia: Giancarlo Leggeri, Fabio Zamarion; musiche: Ennio Morricone; interpreti: Giuseppe Tornatore, Ennio Morricone, Carlo Verdone, Clint Eastwood, Quentin Tarantino, Oliver Stone, Bruce Springsteen, Hans Zimmer, Barry Levinson, Dario Argento, Bernardo Bertolucci, Quincy Jones, Lina Wertmüller, Marco Bellocchio, Vittorio Taviani, Zucchero Fornaciari, Laura Pausini, John Williams, Enzo G. Castellari; produzione: Piano B Produzioni; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia, Belgio, Paesi Bassi, Giappone; anno: 2021; durata: 152′.

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