Possiamo noi oggi considerare l’immaginazione come un’operazione astrattamente formale? O non sarebbe forse il caso di pensarla, in un’altra prospettiva, come il passaggio che si produce da uno spazio di possibilità virtuali alla loro attuazione come soluzione di problemi? In questo secondo caso l’immaginazione si presenterebbe già da sempre come informata da una téchne che fornirebbe sia il luogo di pertinenza di simili virtualità, sia, nella sua attuazione, il rimodellamento dell’ambiente esperienziale di un individuo strutturalmente all’interno di processi morfogenetici. Vediamo così evaporare la distinzione ilomorfica tra “materia” e “forma”, con l’immaginazione che non sarebbe altro all’infuori della possibilità, per un individuo umano, di mantenere la propria apertura verso un ambiente molteplice, in una sorta di co-implicazione reciproca.

Nel suo ultimo libro, Destini tecnologici dell’immaginazione (Mimesis, 2022), Pietro Montani pare muovere da una prospettiva simile, quando, introducendo il tema dell’immaginazione produttiva in Kant scrive: «“Immaginare” significa molte cose, ma per Kant significa, innanzitutto, interagire con il mondo-ambiente. Si tratta di un’interazione cognitiva, come quando unifichiamo in uno schema coerente un insieme di dati dispersi» (Montani 2022, p. 22). Ma quale sarebbe il carattere di una tale co-implicazione tra l’umano e il mondo-ambiente? Un rapporto, questo, che può essere esplorato a partire da una triade concettuale, la quale pare innervare l’intero argomento di Montani: la rilevanza del material engagement di Malafouris per superare un’impostazione ilomorfica del problema dell’immaginazione; il riconoscimento delle affordances degli oggetti – e degli individui – così da superare l’antropocentrismo senza rinunciare all’antropomorfismo come caso particolare di morfogenesi; l’importanza dello schematismo kantiano al fine di riconoscere il ruolo produttivo e sintetico dell’immaginazione nel suo “libero gioco” con la legalità propria dell’intelletto.

In primo luogo, a proposito del material engagement, Montani afferma una radicale inseparabilità dell’agency umana da quella materiale, il che significa riconoscere una sostanziale pariteticità ai due generi di agentività. È così ipotizzata una co-implicazione del sensorium umano, in ogni sua manifestazione, e della sensibilità propria della materia. L’umano, in questa prospettiva, non è altro che un modo – di qualche tipo – di quella che potremmo chiamare, più in generale, una materia vivente. Quest’ultima, in questa maniera, andrebbe a contrapporsi a una definizione della materia sostanzialmente inerte, incapace di qualsiasi interazione sensibile. Una materia vivente, dunque, quella di Montani, i cui diversi modi di manifestazione, pur non presentando gerarchie di sorta, non possono dirsi equivalenti. Infatti, a caratterizzare in maniera specifica l’umano è certamente – da un certo momento della sua storia evolutiva in avanti – il linguaggio. Questo, nel momento in cui si presenta, ha da ristrutturare logicamente l’esperienza stessa dell’immaginazione, fornendo così una regola per riflettere indiretta o simbolica, e non più immersa direttamente nell’empiria.

In secondo luogo, possiamo riflettere sull’importanza del linguaggio e della dimensione dell’esibizione simbolica proprio a partire dal problema delle affordances. Queste, infatti, non sono altro che spazi di possibilità nella materia stessa, che ci invitano a usarla in certi modi – e non in altri. Ascoltare le affordances di un oggetto, allora, significherà sperimentare le nostre stesse affordances, ossia la maniera in cui i nostri sensi, co-implicati nella materia, nelle varie conformazioni dei corpi, potranno interagire fattivamente. Tuttavia, per Montani le affordances non sono stabilite una volta per tutte, inscritte in una natura data, ma possono esserne sempre individuate o suscitate delle altre che fino ad allora erano sfuggite alle nostre intuizioni sensibili. È in questo quadro che l’avvento del linguaggio – inteso come operazione di esibizione simbolica – modificando le prestazioni dell’immaginazione e sfuggendo al radicamento “diretto” dell’empiria, non fa che suscitare o scoprire in modo nuovo affordences negli oggetti e in noi stessi.

