Il punto di riferimento, la donna e l’attrice, l’innovatrice (sia nell’arte che nella concezione del femminile), la presenza e l’assenza, e il mito che nasce su quell’assenza: un mito, quello di Eleonora Duse, da esplorare, da ricercare, per sentirlo più vicino, per conoscerlo o riconoscerlo, come in quella foto che forse la rappresenta o forse no. La più grande, la divina: quel mito sfuggente, dunque, solo delineato nei ritratti o da frammenti dell’unico film che girò, Cenere (Febo Mari, 1916), in cui peraltro ricercava l’ombra e non il primo piano. E testimonianze lontane, tanto da poter essere raramente fermate in una videointervista. La ricerca diviene, quindi, legata a due aspetti: il corpo attoriale – che domina la scena con la sua forza, con i gesti, il volto, lo sguardo -, descritto da ciò che emerge da un disegno, da una foto, o da come viene percepito da chi la guarda; ma anche la parola, elemento che lei seppe esaltare e altro strumento con cui riusciva ad esprimere se stessa, come nelle sue amate lettere.
Parole che diventano immagine, per raccontarla: così Sonia Bergamasco tenta di fissare i contorni della più grande attrice di tutti i tempi nel suo documentario Duse – The Greatest. Un’indagine profonda, appassionata, che nasce dal suo grande amore per questa figura: renderla reale, senza scalfirne l’aura, ma più che altro conoscerla, anche se la si sente da sempre vicina. La Duse che ognuno ha creato dentro di sé, come punto di riferimento, emerge in questo viaggio tra Italia, Francia e Stati Uniti, per recuperare testi, documenti, foto, testimonianze. Per cercare di definirla, di afferrarla, di interpretarla anche, o quantomeno – come fanno le quattro attrici, Federica Fracassi, Elena Bucci, Caterina Sanvi e Federica Basile che, insieme alla stessa Bergamasco, sviscerano la sua forza scenica – evocarne gesti, tecnica, profondità di pensiero. Tentando di comprendere quanto sia ancora viva la sua influenza, quanto ricada nell’arte attoriale contemporanea.
Immagini per illuminare le parole e delineare una figura complessa: è il percorso che Bergamasco sceglie, non strettamente dettato dalla cronologia o dalla tematizzazione, alla scoperta di Eleonora Duse. Frammenti reali di Cenere si alternano a filmati d’epoca, scegliendo anche immagini non legate alla sua storia ma esplicative di un mondo, di sentimenti, di concetti; le foto si dissolvono nel reale, le voci degli intervistati sfumano nel rumore di altre pellicole, di altri ricordi; le frasi di oggi in quelle di ieri, dei racconti di chi ebbe la fortuna di vederla in scena, conoscerla o in quelli di chi conobbe qualcuno a lei vicino.
Un procedere per assonanze, per suggestioni, per particolari, per parole e per sguardi: come quelli della Duse, con la sua presenza scenica, con la gestualità analizzata dagli studiosi (tra cui Mirella Schino, autrice di saggi sulla Divina e sulla “rivoluzione teatrale” da lei realizzata), così come i racconti sulla sua voce, per carpire il segreto di una recitazione che rompeva totalmente con il passato, introducendo nella tradizione una verità interpretativa fino a quel momento sconosciuta. Ma la Duse rompeva gli schemi anche con il suo essere, con il saper fare emergere, da ruoli scritti dagli uomini, un nuovo femminile. Ed essendo, appunto, innovatrice, facendo sì che le donne che assistevano ai suoi spettacoli uscissero profondamente cambiate, consapevoli di poter mutare la propria vita. Grandezza che sta anche nel saper cogliere le conflittualità sociali e capire che in teatro ciò può essere espresso meglio che in qualunque altra forma.
Bergamasco utilizza, dunque, il mezzo cinematografico – dalla Duse amato nella sua essenza, compreso nella sua pienezza e, forse proprio per questo, come evidenzia Emiliano Morreale nel documentario, temuto – per costruire questo sogno personale, concretizzarlo, condividendolo e coinvolgendo lo spettatore, rivelando particolari, gesti, storie, fatti, foto, parole. E la misura del coinvolgimento la restituisce, sul finale, l’intervista ad un altro mito, Ellen Burstyn, che mostra la sua collezione di cimeli appartenuti ad Eleonora Duse: non un memorabilia, ma, appunto, una condivisione di sogni ed essenze. Come quell’anello che Burstyn ha sempre indossato in scena. Un filo sottile, come il lungo capello bianco che spunta da un fermaglio e che, chissà, forse era della divina, o forse no. Ma non importa: la Duse ha ricreato ancora una volta quella magia, con pochi, impercettibili tocchi.
Riferimenti bibliografici
M. Schino, Eleonora Duse. Storia e immagini di una rivoluzione teatrale, Carocci, Roma 2023.
Duse – The Greatest. Regia: Sonia Bergamasco; sceneggiatura: Mariapaola Pierini e Sonia Bergamasco; fotografia: Cristiano Di Nicola e Lorenzo Squarcia; montaggio: Federico Palmerini, Diego Bellante; interpreti: Annamaria Andreoli, Sonia Bergamasco, Valeria Bruni Tedeschi, Elena Bucci, Ellen Burstyn, Helen Mirren, Emiliano Morreale; produzione: Propaganda Italia, Quoiat Films, Luce Cinecittà, Rai Cinema; distribuzione: Luce Cinecittà; origine: Italia; durata: 98’; anno: 2025.