Black Mirror è una serie antologica. Non sono possibili gli spoiler, non ci sono personaggi ricorrenti, e non si presta bene al binge watching, dato che ogni episodio prevede una storia a sé, oltre che un carico emotivo non indifferente. Lo spettatore può scegliere quale vedere “come da una scatola di cioccolatini”, ha detto e ribadito Charlie Brooker, il creatore dello show. Qual è allora il collante tra gli episodi? Si tratta di un’importante questione, che sorge ogni qualvolta un protocollo narrativo standard (come un protagonista) cede il posto a un legame tematico. Resta solo da determinare il criterio dell’aggregato, che non sia quello della consequenzialità. Problema simile all’organizzazione di una collana editoriale o di quelle mostre d’arte che abbandonano i vincoli cronologici: casi in cui è richiesta una curatela. E che, al posto di una grande narrazione, rivelano una progettualità epistemologica dove l’orizzonte tematico, anche se ancora nebuloso, sorge grazie a una forma paratattica ordinata (più un catalogo, che una storia). Anche se minoritaria nel panorama produttivo di provenienza, questa tendenza non è certo nuova: in molti hanno paragonato Black Mirror a Ai confini della realtà, prodotto televisivo anch’esso antologico.

Il tema di Black Mirror, dunque. A tentare di metterlo a fuoco con più precisione c’è un libro, I riflessi di Black Mirror. Glossario su immaginari, culture e media della società digitale, a cura di Mario Tirino e Antonio Tramontana (Rogas Edizioni, 2018). Trattasi di riflessi già nella forma, perché il libro in questione partecipa dello stesso criterio antologico, declinato in modo enciclopedico. I saggi qui raccolti, infatti, si presentano ognuno sotto il titolo di un lemma significativo per la serie, ordinati alfabeticamente da “Algoritmo” a “Zootecnica”. Già questo fornisce un indizio su una delle tematiche più importanti di Black Mirror: la tendenza a classificare e ordinare, secondo criteri non umanistici, che ha da decenni minato il campo delle narrazioni lunghe, e i cui effetti, amplificati dal digitale, si manifestano in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Così come le voci contenute ne I riflessi di Black Mirror forniscono diverse porte d’accesso ai temi sollevati dalla serie, gli episodi di Black Mirror forniscono diverse entrate per il suo mondo (un mondo che non è per forza coeso narrativamente, ma questo è un problema solo per il fandom). Come tante entries di un database che rimandano a uno stesso tag, la parola chiave.

Di nuovo, qual è questa parola chiave? I curatori ne forniscono almeno due nell’introduzione, la tecnica e l’immaginario. I gesti tecnici dell’uomo dipendono sì dall’immaginazione, ma emergono dall’immaginario, il sostrato storico e culturale dell’uomo. È interessante, notano, che gesti nati in differenti epoche coesistano tranquillamente, anche se prodotti da immaginari diversi. Come l’appendere un quadro al chiodo o lo scorrere del dito su Instagram. Ma la tecnologia ha un’importanza decisiva: c’è da pensare che il tema di Black Mirror sia proprio il digitale, inteso come principio di riorganizzazione delle tecniche (dunque dei gesti) sotto il segno della convergenza. Il momento in cui le azioni quotidiane si riconfigurano tramite l’immaginario digitale, ecco il punto ideale da cui nascono le vicende dei singoli episodi; quando il disaccordo sul nuovo statuto della realtà produce immagini della catastrofe. Ed ecco perché i curatori parlano di “sociologia dell’immaginario”.

L’immaginario è così importante che lo specchio a cui allude Black Mirror, più che allo stato della tecnologia, sembrerebbe rimandare al nostro modo di vederla. Lo specchio nero, sulla cui metafora la prefazione fa una breve panoramica, non solo indica lo schermo, luogo di materializzazione dell’immaginario, ma anche la ribellione e il guasto: sì, perché si tratta di uno specchio rotto quello che apre ogni episodio. La distopia funziona un po’ come quei sogni d’angoscia di cui parla Freud, volti a creare una protezione a uno choc subìto. Dal libro emerge che l’estetizzazione degli effetti nefasti del digitale, in Black Mirror, è un monito rivolto a noi, a segnalare che il caos è sempre alle porte. Per questo la serie è futuristica solo in apparenza, perché troppo pericolosamente vicina al presente. Non a caso le interazioni con i fan, che avvengono sulle stesse piattaforme e apparati che vengono esasperati nella serie, sono importantissime. Basti pensare alle teorie e ai pitch (le proposte per episodi futuri) degli spettatori, oppure all’ironia dell’account ufficiale su Twitter, agli esperimenti di branding di Netflix. Fino ad arrivare all’episodio interattivo Bandersnatch.

Secondo i curatori del libro, Black Mirror rappresenta soprattutto due tipi di tecnologie, quelle del corpo e quelle che manipolano lo spaziotempo. Ma emergono, nei saggi raccolti, zone ibride, come la memoria. Ad esempio in San Junipero, la puntata più citata nel libro, la tecnologia della memoria fa da contenitore alle altre due tipologie: sia la sopravvivenza della mente al corpo, sia il mondo virtuale che la ospita, sono resi possibili da un enorme archivio digitale. Ma è chiaro che tutti gli episodi si concentrano meno sulle potenzialità propriamente tecnologiche e più sulle distopie derivate da alcuni usi socialmente diffusi. La pervasività del rating, la digital death (la persistenza socialmediale di un morto), la gestione spettacolare della politica, la privacy, sono alcuni dei temi attualissimi e che hanno impressionato di più gli spettatori (basti pensare alla coincidenza del sistema rappresentato in Nosedive con il Social Credit System cinese – soprattutto a livello di immaginario – il quale si rende ogni giorno più reale).

Infine, come non mancano di far notare alcuni interventi, c’è in Black Mirror un certo grado di moralismo nella rappresentazione della tecnologia. Ciò si potrebbe ascrivere al fatto che ci sia stata una certa attenzione a creare storie coinvolgenti, basate sul tema, in fondo classico, dell’autenticità; e meno sull’effettiva situazione contemporanea. L’approccio etico di Black Mirror finisce spesso per riprendere i vecchi temi della teoria critica: il torpore degli spettatori, la spettacolarizzazione della ribellione, l’illusorietà dell’immagine. Non ci si aspetti dunque dalla serie chissà quali nuove verità sui problemi che pure richiama, dai grandi cambiamenti della comunicazione politica alla società del controllo, dalla memoria digitale agli interrogativi etici prodotti dalle biotecnologie. Ma un impatto sul presente lo ha, sull’immaginario appunto. Sono troppi i casi in cui, parlando di nuove tecnologie in genere – sui titoli dei giornali, nei libri, sui social, alle conferenze, ovunque – si rende quasi obbligato il paragone (che testimonia piuttosto della stabile espansione del regno dell’entertainment), tramite il mantra “sembra Black Mirror”: ecco dunque, in uno strano gioco di specchi, il riflesso di Black Mirror.

Riferimenti bibliografici
M. Tirino, A. Tramontana, I riflessi di “Black Mirror”. Glossario su immagini, culture e media della società digitale, Rogas edizioni, Roma 2018. 

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