Consentitemi di iniziare con un ricordo personale. Leggere Lolita a Teheran, il film tratto dall’omonimo libro della scrittrice iraniana Azar Nafisi, è stato girato a Roma: si riconosce la Città Universitaria, dove sono ambientate le scene all’Università di Teheran. Mi è capitato di passare alla Facoltà di Lettere e Filosofia proprio nei giorni in cui si svolgevano le riprese. Nell’atrio della Facoltà erano appoggiati i manifesti con il ritratto dell’ayatollah Khomeini, fondatore del regime teocratico iraniano e suo capo carismatico. È stata un’esperienza vagamente perturbante: per un attimo Roma è stata Teheran, la città lasciata dai miei nonni subito prima dello scoppio della rivoluzione che portò al potere i religiosi.

Poi, rivedendo quei luoghi così trasformati nel film, ho pensato ai molti studenti iraniani che in questi anni hanno seguito i miei corsi: ragazze e ragazzi che per gli atteggiamenti, i gusti e le mode — le ragazze tutte rigorosamente senza velo — si confondevano con i loro coetanei italiani e di altri paesi. Avevano le stesse aspirazioni, i desideri, le idee e anche le frivolezze dei loro coetanei nel resto del mondo. Nel film quelle aule sono occupate da studentesse e studenti degli anni Ottanta e Novanta: oggi potrebbero essere le madri e i padri dei miei studenti. E vediamo come il regime fa calare la sua azione repressiva su quei luoghi e su quelle persone: imponendo la censura all’insegnamento dei professori, indottrinando gli studenti sedotti dalla sua ideologia, perseguitando, arrestando, torturando e condannando a morte quelli che si ribellano.

Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi è stato un bestseller internazionale ed è diventato, insieme a Persepolis di Marjane Satrapi, alle fotografie di Shirin Neshat e ad altre opere letterarie, fumettistiche, fotografiche e cinematografiche, uno dei manifesti del dissenso di artisti e intellettuali contro il regime dei mullah. Sono artisti e intellettuali che hanno deciso di abbandonare il proprio paese per vivere e lavorare liberamente. Non è un caso se ho citato tre nomi di donne. E non è un caso se le due attrici principali del film, Golshifteh Farahani, che interpreta il personaggio della professoressa di letteratura inglese Azar Nafisi, e Zar Amir, che fa la parte di Sanaz, una delle sue studentesse, abbiano entrambe deciso di lasciare l’Iran a un certo punto della loro vita. Non è che manchino gli artisti, i registi, gli intellettuali e gli scrittori uomini che si oppongono al regime o esprimono il loro dissenso. Il filosofo Ramin Jahanbegloo e il regista Mohammad Rasoulof vivono e lavorano all’estero; il regista Jafar Panahi ha pagato duramente la sua opposizione al regime; perfino un religioso come Mohsen Kadivar ha preso la via dell’esilio a causa delle sue idee riformatrici.

Il punto è che il regime iraniano ha elevato a norma di stato una cultura patriarcale che distingue tra le ragazze pure e le mogli fedeli da un lato e le “prostitute” e le “adultere” dall’altro. Sul corpo delle donne si combatte una battaglia politica e culturale che oggi, con l’assassinio di Mahsa Amini e lo scoppio del movimento “Donna, vita, libertà”, è diventata ancora più violenta. Ormai la posta in gioco non è più quella di riportare l’Iran al passato, ma di non far cadere uno dei pilastri su cui si fonda l’ideologia di un regime vacillante. Non è in gioco solo la libertà personale, si tratta di un cambiamento di mentalità: lo dimostra il fatto che Golshifteh Farahani e Zar Amir all’estero non hanno solo continuato a essere attrici strepitose, ma sono diventate delle icone di seduzione, simboli di un immaginario che celebra nella bellezza un’espressione della vita e non una manifestazione di immoralità. 

Il film è l’autore dell’altro piccolo miracolo di come un gruppo di attrici e attori iraniani, recitando all’estero e diretti da un regista israeliano, Eran Riklis, siano riusciti a ricreare l’atmosfera della vita in Iran. Per spiegare la magia del cinema, André Malraux cita il caso del proprietario di un cinema iraniano (prima della rivoluzione), il quale aveva creato un film perfettamente coerente ed efficace montando insieme sequenze prese da diversi film di Charlie Chaplin. In Leggere Lolita a Teheran l’incantesimo funziona al contrario, diventando un sortilegio malefico, come nella scena in cui la protagonista e suo marito assistono alla proiezione di un film di Tarkovskij, dal quale un censore zelante ha eliminato in modo goffo e pasticciato tutte le scene considerate immorali, dando vita a un mostro senza senso.

