Chi è Leonardo? Dove dovrebbe essere? Quando vorrebbe essere? Un “io”, che si pretende saldo e centrato, erra in un limbo di contraddizioni e malinconia. È quello di un pastore la cui Asia, generica e sfuggente come nei versi di Leopardi, è lo spazio-tempo emotivo della fine dell’adolescenza. Il suo Canto notturno, invece, è Diciannove (2024), il film d’esordio, dalla matrice dichiaratamente autobiografica, di Giovanni Tortorici che in Leonardo, suo alter-ego – come il pastore per il poeta –, si specchia, mentre questi si commuove leggendo il recanatese.

Leonardo, diciannovenne palermitano, si trasferisce a Londra per studiare Economia, ma presto si sposta a Siena  per seguire la sua vera passione: la letteratura. Forze opposte modificano il moto dell’io del protagonista rispetto ad un hic et nunc di cui sembra non riuscire a godere pienamente. Mentre vaga tra le città che visita, si immerge nei luoghi attraverso uno sguardo insieme famelico e disorientato, mediato dagli zoom improvvisi o dai tagli di montaggio repentini, a sottolineare la corrispondenza del punto di vista di autore e personaggio. In questo senso Tortorici pare recuperare la lezione di quel Pasolini tanto disdegnato da Leonardo

All’immersione nei luoghi, però, si contrappone una fuga costante dal sociale. Leonardo fugge dalla madre, troppo apprensiva, dalle nuove coinquiline senesi, con cui non vuole (o non riesce) instaurare alcun tipo di rapporto, e dal mondo universitario dei suoi colleghi e docenti. Solo quando torna a Palermo, dai suoi vecchi amici, il protagonista pare capace di far parte della “festa”; quella stessa festa da cui, ancora nel presente delle amicizie londinesi e milanesi, evade, in maniera autodistruttiva attraverso l’alcool, veicolo di una disinibizione che ne cambia letteralmente i connotati. Il tratto che maggiormente connota il ragazzo, infatti, è una profonda inibizione, dettata dalla necessità di una morale che ne guidi le peregrinazioni e che Leonardo cerca nelle parole degli scrittori italiani vissuti prima del Novecento (Dante, Monti, Metastasio). Perchè i novecenteschi “scrivono male”, hanno distrutto la lingua, e il Tommaseo interpreta la Commedia con più acume di un tedioso professore universitario.

Sul finale un intellettuale torinese redarguisce Leonardo che la passione rischia di trasformarsi in fanatismo e questo in “cretineria”. Se allo spettatore, però, non è dato sapere cosa ne sarà delle gabbie che il protagonista si costruisce intorno, e che lo rendono incapace di portare ad espressione il proprio io, in una nuova intercessione tra autore e personaggio, è la forma del film a tentare di trasmettere una verità su quell’io. Nel comporre il suo Canto notturno, infatti, Tortorici affida a falsi raccordi, sguardi in macchina, distorsioni dell’immagine, inserti animati, intertitoli che occupano l’inquadratura, frammentazione episodica l’onere di disarticolare ogni possibile grammatica “classica” di racconto e messa in scena

Come il pastore nella lirica leopardiana nella ricerca di un senso del suo errare si rivolge alla luna, così Diciannove, attraverso gli scarti di cui sopra, costruisce la sua allocuzione allo spettatore. Solo interpellando un “tu”, negoziando il proprio essere con l’esistere di un’alterità, l’io può tentare di riconoscersi nella sua fluidità. È forse questo che potrebbe salvare Leonardo da quell’ipertrofia della pulsione di morte – ancora una “diagnosi” dell’intellettuale torinese – che lo attanaglia. Un “altro” che nel caso di Leonardo potrebbe essere anche uno degli adolescenti del suo stesso sesso da cui il protagonista pare essere attratto. Non è però la storia della scoperta di un orientamento sessuale che Tortorici vuole raccontare, quanto piuttosto un disorientamento generazionale e tipico del tramonto dell’adolescenza. 

Così, più che ogni altro, la luna di Tortorici è lo spettatore che parla come Leonardo (il mimetismo linguistico con il gergo dell’attuale generazione di giovani adulti è tanto riuscito da risultare quasi straniante), si muove, si interroga, si dispera come lui. Che, insomma, ha la stessa età del protagonista o che sa cosa vuol dire avere diciannove anni, dover (o voler) lasciare casa, affacciarsi al mondo degli adulti, mentre l’accidia gioca a dadi con esplosioni incontrollate di vitalità e la malinconia di un passato che non potrà tornare convive con l’angoscia di un futuro che non si riesce neppure ad immaginare.  “Come tu sei fui ancor’io” recita l’epitaffio di una tomba nella Chiesa di Santa Maria della Scala a Firenze, su cui lo sguardo di Leonardo e la macchina da presa del regista si soffermano. Io sono (o sono stato) come te, sembra dirci Leonardo/Giovanni. Io non so chi, dove, quando sono. E tu?

Diciannove. Regia, sceneggiatura: Giovanni Tortorici; fotografia: Massimiliano Kuveiller; montaggio: Marco Costa; interpreti: Manfredi Marini, Vittoria Planeta, Dana Giuliano, Zackari Delmas, Luca Lazzareschi, Sergio Benvenuto; produzione: Frenesy, Pinball London, MeMo Films, Tenderstories, con il contributo del Ministero della Cultura; origine: Italia, Regno Unito; durata: 109’; anno: 2024.

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