Questo non significa che il linguaggio, di per sé e autonomamente, sia in grado di plasmare il mondo-ambiente; al contrario, in un legame interattivo con il mondo-ambiente, esso, mentre riconosce nel mondo-ambiente nuove possibilità alle quali eravamo prima insensibili, viene a sua volta stimolato al riassemblaggio, riconoscendo ulteriori virtualità all’interno di spazi intensivi. La ristrutturazione operata dal linguaggio diviene così, una volta che questo è sopraggiunto, nientemeno che una prospettiva dalla quale percepire la realtà – una percezione, quella mediata tecnicamente dal linguaggio, per certi versi esorbitante proprio grazie alla capacità che esso ha di riorganizzare e suscitare i molteplici materiali empirici. Montani rileva così un percorso antropomorfico, pur senza essere antropocentrico: l’umano non ha infatti nulla di speciale, ontologicamente, rispetto al resto della materia, pur mantenendo una prospettiva sul mondo nel proprio sviluppo morfogenetico.

In terzo luogo, bisogna infine riconoscere l’importanza attribuita da Montani allo schematismo kantiano, in quanto spazio di gioco tra la funzione euristica dell’immaginazione e quella regolatrice dell’intelletto. All’interno dello schema, alla funzione immaginativa corrisponde così un doppio ruolo: da un lato quello di riconoscere le proprietà salienti delle affordances dei dati empirici, dall’altro quello di stimolare la ricezione delle proprietà virtuali della realtà. L’intelletto ha allora qui il compito di fornire una regola al materiale molteplice raccolto dell’empiria, che sarà tuttavia dell’ordine dell’operare tecnico – e questo è forse il punto – e non del concetto. Se è vero, dunque, che immaginazione e intelletto, nello schematismo, operano a partire da una comune base che Montani definisce tecno-estetica – in quanto la sensibilità umana si esercita comunemente attraverso prolungamenti tecnici del corpo, facendo dell’aisthesis un sentire sintonizzato tecnicamente – allora è possibile ritornare su quei “destini tecnologici dell’immaginazione” che danno il titolo al volume. Infatti, nel discorso di Montani sembra sempre possibile scrivere una storia dell’immaginazione, in quanto questa non è mai data una volta per tutte, come una facoltà essenziale. Al contrario, con Benjamin, l’immaginazione è sempre innervata da medium tecnologici, e per questo, trovandosi di fronte a forme tecniche variate, sempre disponibile ad essere ristrutturata.

È proprio in questo contesto che il ruolo dell’arte diviene rilevante per Montani. Se la sensibilità umana è infatti strutturalmente tecno-estetica, allora è l’arte – intesa in senso ampio, come téchne e non come “scienza del bello” – ad avere la possibilità di forzare, sperimentando, al di là di un qualsiasi determinismo tecnologico, le virtualità sopravvenienti della natura. Allo stesso tempo, è l’arte a permettere di riconoscere l’opacità delle funzioni dei vari dispositivi tecnici in gioco nella dimensione tecno-estetica, mostrando le maniere in cui la sensibilità umana va trasformandosi nel tempo, al di là di qualsiasi pacificata visione di coesistenza multimediale. Infine, proprio in opposizione a una simile conciliazione delle tecnologie, Montani riconosce nell’intermedialità (Cfr. Montani 2022) una modalità attraverso la quale decostruire il potere delle tecnologie dominanti, da una parte, e dall’altra, in maniera riflessiva, una possibilità per liberare la potenza inespressa di quelle stesse tecnologie. Ossia, si tratta in ultima istanza di collegare tecnica e politica, in quanto, in una raffinata teoria della sensibilità, gli artefatti tecnici non possono presentarsi come semplici strumenti da adoperare, ma devono essere considerati come co-evolventesi assieme ai viventi, venendo a creare veri e propri ambienti associati.

Riferimenti bibliografici
P. Montani, L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile, Meltemi, Milano 2022.

Pietro Montani, Destini tecnologici dell’immaginazione, Mimesis, Milano-Udine 2022.

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