È una metafora della storia di un paese dove, all’inizio del film, la protagonista e il marito decidono di rientrare, perché sperano di poter contribuire alla crescita di una società libera dopo la caduta della dittatura dello scià. Fanno questa scelta, come recita la didascalia all’inizio del film, despite the warning signs, “nonostante i segni premonitori”, che indicavano il corso futuro delle cose. Le loro speranze andranno sempre più scomparendo, fino a diventare il sogno, insieme nostalgico e impossibile, di una Teheran dove la vecchia libreria inglese “Mr Hamid” e il “Café Occidental” sono ancora aperti e frequentati da una gioventù allegra e vivace. Nel sogno dalla libreria esce, come una cliente dopo gli acquisti, la vera Azar Nafisi, che invece alla fine degli anni Novanta decide di emigrare con la famiglia negli Stati Uniti. È il sogno infranto di invecchiare nella propria terra.

La storia è nota: sempre più ostacolata dalle autorità, che considerano la letteratura occidentale “corrotta”, Azar Nafisi si dimette dall’insegnamento universitario e organizza con un gruppo di studentesse un seminario clandestino in cui si leggono e si discutono alcuni dei capolavori vietati della letteratura inglese e americana, in particolare Lolita di Nabokov. Gli incontri sono l’occasione per raccontare le proprie vite e per condividere opinioni su questioni come il sesso, il rapporto tra uomo e donna, la politica. La letteratura, come il cinema, è un filtro attraverso il quale è possibile interrogarsi sulla realtà e immaginare di cambiarla.

D’altronde la casa, lo spazio privato, è l’oggetto di una vera e propria riscoperta nei film iraniani degli ultimi anni, quasi a essere l’immagine dell’altra metà del mondo che lentamente sta emergendo, rivendicando i suoi diritti. Tuttavia, il salotto di Azar Nafisi non è solo il luogo di una comunità di autocoscienza: è un osservatorio sociale e politico, da dove si misurano i cambiamenti del paese e si registrano le sue impasse, fino alla decisione della protagonista e di una delle studentesse di emigrare.   

Probabilmente senza volerlo, il film stabilisce una corrispondenza sotterranea con un altro film iraniano, uscito nel 1976, pochi anni prima della rivoluzione, poi scomparso e restaurato di recente dalla Cineteca di Bologna. Si tratta di Shatranj-e baad (La scacchiera del vento) di Mohammad Reza Aslani. Anche lì il centro dell’azione è la casa; anche lì protagonista è il genere femminile. Ma l’epoca è diversa: è l’inizio del Novecento, è il periodo della Rivoluzione costituzionale, sono gli anni della fede nella modernizzazione. L’ambientazione è quella di una grande casa aristocratica. Al centro della storia c’è Khanoum, la “signora”: la giovane erede della fortuna familiare, che combatte per rivendicare la sua autonomia. Alla fine tutti usciranno sconfitti, uccisi dalla loro sete di dominio e di ricchezza.

E anche in questo caso il finale coincide con un abbandono, quello della servitrice, la quale, dopo che tutti sono morti, lascia la casa dove ha dovuto destreggiarsi tra brame di potere e di piacere. Forse i film iraniani che si chiudono con una partenza sono presagi di un cambiamento. Dopo aver visto Leggere Lolita a Teheran viene da chiedersi chi sarà il prossimo a lasciare la casa, a Teheran. 

Riferimenti bibliografici
André Malraux, Sul cinema, Medusa, Napoli, 2002.
Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, Milano 2004.

Leggere Lolita a Teheran. Regia: Eran Riklis; sceneggiatura: Marjorie David; fotografia: Hélène Louvart; montaggio: Arik Lahav-Leibovich; interpreti: Golshifteh Farahani, Zahra Amir Ebrahimi, Mina Kavani, Bahar Beihaghi; produttori: Marica Stocchi, Gianluca Curti, Moshe Edery, Santo Versace, Eran Riklis, Michael Sharfshtein; origine: Italia, Israele; durata: 108; anno: 2024.

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