«Ovunque ci sia un infelice, Dio manda un cane», è la frase del poeta francese Alphonse de Lamartine che apre Dogman di Luc Besson. Siamo dentro a quello che è il tema centrale del film, elaborato in forma intensamente favolistica: l’infelicità umana e la possibilità che la presenza di un cane la lenisca.
In piena notte la polizia ferma un furgone carico di cani randagi, guidato da un uomo in sedia a rotelle, confuso e ferito, travestito da Marilyn Monroe. Per capirne meglio l’identità e comprendere cosa sia accaduto, viene chiamata una psichiatra – Evelyn –, che riesce ad instaurare un rapporto con lui. Comincia così un lungo colloquio tra i due dal quale emerge, in flashback, la storia di una vita.
Il ragazzo fermato si chiama Douglas, abbreviato Doug (dal suono simile a “dog”), la sua infanzia è segnata da brutalità e maltrattamenti che lo costringono sulla sedia a rotelle e poi in casa famiglia dove, grazie a una giovane educatrice illuminata ed entusiasta, scopre la bellezza della lettura e del teatro, in particolare di Shakespeare. Non avendo qualcuno che gli dia attenzioni o affetto, “un bambino prende l’affetto che trova”, e l’unico affetto che Douglas trova è quello dei suoi cani, con i quali riesce a comunicare e interagire come se fossero “i suoi bambini”. I cani capaci di coraggio senza superbia, di ferocia senza crudeltà, per lui “hanno soltanto un difetto: si fidano degli umani”.
Una volta adulto, Doug ha difficoltà a trovare lavoro, ma riesce ad ottiene un ingaggio per una volta alla settimana, in un teatro che fa spettacoli di Drag queen. “Se puoi recitare Shakespeare puoi recitare qualsiasi cosa” le aveva detto la sua insegnante. L’esperienza del palcoscenico gli regala gioia e vitalità e la forza di resistere in piedi sulle sue gambe, senza sedia a rotelle, per l’intera durata della sua esibizione. “Mi sono sempre piaciuti i travestimenti. È questo che fai se non sai bene chi sei, giusto? Ti travesti, ti inventi un passato, dimentichi il tuo”.
Così Douglas, travestito da Marlene Dietrich canta Lili Marleen, o si esibisce in playback nelle vesti di Édith Piaf, e Marilyn Monroe, creature devastate, come lui, nell’anima e nel corpo. Nonostante il suo animo sia fondamentalmente gentile, Douglas è capace di violente vendette, che riesce a compiere con l’aiuto dei suoi cani, in grado di capire ogni cosa che egli dica e di compiere meticolosamente azioni precise, come in una favola disneyana. Cercando di vendicarsi di ingiustizie e soprusi subiti, si scontra con una pericolosa gang di criminali generando una carneficina: “cane mangia cane”. L’incontro tra Douglas e Evelyn – con qualche rimando a Il silenzio degli innocenti – è l’incontro tra due persone che trovano nel dolore un punto di intimo e profondo contatto, che conduce ognuno dei due a riflettere sulla propria vita.
Il grande punto di forza dell’intero film è sicuramente l’interpretazione di Caleb Landry Jones che offre una notevolissima prova attoriale, ricca di sfumature, tra innocenza, crudeltà, tristezza, remissività, gentilezza e disperazione, mai sovraccarica e spesso struggente. Apparentemente un mix tra Joker di Todd Phillips e La carica dei cento e uno, Dogman è in realtà una parabola di dolore e desolazione declinata alla maniera di Luc Besson, in cui, sotto una cifra rocambolesca e roboante, si mette in scena un ennesimo protagonista antieroico, animato non tanto dal mito di vendetta, ma dal disperato desiderio di amore, dal bisogno di trovare un posto nel mondo. E quel posto, in questo caso, è in mezzo ai cani.
Douglas è un drop out, un rifiuto della società :“Il mondo reale non ha fatto altro che rispingermi”. La cinofilia non assume il taglio di un convenzionale animalismo ma i cani rappresentano semplicemente degli esseri viventi capaci di quell’amore salvifico in grado di curare il dolore della vita. I cani come compagni inseparabili, capaci addirittura di salvare la vita. Cosi il cinema ci ha già raccontato che un uomo reietto, escluso e diseredato dal mondo può inaspettatamente trovare salvezza e nuova vita semplicemente grazie a un cane, come accade nello straordinario finale di Umberto D.
Besson costruisce una sorta di favola nera in cui azione, thriller, horror, elementi fumettistici, si mescolano e si alternano in modo pirotecnico e spettacolare, a tratti kitsch, intorno a questo antieroe malinconico, solo contro il mondo, come Nikita e Leon.
Nonostante lo spunto della storia provenga da un fatto di cronaca (un bambino francese tenuto in gabbia dai genitori), il film evita l’ approfondimento sociale, tranne una battuta sull’idea di “ridistribuzione della ricchezza” (che alcuni chiamano “furto”), e dunque ingiustizia ed emarginazione sono sofferenze vissute come stigma individuale, lasciando emergere il ritratto di un’umanità diseredata, in cerca di salvezza attraverso la lettura, il teatro, Shakespeare, il travestimento e l’amore incondizionato dei cani.
Dogman. Regia: Luc Besson; sceneggiatura: Luc Besson; fotografia: Colin Wandersman; montaggio: Julien Rey; interpreti: Caleb Landry Jones, Jojo T. Gibbs, Christopher Denham, Clemens Schick; produzione: LBP, EuropaCorp, TF1 Films Production; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia; durata: 114′; anno: 2023.